Il Nagorno Karabakh, l'Azerbaigian e la questione energetica
Alla fine, dopo ore di scontri e combattimenti, è stato ripristinato il cessate il fuoco. Addirittura, sarebbe pure stata trovata un’intesa che sancisce «lo scioglimento e il completo disarmo» delle milizie separatiste e, analogamente, l'avvio di negoziati tra gli armeni del Nagorno Karabakh e le autorità di Baku sulla «reintegrazione» della regione nel territorio azero. Certo, è presto per dire che fra Azerbaigian e Armenia tornerà il sereno. Una volta per tutte. Le tensioni fra i due Paesi – in particolare sulla questione del controllo del Nagorno Karabakh, regione de facto armena ma riconosciuta come territorio azero dalla comunità internazionale – si trascinano da oltre trent’anni. Per tacere del fatto che Erevan non parteciperà attivamente ai negoziati citati. Tensioni, tornando a noi, che come riferisce Reuters in questi anni hanno avuto conseguenze anche in termini di equilibri geopolitici e, parallelamente, energetici.
Il Caucaso meridionale, infatti, è ricco di risorse. L'Azerbaigian, nello specifico, è un grande produttore di energia. Il suo territorio è attraversato da oleodotti e gasdotti, sebbene nessuna di queste pipeline si trovi nel Nagorno. Detto ciò, se il cessate il fuoco dovesse saltare una volta ancora e, soprattutto, se le tensioni fra azeri e armeni dovessero coinvolgere altri attori della regione, dalla Turchia all'Iran passando per la stessa Russia, ufficialmente forza di pace dopo l'accordo, di per sé molto debole, raggiunto nel 2020, le cose potrebbero nuovamente complicarsi. E pure parecchio.
Fatte le premesse, è utile e interessante leggere questa crisi, e la sua possibile soluzione, almeno stando a quanto comunicato da Baku, proprio pensando alla questione energetica.
Quella centrale nucleare armena
L’Armenia, su questo fronte, non può certo considerarsi un gigante. Il suo fiore all’occhiello è la centrale nucleare di Metsamor, che però – spiega sempre Reuters – si trova in una situazione precaria. E questo perché si trova in una zona dall'elevato rischio sismico. L'Armenia, dati alla mano, fu colpita da un violento terremoto (magnitudo 6.8) nel 1988, quando era ancora una Repubblica sovietica. I morti furono almeno 25 mila e i danni enormi.
I dati su gas e petrolio
L'Azerbaigian, per contro, è un grande esportatore di petrolio. Merito dell'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, denominato BTC, che da solo rappresenta circa l'80% delle esportazioni di petrolio del Paese arrivando alla costa mediterranea turca attraverso la Georgia. La sua capacità è di 1,2 milioni di barili al giorno, pari a oltre l'1% delle forniture globali. Mica male, insomma.
Le esportazioni totali di petrolio azero, nel periodo fra gennaio e luglio di quest'anno, hanno raggiunto i 23,1 milioni di tonnellate, di cui il 76,3% attraverso il citato BTC. Ad agosto, la produzione si è attestata a 498 mila barili al giorno.
Baku esporta petrolio pure appoggiandosi alla Russia, tramite l'oleodotto che collega la capitale azera a Novorossiysk, e via ferrovia con la Georgia, che pure può beneficiare di un terzo oleodotto, quello che da Baku arriva fino a Supsa.
L'Azerbaigian, manco a dirlo, è pure un grande produttore di gas naturale. E intende aumentare, fra le altre cose, le esportazioni verso l'Europa. La produzione di gas dai giacimenti Azeri-Chirag-Guneshli è stata di 13,4 miliardi di metri cubi nel 2022 , mentre altri 25,2 miliardi di metri cubi sono stati prodotti grazie al progetto di Shah Deniz, dove la britannica BP è a capo di un consorzio internazionale. Fra gennaio e luglio, Baku ha esportato 6,6 miliardi di metri cubi di gas naturale il Vecchio Continente.
C'è chi ha già chiesto sanzioni
Il rischio, fronte azero, è che un eventuale fallimento dei negoziati e una ripartenza del conflitto possano spingere l'Occidente a imporre sanzioni economiche. Sanzioni che, in queste ore e dopo la cosiddetta operazione antiterrorismo avviata da Baku, hanno chiesto a gran voce i membri del Parlamento europeo. «L'UE dovrebbe agire, imporre sanzioni, compreso il blocco delle importazioni di gas» ha dichiarato a Euronews Reinhard Bütikofer, eurodeputato tedesco del gruppo dei Verdi. «Non siamo stati in grado di impedire un'aggressione che avevamo previsto» ha detto dal canto suo Nathalie Loiseau, francese del gruppo Renew Europe. «La mediazione è stata un fallimento totale. Non abbiamo mai nominato l'aggressore. Abbiamo ignorato il primo ministro armeno quando ha chiesto il nostro aiuto. La nostra debolezza e la nostra passività ci hanno reso complici di tutto ciò». E ancora: nel dibattito in commissione Affari esteri del Parlamento europeo, i deputati di (quasi) tutti i gruppi hanno criticato la lentezza dell'Unione nel reagire alle richieste di aiuto dell'Armenia. Nove mesi fa, per dire, le forze azere avevano bloccato il corridoio di Lachin, impedendo il transito di beni di prima necessità destinati alla popolazione armena del Nagorno Karabakh.
Certo, il dibattito si è svolto poche ore prima che la regione separatista accettasse un cessate il fuoco proposto dalla Russia. E, va da sé, prima che il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, in un discorso alla nazione, affermasse che l’operazione lampo era finita e che il Nagorno era tornato in mani azere. Ergo, lo stesso dibattito ora può apparire superato dagli eventi.
Quanto «pesa» il gas azero?
Tornando ai dati, è evidente che l'Europa abbia una certa dipendenza rispetto all'Azerbaigian. Difficile, detto ciò, capire se la cosa abbia o meno avuto un peso nell’immobilismo, al di là delle parole di condanna, dei Paesi del blocco UE. Lo scorso anno, ad ogni modo, i 27 Stati membri hanno importato gas naturale da Baku per 15,6 miliardi di euro. Una cifra quattro volte superiore rispetto al 2021, quando c'era ancora Mosca a recitare il ruolo del leone. Fra gli altri, Bulgaria, Romania, Ungheria e Slovacchia si sono impegnati a incrementare le importazioni di gas dal Paese del Caucaso meridionale.
Il timore che, dietro a quanto accaduto, vi sia una regia russa è forte fra gli eurodeputati. È opinione comune, in seno all’Europarlamento, che Russia e Azerbaigian presto o tardi vogliano installare un regime fantoccio in Armenia, una mossa che rafforzerebbe gli interessi di Mosca nella regione. E che punirebbe Erevan, un tempo alleato storico dei Mosca, per aver svolto esercitazioni militari congiunte con gli Stati Uniti. «L'obiettivo della Russia è chiaramente quello di rimuovere il primo ministro armeno Pashinyan» ha dichiarato Raphaël Glucksmann, eurodeputato francese del gruppo dei Socialisti e Democratici. «Vogliono sbarazzarsi di un governo democratico, che ha scelto la libertà e l'emancipazione». Di nuovo: «Come si può sperare che l'Unione Europea si affermi come potenza geopolitica se siamo disposti a sacrificare in questo modo alleati importanti come gli armeni?». La risposta, secondo i più maliziosi, si cela proprio fra le pieghe dei volumi di energie fossili che da Baku arrivano fino all’Europa.