Lo studio

Il Turkmenistan sotto la lente climatica: «Qui le più consistenti emissioni di metano»

Un'analisi commissionata dal Guardian a una società di intelligence ambientale mostra come le fughe di metano in due impianti dell'ex Paese sovietico producano emissioni dall'impatto paragonabile a quanto prodotto in CO2 da tutto il Regno Unito
© AP/ALEXANDER ZEMLIANICHENKO
Red. Online
09.05.2023 17:00

Quando si pensa ai Paesi più inquinanti, la mente corre sempre lì: Cina, Stati Uniti, India. È questa la triade che, di gran lunga, conduce le classifiche di emissioni annue di CO2. Ma tutti, nessuno escluso, devono fare la propria parte per tenere a bada un fenomeno, il cambiamento climatico, che nel prossimo secolo rischia di rappresentare la principale sfida per l'umanità. Recentemente, uno studio commissionato dal Guardian a Kayrros — società di intelligence ambientale — ha rivelato che una minaccia importante per gli obiettivi climatici viene da uno Stato raramente menzionato: il Turkmenistan. Grazie ai dati satellitari raccolti, si è potuto dimostrare che le fughe di metano registrate nei due principali giacimenti di combustibili fossili nell'ex Paese sovietico hanno causato nel 2022 un riscaldamento globale superiore a quello dovuto alle emissioni di carbonio dell'intero Regno Unito.

I dati

L'inchiesta condotta dal giornale britannico porta alla luce dati preoccupanti. Secondo quanto rivelato dal Guardian, il Turkmenistan è il maggior produttore al mondo di "superemissioni" di metano. I dati prodotti da Kayrros hanno mostrato come il giacimento occidentale di combustibili fossili in Turkmenistan, sulla costa del Mar Caspio, abbia perso la bellezza di 2,6 milioni di tonnellate di metano nel 2022. Il giacimento orientale, invece, ha emesso 1,8 milioni di tonnellate. Per impatto sul globo, il totale di 4,4 milioni di tonnellate di metano emesso in Turkmenistan è equivalente a circa 366 milioni di tonnellate di CO2 rilasciate nell'ambiente. Ben più delle 341,5 tonnellate emesse nel 2021 dall'intero Regno Unito, al 17. posto nella lista delle nazioni più inquinanti.

Dal flaring al venting

Ma perché questi stabilimenti producono così tante emissioni? Gran parte del fenomeno sarebbe da ricondurre a un'attrezzatura danneggiata e obsoleta. Valvole e tubature rotte, di epoca sovietica, rilasciano nell'ambiente grandi quantità di metano. Ma fra le cause ci sarebbe anche la liberazione volontaria di metano, il cosiddetto venting. Nelle raffinerie di petrolio, le torri di combustione praticano spesso il flaring, procedimento con il quale grandi quantità di gas indesiderato vengono bruciate e immesse nell'aria sotto forma di CO2. Ciò, come si può immaginare, ha un forte impatto sull'ambiente e per questo molti impianti hanno subito pressioni per evitare o limitare questi rilasci, tra l'altro facilmente identificabili dai satelliti grazie alla tipica fiammata prodotta dalla torre. Il problema? Per disfarsi del metano e di altri gas non utili alla produzione, alcune raffinerie e impianti di estrazione sono passati al venting, il rilascio diretto di gas incombusto, più difficile da identificare e sanzionare perché — in assenza di combustione — dà ovviamente meno nell'occhio (la tecnologia per individuare questi rilasci "invisibili" via satellite, riporta il giornale britannico, è stata sviluppata solo recentemente). Ciò ha prodotto effetti ancora più devastanti. Spesso, quando si parla di inquinamento, si pensa all'anidride carbonica, CO2. Ma il metano gioca un ruolo importante. Negli ultimi vent'anni le emissioni di metano hanno subito un'impennata che gli esperti definiscono "allarmante". Tanto che, al momento, potrebbe rappresentare la minaccia maggiore all'obiettivo di mantenere la temperatura globale a +1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali. A ragion veduta: il metano trattiene 80 volte più calore della CO2 nell'arco di 20 anni. Per questo, tra flaring e venting, il primo è decisamente preferibile. 

Una recente ricerca scientifica, pubblicata sulla rivista Environmental Science and Technology, ha rilevato che la costa occidentale del Turkmenistan è «uno dei più grandi hotspot di metano al mondo». I ricercatori che hanno lavorato a questo progetto hanno conteggiato, fra il 2017 e il 2020, almeno 24 diversi eventi di "superemissione" di metano riconducibili a pratiche di venting (con torre di combustione spenta) in stabilimenti statali. Il tutto in barba alle leggi turkmene, che vietano sia la combustione sia lo sfiato continuo di gas.

Una soluzione semplice

Ricercatori e analisti di Kayrros sono andati oltre: dal 2019 a oggi hanno rilevato 840 eventi di superemissione riconducibili, spesso, a perdite da singoli pozzi, serbatoi o tubature. Un ritmo spaventoso: parliamo di tonnellate e tonnellate di metano emesse ogni ora, numeri che superano quelli di qualsiasi altra nazione. «Il metano è responsabile di quasi la metà del riscaldamento a breve termine e solo recentemente si è cominciato a parlarne: era completamente fuori controllo», ha dichiarato Antoine Rostand, presidente di Kayrros, al quotidiano britannico. «Sappiamo dove sono le superemissioni e chi le produce. Abbiamo solo bisogno che i responsabili politici e gli investitori facciano il loro lavoro, cioè ridurre le emissioni di metano». E dire che è tutta questione di volontà: «Le superemissioni degli impianti petroliferi e del gas sono facilmente eliminabili aggiustando le valvole o le tubature o, in assenza di altre soluzioni, il ritorno al flaring: è molto semplice da fare e per i produttori il costo è del tutto marginale». I ritorni economici, del resto, non sarebbero indifferenti. Fonti locali hanno spiegato che «prevenire o riparare le perdite rappresenterebbe una enorme opportunità, ma che la mancanza di azione è esasperante. Le enormi risorse di gas disponibili fanno sì che non ci si preoccupi mai delle perdite».

Al vertice climatico COP26, il presidente turkmeno Serdar Berdimuhamedov aveva garantito l'introduzione di «tecnologie moderne in tutte le sfere dell'economia dello Stato, con particolare attenzione alla riduzione delle emissioni di metano». I dati raccolti nei giacimenti statali, però, lo contraddicono. Le emissioni di metano non sono in diminuzione, ma in aumento.

La speranza degli studiosi del clima è, dunque, chiara: la COP28 che si terrà a fine anno dovrà introdurre dei rigidi sistemi di controllo sulle emissioni di metano. Una svolta, va detto, aiuterebbe anche il clima turkmeno. La regione è fra le più vulnerabili all'impatto della crisi climatica (il confinante Afghanistan è ai vertici della lista di nazioni fragili e a rischio) e le proiezioni parlano chiaro: qui, nel corso dei prossimi decenni, le grandi siccità rischiano di aumentare in modo significativo.