L'anniversario

Il sommergibile «senza tempo»: un anno fa la tragedia del Titan

Il 19 giugno 2023 sui media di tutto il mondo si parlava del sommergibile scomparso negli abissi dell'Atlantico: a bordo cinque persone che volevano vedere il relitto del Titanic – Il racconto di quei giorni e di una tragedia già annunciata
© OceanGate Expeditions
Federica Serrao
19.06.2024 14:30

19 giugno 2023. Un sottomarino sparisce negli abissi dell'oceano atlantico. A bordo c'erano cinque persone: volevano vedere il relitto del Titanic. È con queste parole che, un anno fa, si cominciava a parlare del Titan. Il sommergibile progettato dalla compagnia OceanGate, insieme a ingegneri della NASA, che fino a quel momento veniva utilizzato, a cadenza annuale, per spedizioni a 4 mila metri sotto il livello mare; per osservare, da vicino, i resti del transatlantico affondato nel 1912. 

Quello intrapreso dal Titan il 18 giugno fu però il suo ultimo viaggio nel profondo dell'Atlantico. Il sottomarino era imploso, laggiù, negli abissi, prima ancora che i media di tutto il mondo divulgassero la notizia della sua sparizione. Salpato il giorno prima che la sua storia diventasse virale, le sue tracce si erano già perse a poco meno di due ore dalla partenza. All'improvviso. 

Per quattro giorni, da lunedì a giovedì, si parlò di una «corsa contro il tempo» per salvare i passeggeri. La speranza era che il Titan fosse ancora intatto, ma che avesse perso la capacità di riemerge e comunicare con il mondo esterno. Soprattutto, ci si focalizzò sulla quantità di ossigeno a disposizione nel sottomarino, puntando tutto sull'idea che le cinque persone disperse avessero trovato il modo di consumarne il meno possibile, così da andare oltre le 96 ore che, da scheda tecnica, il sommergibile era in grado di garantire ai suoi occupanti. A un certo punto, si parlò anche di «colpi», regolari, ogni 30 minuti, captati dai dispositivi sonar operanti nella zona. Un segnale, secondo le ricerche, che riaccendeva le speranze che ci fossero dei sopravvissuti. 

Il tempo passò velocemente. Dalle 96 ore di ossigeno a disposizione, ipotizzate nel momento della sparizione, si scese a 70. Il giorno dopo la notizia della scomparsa, martedì, ne rimanevano solamente 41. Una ventina, il mercoledì. L'obiettivo era quello di riportare in superficie i passeggeri entro giovedì sera. Ma quel giorno, le cose andarono diversamente. E tutte le illusioni maturate in giorni di ricerche disperate si sgretolarono velocemente. 

Sì, era stata una corsa contro il tempo. Ma di tempo il Titan non ne aveva mai avuto. Il sommergibile era imploso. Un'ora e quarantacinque minuti dopo essersi avventurato alla scoperta del Titanic. Questo l'annuncio che venne fatto in quel giovedì di fine giugno. Mentre in superficie si contavano le ore, negli abissi era già tutto finito. Dal primo momento. A confermarlo, fu il ritrovamento di numerosi detriti nell'area di ricerca vicino al relitto del transatlantico affondato nel 1912. Detriti appartenenti al sommergibile scomparso. Un dettaglio che fece fin da subito pensare a una «catastrofica implosione». Lo «scenario peggiore», come dichiarò David Mearns, esperto di soccorso e amico di due occupanti del Titan. Nonché il primo che confermò che quelli ritrovati erano proprio i resti del batiscafo di OceanGate. 

I colpi rilevati nei giorni precedenti non erano altro che rumori di fondo dell'Oceano. I passeggeri, infatti, erano morti «istantaneamente». A bordo, c'erano il fondatore e numero uno di OceanGate, Stockton Rush, il pilota Paul-Henri Nargolet (sommozzatore e già leader di diverse spedizioni verso il Titanic), l'uomo d'affari pakistano Shahzada Dawood e suo figlio Suleman Dawood e il miliardario britannico Hamish Harding

Una tragedia già annunciata

La tragedia del Titan, neanche a dirlo, divenne virale. Molto si scrisse e si commentò sul dramma. In primo luogo, per trovare una risposta a tutte le domande su quanto accaduto. Tuttavia, le discussioni si concentrarono molto su un estratto di un servizio realizzato tempo prima da David Pogue, giornalista e divulgatore scientifico della CBS. Nel filmato diventato virale, il CEO di OceanGate, Stockton Rush – morto tragicamente nell'implosione – presentava il Titan come un mezzo tutt'altro che affidabile. Anzi.

Nella liberatoria di OceanGate il batiscafo veniva descritto come «una nave sommergibile sperimentale non approvata o certificata da alcun organismo di regolamentazione e che potrebbe provocare lesioni fisiche, disabilità, traumi emotivi o morte». E non solo. Nel video di un minuto, estratto dal servizio, si parlava anche del «design improvvisato» del Titan, e soprattutto di quella manopola stile PlayStation utilizzata per guidarlo. Dettagli che, ovviamente, già durante i giorni delle ricerche scatenarono i primi commenti di indignazione. Com'era possibile che un sommergibile con tutti questi difetti potesse avventurarsi nel profondo degli abissi? 

Nei giorni successivi, spuntò anche una mail del 2018, firmata da David Lochridge, l'ex direttore delle operazioni marittime della OceanGate. Nel suo messaggio, indirizzato a un ex socio della compagnia, Rob McCallum esprimeva dubbi e preoccupazioni sulla sicurezza del sommergibile. Ma anche sul CEO Stockton Rush. «Non voglio fare la Cassandra (riferito a persona che predice avvenimenti tristi senza essere creduta, ndr.), ma sono molto preoccupato che possa uccidere sé stesso e altri nel tentativo di appagare il suo ego», si leggeva nella mail David Lochridge a proposito del fondatore di OceanGate. Una previsione di cinque anni prima, che alla luce di quanto successo assunse contorni ancor più inquietanti. 

E non è tutto. L'incidente riaccese i riflettori anche sui viaggi estremi. Un business moderno in forte crescita. Ma anche sulle motivazioni che portano certe persone a rischiare tutto, e a partecipare a spedizioni come quella del Titan. Spedizioni che, alcune volte, non sono altro che tragedie già annunciate. 

Molti puntarono il dito contro la forte eco mediatica del sottomarino, giudicandola sproporzionata rispetto a quello avuto per la tragedia avvenuta negli stessi giorni in Grecia. Dove un peschereccio con a bordo 700 migranti si era inabissato a sud del Peloponneso. In quel caso, i cadaveri ripescati furono un'ottantina. Ma il caso venne oscurato dai riflettori puntati sul Titan. Il sottomarino cercato per giorni e per il quale, in realtà, non c'era mai stato nulla da fare. 

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