Il lungo percorso di un A380 per tornare nei cieli

Riportare lassù, nei cieli, un singolo A380 richiede, a terra, qualcosa come 4.500 ore di lavoro. A dirlo non siamo noi, ma l’amministratore delegato di Qantas, la compagnia di bandiera australiana, Alan Joyce. Una sfida, soprattutto di fronte alla crescente domanda di voli post pandemia.
Uscito dalla produzione e, di riflesso, dato oramai per morto, proprio a causa dello stop imposto dal coronavirus a inizio 2020, questo superjumbo – volendo usare un gergo non proprio adattissimo – è stato richiamato in servizio in fretta e furia (si fa per dire) dalle varie compagnie. Addirittura, Emirates spinge affinché Airbus riprenda in mano il dossier e sviluppi un nuovo mega-aereo.
Qantas, nel giugno 2020, aveva parcheggiato tutti e dodici i suoi Airbus A380. I voli, considerando che il Paese aveva di fatto chiuso i propri confini, erano ridotti all’osso. E non c’era necessità di mantenere attiva la flotta di superjumbo. Ora, dieci di questi velivoli stanno tornando in servizio. Non senza difficoltà, appunto.
Il deserto del Mojave
Quando un aereo viene parcheggiato, o se preferite mandato a morire, nella stragrande maggioranza dei casi significa spedirlo al Mojave Air and Space Port, nell’omonimo deserto in California. Le condizioni climatiche (con tanto secco) e la vastità degli spazi, insomma, rappresentano l’ideale per le compagnie. Gli A380 di Qantas sono rimasti lì per oltre due anni. In attesa.
Ora, un po’ come certi Transformers della famosa saga, sono stati risvegliati. «Ma solo per svegliarne uno servono 4.500 ore, o se preferite due mesi, di manodopera» ha detto Joyce. «Parliamo di dieci ingegneri che lavorano per due mesi nel deserto del Mojave. Per un singolo aereo. Bisogna sostituire tutte e 22 le ruote, i freni, le bombole di ossigeno e gli estintori. Ogni cosa, a bordo, va sostituita».
Le critiche a Qantas
Non finisce qui, perché i vari test nel deserto – per assicurarsi che tutto funzioni – servono, di fatto, solo per lasciare il Mojave e raggiungere un centro di manutenzione «vero», ad esempio a Los Angeles, dove serviranno ulteriori 100 giorni di nuovi test e manutenzione. «Entro Natale – ha concluso Joyce – riavremo sei A380. Solo nel 2024, però, li riavremo tutti e dieci».
Per quanto lento, e costoso, sia il processo, non è nulla rispetto alle difficoltà incontrate da Qantas durante le fasi più acute della pandemia. Per voce dello stesso Joyce, infatti, la compagnia era ad appena undici settimane dal collasso finanziario. Le riserve, infatti, scarseggiavano sempre di più e l’orizzonte appariva quantomeno incerto. L’aspettativa di vita del vettore, fortunatamente, si è allungata dopo che Qantas ha raccolto capitali, venduto terreni di sua proprietà e ridotto le spese correnti. Come Qantas, anche Virgin Australia ha rischiato grosso.
Un processo, quello di resilienza se così vogliamo chiamarlo, che a suo tempo aveva suscitato non poche critiche: Qantas, infatti, durante la pandemia ha tagliato oltre 8 mila posti di lavoro. Critiche ripresentatesi una volta tornata, con forza la domanda per i viaggi, anche perché il vettore, con una forza di lavoro ridotta, ha dovuto affrontare cancellazioni di voli, bagagli smarriti e ritardi.