Il volo MH 370 e gli abbracci mancati: l'impatto emotivo di una tragedia

Dieci anni. Tanti ne sono passati dalla scomparsa del volo MH 370, consumatasi l'8 marzo del 2014. Dieci anni di indagini, ipotesi, teorie e, soprattutto, ricerche. Dieci anni senza uno straccio di risposta o verità. Dieci anni di abbracci mancati, con i familiari prigionieri di un incubo e le 239 persone a bordo, fra passeggeri ed equipaggio, finite chissà dove in fondo all'Oceano Indiano meridionale. Un mistero, quello del Boeing 777 di Malaysia Airlines, che continua a far discutere. A maggior ragione ora, con il governo di Kuala Lumpur disposto a riattivare le ricerche del relitto. Ne parliamo con il Professor Andrea Castiello d’Antonio, specializzato in psicologia dell’aviazione.
Professore, innanzitutto come descriverebbe l'impatto emotivo e psicologico che i familiari delle vittime del volo MH370 hanno vissuto durante questi dieci anni di incertezza e sospensione?
«Probabilmente, i familiari e gli amici più stretti delle vittime hanno vissuto dapprima un vero e proprio shock, seguito da un periodo più o meno ampio di disperazione e disorientamento, di rabbia e depressione, fino al momento in cui si arriva a convivere con l’evento traumatico e a collocarlo in una sorta di spazio mentale circoscritto. Ciò al fine di poter psicologicamente “sopravvivere” e quindi continuare – meglio: riprendere – a vivere la vita: una vita che naturalmente non sarà mai più come prima e che porterà con sé le cicatrici di questo terribile evento. Ma non tutti sono capaci di compiere questa complessa “operazione mentale”. Senza dubbio, molte persone saranno rimaste a convivere con penosissime e insopportabili emozioni».
Quali furono all'epoca i principali meccanismi di supporto psicologico offerti alle famiglie delle vittime?
«Sulla base di un accordo siglato dalla Malaysia Airlines nel 2007 con un'organizzazione buddista internazionale che si occupa di dare servizi di assistenza alle vittime di crisi e nelle situazioni di emergenza – la Tzu Chi – furono attivati team di supporto psicologico alle famiglie dei passeggeri sia in Malaysia, sia a Pechino».
Considerando le possibili conclusioni riguardanti il coinvolgimento del comandante nell'incidente, in che modo queste informazioni possono influenzare il processo di lutto e di comprensione per i familiari delle vittime?
«Di fronte a eventi estremi e catastrofici, ognuno di noi tende ad andare alla ricerca di elementi che possano spiegare ciò che è accaduto e, in un certo senso, placare l’acuta incertezza di chi non riesce a spiegarsi la perdita improvvisa di un proprio caro. Da questo punto di vista – tenendo sempre presente le differenze individuali – si può ipotizzare che il ritenere un soggetto colpevole del disastro possa almeno placare la confusione emotiva e il disorientamento che, altrimenti, si vivrebbero nelle situazioni in cui soltanto la casualità o l’imponderabile possono essere evocati come pseudo-spiegazioni. D’altro canto, individuare “il colpevole” può far scattare meccanismi di rivalsa e di aggressività supportati dal desiderio di avere ristoro e, soprattutto, di vendicare la persona scomparsa».


