USA

Il vice di Kamala Harris, la mossa più delicata

La vice presidente è la grande favorita a rimpiazzare Biden nella corsa alla Casa Bianca: il partito democratico deve soppesare con estrema attenzione i nomi per la sua «spalla»
©MARCIO JOSE SANCHEZ
Davide Mamone
22.07.2024 21:00

Che Kamala Harris sia la grande favorita a rimpiazzare Joe Biden come candidata democratica alle elezioni di novembre contro Donald Trump lo fa pensare una serie di fattori. In primis, gli endorsement che la vicepresidente ha ricevuto nelle prime 24 ore dal suo annuncio: almeno 119 deputati della Camera, inclusa l’ala più progressista del partito; 18 senatori e 9 governatori, tra cui alcuni suoi papabili avversari come Gretchen Whitmer del Michigan, Josh Shapiro della Pennsylvania e Gavin Newsom della California. Senza dimenticare gli appoggi arrivati dall’ex speaker della Camera Nancy Pelosi, dalla famiglia Clinton e ultimo, ma di certo non meno importante, dallo stesso Joe Biden domenica sera. Che questo sia sufficiente a garantirle la nomination alla convention di Chicago, in programma dal 19 al 22 agosto, però, è ancora tutto da vedere. La strada è lunga. Le modalità della convention ancora poco chiare, vista la straordinarietà del momento. E parallelamente alla scelta del candidato presidente, c’è la questione del nuovo vice: chi potrebbe affiancare Harris per riequilibrare il ticket dem anti-Donald Trump?

Il breve flirt di Joe Manchin

Mentre l’establishment del partito democratico, dopo aver lavorato per settimane per garantirne la fine, era intento a elogiare Biden e la sua legacy domenica sera, una voce si è fatta più insistente nei corridoi della politica americana: e se si presentasse il senatore centrista Joe Manchin? Il rappresentante del West Virginia è un jolly per eccellenza: ha complicato la vita a Barack Obama nel 2010 per il passaggio della riforma del sistema sanitario e rappresentato una costante spina nel fianco per Biden e il suo staff nei primi due anni di presidenza. Nonostante ciò, fu proprio grazie a lui - indipendente e amico del mondo del carbone - che i democratici riuscirono a passare l’Inflation Reduction Act nell’agosto di due anni fa, il più ampio piano di investimenti per combattere il cambiamento climatico da 1,7 mila miliardi di dollari, considerato ancora oggi perno dell’eredità di Biden. Manchin, che domenica aveva pubblicamente invitato il presidente a un passo indietro incoraggiandolo a seguire le sue orme (il senatore non si ricandiderà questo novembre per il suo seggio), ha escluso l’ipotesi di una sua corsa lunedì. Ma c’è chi ancora lo sogna candidato, specie le frange del partito democratico che, proprio come ha ribadito Manchin lunedì, ritengono Harris sia «troppo a sinistra».

Corsa a 8, forse più

Il fatto che Manchin sia stato l’unico nome papabile a emergere come possibile alternativa a Harris, però, fa capire quanto solida sia al momento la candidatura della vicepresidente, che ha anche incassato il supporto del senatore Dick Durbin, numero 2 al Senato e Katherine Clark e Pete Aguilar, numeri 2 e 3 del partito democratico alla Camera. Questa posizione di stabilità ha già fatto partire un altro toto-candidati: chi potrebbe essere la sua spalla? I nomi che si rincorrono in queste ore sono otto: Roy Cooper, governatore del North Carolina, il senatore dell’Arizona ed ex astronauta Mark Kelly, il popolare ministro dei Trasporti Pete Buttigieg (ex candidato presidente, con Harris e Biden, nel 2020), i governatori dell’Illinois JB Pritzker, del Kentucky Andy Beshear e del Maryland Wes Moore, oltre ai già citati Whitmer e Shapiro. Ognuno di loro ha pro e contro, pregi e difetti, ma nessuno risponde ancora con certezza alla domanda da un milione di dollari che porterà, eventualmente, alla loro scelta: chi può aiutare a bilanciare il ticket e portare voti negli Stati-chiave che servono per vincere le elezioni contro Trump e JD Vance?

Aborto decisivo?

Harris dovrebbe basare la sua campagna elettorale su due temi. Da un lato lo slogan «inquirente vs. criminale», dato dall’esperienza passata di Harris come procuratrice generale della California e la recente condanna di Trump nel caso Stormy Daniels. Dall’altro, il tema dei diritti civili tra cui, in primis, quello all’aborto - divenuto tema di campagna elettorale costante da quando la Corte Suprema ha ribaltato la storica sentenza Roe contro Wade, ridando agli Stati potere decisionale sull’interruzione anticipata della gravidanza. Per ora sono sei gli Stati in cui si dovrebbe tenere un referendum sul tema nel giorno delle elezioni: Colorado, Florida, Maryland, New York, Nevada e South Dakota, a cui dovrebbe aggiungersi l’Arizona. Fosse quello il caso (lo si saprà a inizio agosto), il senatore Kelly potrebbe guadagnare punti e presentare il volto moderato dei democratici nel sud, lui che nel 2020 vinse l’elezione speciale per sostituire il rimpianto John McCain e aiutò Biden e Harris a riconquistare lo Stato, che non aveva mai votato democratico nei settant’anni precedenti con l’eccezione di Bill Clinton nel 1996. Se il team Harris dovesse pensare al vice con il Midwest o il sud est in mente, però, Shapiro della Pennsylvania e Cooper del North Carolina potrebbero rappresentare un’opzione migliore. Meno probabili gli altri per ora, con l’eccezione di Buttigieg: Biden e Harris hanno affidato la gestione del piano sulle infrastrutture proprio all’ex sindaco di South Bend, che rappresenta la voce della ragione, indipendente e moderata, recepita anche dagli elettori dell’emittente di destra FOX News. Intervistato dal comico conservatore Bill Maher la settimana scorsa su HBO, Buttigieg si adoperò in un’ultima, strenua (ma vana) difesa di Biden. Il comico lo congedò con sei parole: sarebbe bello se fossi tu candidato.

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