«Il grano ucraino ha uno sbocco nel porto moldavo di Giurgiulesti»

La guerra in Ucraina ha frenato le esportazioni internazionali di cereali e di olio di girasole. L’analista geopolitico Mirko Mussetti sottolinea il ruolo chiave dell’area del Danubio in questa crisi e fa il punto su quanto sta accadendo in Moldavia.

Dopo aver conquistato Mariupol la Russia cerca nuovi sbocchi sul Mar d’Azov e il Mar Nero. Attualmente quali sono i porti attraverso i quali gli ucraini possono ancora inviare le loro merci (grano in primis) nel mondo?
«Attualmente non vi sono porti ucraini con cui Kiev può procedere a sicure esportazioni. Il porto principale di Odessa, da cui passa circa il 90% dell’export di cereali dell’Ucraina, è soggetto a un rigido blocco navale operato dalla Marina militare russa. Inoltre, nelle fasi iniziali del conlitto, le Forze armate ucraine hanno minato le acque antistanti per impedire eventuali sbarchi anfibi dell’invasore, ma rendendo anche impossibile l’attracco di navi mercantili. I porti fluviali su Danubio di Reni e Izmail sono mal collegati al resto del distretto di Odessa. L’unico ponte ferroviario sul fiume Nistro (a Zatoka) è stato distrutto, rendendo complicato il trasporto di merci verso il basso Danubio. Nel frattempo il porto di Mariupol sul Mar d’Azov è stato completamente sminato e può tornare operativo. Ma a decidere le rotte mercantili saranno i nuovi occupanti russi, che presto potrebbero vendere granaglia ucraina verso i Paesi non ostili, portando verso di sé i paesi bisognosi di Nordafrica e Medioriente».
Di recente lei è stato in Moldavia e in alcuni suoi contributi ha segnalato che nella crisi sta assumendo un proprio ruolo significativo il piccolo porto moldavo di Giurgiulesti. Ci spieghi meglio.
«Il piccolo porto moldavo sul fiume Danubio - esattamente dove si incontrano i confini di Romania, Moldova e Ucraina - potrebbe contribuire all’export di parte dei cereali e degli oli di girasole del vicino Paese aggredito. Kiev potrebbe infatti avvalersi della rete ferroviaria moldava per raggiungere il sistema dei cinque porti del basso Danubio (Braila e Galati in Romania, Giurgiulesti in Moldavia, Reni e Izmail in Ucraina) e da lì accedere al Mar Nero attraverso i tre canali del delta del grande fiume o attraverso il canale artificiale di Cernavoda più a sud, il quale sbocca nei pressi del porto rumeno di Costanza. Dunque Giurgiulesti può divenire centrale in un insieme di piccoli cabotaggi terracquei volti a bypassare l’area di conflitto al largo del porto di Odessa e indirizzare le preziose derrate alimentari verso il Mediterraneo».
Si discute molto sull’ipotesi di un’invasione della Moldavia. L’attacco dei russi, si dice, potrebbe seguire la presa di Odessa. È un pericolo reale?
«È altamente improbabile che Mosca decida di attaccare la Bessarabia (area compresa tra i fiumi Prut e Nistro). Non solo si avvicinerebbe troppo ai confini di un paese NATO - la Romania - disperdendo energie preziose, ma la conquista dell’intera Moldavia non apporterebbe vantaggi tangibili: la Bessarabia è infatti priva di risorse naturali e industrie di rilievo. Inoltre la minoranza russofona si assottiglia sempre di più. Ecco perché, se Odessa venisse conquistata, Mosca si accontenterebbe del corridoio terrestre verso l’emarginata regione separatista filorussa della Transnistria senza spingersi oltre».
A proposito di Transnistria, come sono oggi i rapporti tra le autorità sulle due sponde del Nistro? L’atteggiamento di Tiraspol verso Mosca è cambiato dopo il 24 febbraio?
«Le autorità di entrambe le sponde del Nistro hanno adottato un approccio molto cauto. Chisinau è consapevole della propria vulnerabilità militare ed economica nei confronti della Russia, prima destinazione della diaspora moldava. Ecco perché il Paese più povero d’Europa è molto attivo nell’accoglienza degli sfollati ucraini, ma del tutto sordo alle richieste di aiuto militare a Kiev (cessione di armi d’origine sovietica). Chisinau rimarca quotidianamente la neutralità costituzionale della Moldavia che, a differenza di quella svizzera, è scarsamente armata. Dal canto loro, le autorità di Tiraspol temono azioni aggressive da parte ucraina. Le milizie transnistriane e il migliaio di “peacekeeper” russi presenti nella regione non sono sufficienti per resistere a un’offensiva delle truppe di Kiev. Inoltre, la Transnistria ospita a due chilometri dal confine ucraino il più grande deposito di munizioni (oltre 20 mila tonnellate) dell’Europa centro-orientale, quello di Cobasna: una deflagrazione dolosa o accidentale produrrebbe danni immensi a tutta la regione. Ecco perché gli atti dimostrativi con granate e bombe molotov verificatesi tra aprile e maggio potrebbero essere delle messinscena orchestrate dal regime di Tiraspol per irrigidire i controlli ed evitare infiltrazioni di gruppi ultranazionalisti ucraini».
Mosca intende conquistare il Donbass, l’Ucraina non intende fare concessioni territoriali. Dal profilo diplomatico sembra di essere a un punto morto. Inoltre a Kherson e a Zaporizhzhia Mosca intende favorire la concessione di passaporti russi. Come hanno reagito le autorità locali?
«Il processo di russificazione delle zone occupate dell’Ucraina procede spedito. Ora anche mediante armi burocratiche, come il documento principe che sancisce la cittadinanza dell’individuo. Una sfida frontale all’ordinamento giuridico ucraino, che non prevede la doppia cittadinanza. Una campagna ben riuscita sulla concessione di nuove cittadinanze russe nei territori occupati da Mosca sconfesserebbe l’idea di un popolo fiero, che si compatta attorno alla bandiera nel momento di massimo cimento. La legge sull’unicità della nazionalità può rivelarsi un boomerang per Kiev: chi fa volontariamente domanda di cittadinanza russa rinuncia ipso facto a essere ucraino. Azione simbolica che non può essere sottovalutata in tempo di guerra. Intanto, mentre il rublo inizia a circolare come moneta corrente, il sistema educativo locale si armonizza a quello della Federazione russa. Con la riapertura delle scuole in autunno, agli studenti ucraini sarà impartita una “lezione russa” nella lingua degli zar. Sicuramente a Kiev non hanno preso bene queste iniziative geoculturali russe, che rivelano un dato di fatto incontestabile: Mosca non intende ritirarsi dalle zone occupate del sud-est ucraino, su cui vanta ormai un saldo controllo politico-militare».