Qual è il significato per la sicurezza aerea se, un domani, trovassero conferma le indiscrezioni secondo cui il comandante ha deliberatamente causato l'incidente?
«Nel caso in cui l’intenzione sucida del comandante fosse confermata, questo evento andrebbe ad aggiungersi a diversi altri fatti accaduti nell’ambito dell’aviazione civile nel corso dei decenni. Da un certo punto di vista, l’aspetto più importante, tecnicamente, sarebbe quello di trarre fuori l’evento in oggetto dall’alea del “presunto” e collocarlo decisamente nella zona in cui fatti simili sono stati accertati al di là di ogni ragionevole dubbio. Ampliando l’orizzonte, è da ricordare che gli aeromobili apparentemente scomparsi senza lasciare tracce di alcun genere non sono soltanto aerei di linea, passeggeri, ma anche aerei cargo, ultraleggeri e aerei da turismo».
Cosa ci dice questa tragedia sui protocolli di sicurezza e sui controlli psicologici per il personale di volo nelle compagnie aeree?
«Credo che vi sia ancora molto da fare soprattutto in merito alle operazioni di selezione iniziale degli aspiranti piloti e, successivamente, del costante monitoraggio del loro stato mentale ed esistenziale. Nonostante le novità – faticosamente e non tempestivamente – introdotte a valle del crash del volo Germanwings 9525 (il co-pilota Andreas Lubitz, in condizioni psicologiche critiche, il 24 marzo del 2015 deliberatamente condusse l’aeromobile a schiantarsi sulle Alpi francesi), come l’introduzione di programmi di sostegno tra pari, di test sistematici e casuali atti a rilevare la presenza di sostanze psicoattive nel sangue, e gli accertamenti psicologici, l’intero sistema di Assessment & Training potrebbe essere molto più efficace. Infatti, si possono nutrire dubbi sulla validità di un supporto psicologico esercitato tra pari in cui un pilota formato e supervisionato fornisce una sorta di sostegno al collega in difficoltà. Allo stesso modo, le operazioni di valutazione psicologica e psichiatrica dovrebbero essere fortemente integrate e condotte con regolarità. Inoltre, attività di coaching clinico-psicologico dovrebbero accompagnare il percorso professionale dei piloti, integrandosi con le fasi di training e di valutazione periodica, oltreché da una valutazione psicologica in profondità per i piloti che aspirano al comando».
In che modo una ripresa delle ricerche potrebbe portare una forma di chiusura per le famiglie delle vittime e per l'industria dell'aviazione nel suo complesso?
«Le ricerche marittime dei governi di Australia, Malesia e Cina sono state interrotte nel gennaio del 2017. Il Boeing 777 era decollato da Kuala Lumpur, in Malesia, verso Pechino l'8 marzo 2014, quindi le ricerche sono state concluse dopo quasi tre anni dall’evento. L’anno successivo, nel 2018, una società privata americana ha scandagliato un’area di venticinquemila chilometri quadrati alla ricerca del relitto, impegno che non ha portato ad alcun risultato. Oggi, tra fine 2023 e inizio 2024, le famiglie delle vittime sono tornate a richiedere la riapertura delle indagini, e ciò al di là dei risarcimenti in moneta. Ciò che emerge è la necessità, da parte di queste persone, di mettere un punto conclusivo sulla vicenda e di ricevere una risposta attendibile dalle autorità competenti. E, sicuramente, gettare almeno qualche raggio di luce su ciò che è realmente accaduto gioverebbe al mondo del volo e alle aziende industriali e di servizi. È da ricordare che sulle coste dell’isola di Réunion sono stati recuperati dei rottami di aereo incrostati da cirripedi (crostacei marini) che potrebbero indicare un movimento di detriti oceanici spinto da correnti che, a loro volta, potrebbe far risalire a una zona di mare circoscritta per riprendere le ricerche».


Quali sono le implicazioni a lungo termine per l'industria dell'aviazione e per la percezione pubblica della sicurezza aerea se il volo MH370 non venisse mai trovato?
«Direi prima di tutto che il ritrovamento dell’aereo o di parti di esso e la successiva analisi dei referti potrebbero limitare molte di quelle ipotesi fantasiose e addirittura fantascientifiche che in genere aleggiano intorno a mezzi di trasporto (aerei e navali) improvvisamente scomparsi. Sarebbe quindi un ottimo supporto all’esame di realtà e alla presa di coscienza da parte di tutti, familiari e amici delle vittime in primo luogo. Vi è poi il fattore tecnico, cioè la possibilità di rubricare questo disastro sotto alcune categorie ben precise dal punto di vista della sicurezza degli aeromobili e delle modalità della loro gestione. Ciò potrebbe permettere alle industrie dell’aviazione di migliorare taluni aspetti che fanno riferimento alle diverse fasi di costruzione, allestimento e gestione degli aeromobili, e ai controlli periodici a cui sono sottoposti. Aggiungerei infine un aspetto non tecnico rilevante».
E cioè?
«E cioè che la scomparsa del volo MH 370 della Malaysia Airlines è avvenuto nel pieno della notte asiatica, un elemento che getta ancor più ombre inquietanti, ma anche fantastiche, su questo volo e, in generale, sull’esperienza del volare: un’esperienza che, nel tempo di oggi già così denso di incertezze e angosce, si carica di notevoli e differenziate ansietà, come ho evidenziato nel mio libro La paura di volare (Franco Angeli, Milano, 2011)».