Ilaria Salis: dalla prigione al Parlamento Europeo, la battaglia per i diritti umani

Insegnante di scuola elementare e militante antifascista, 39 anni, Ilaria Salis nel febbraio 2023 – secondo le cronache – sarebbe stata coinvolta in alcuni attacchi contro manifestanti di estrema destra in Ungheria durante il Giorno dell'Onore, evento organizzato per celebrare il battaglione nazista che si oppose all'avanzata dell'Armata Rossa nel 1945. Di qui la detenzione, a Budapest, durata quindici mesi. Professatasi (sempre) innocente, Salis nel frattempo ha beneficiato degli arresti domiciliari. Ora, dopo essersi candidata alle Europee in quota Alleanza Verdi e Sinistra, l'italiana è stata infine eletta. E adesso?
Salis, nel febbraio del 2023, era stata arrestata assieme a due cittadini tedeschi. E, prontamente, accusata di violenza e lesioni. I magistrati ungheresi, in particolare, avevano contestato all'insegnante italiana sia il reato di lesioni personali sia quello di appartenere all'organizzazione antifascista Hammerbande. Fra i cui scopi vi sarebbe pure quello di colpire, fisicamente, i presunti neonazisti. Secondo l'accusa, Salis avrebbe partecipato a due atti di violenza il 10 febbraio 2023. Nel primo caso contro un uomo, erroneamente scambiato per un estremista di destra a causa del suo abbigliamento dai tipici tratti militari, Nel secondo contro un musicista di estrema destra, László Dudog, le cui foto con il volto tumefatto erano state diffuse sui social.
Pochi mesi più tardi, nel giugno del 2023, era stata respinta la prima di tre diverse istanze presentate dai difensori di Salis. Il cui obiettivo era ottenere gli arresti domiciliari in Italia. A novembre, per contro, era arrivato il rinvio a giudizio. Pesante la richiesta della Procura ungherese: undici anni di reclusione. Nel gennaio del 2024 il caso era arrivato anche sui banchi della politica italiana. «Faremo di tutto per un affievolimento della sua situazione» aveva detto al riguardo il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Alla fine del mese, la stessa Salis aveva consegnato al Consolato italiano in Ungheria un documento nel quale raccontava la realtà carceraria da lei vissuta a Budapest: «Sono trattata come una bestia al guinzaglio. Da mesi sono tormentata dalle punture delle cimici nel letto, l'aria è poca, solo quella che filtra dallo spioncino». Durante il processo, le scene di Salis che entrava in aula con le manette e le catene a piedi e polsi avevano fatto il giro del mondo. Accendendo i riflettori sul caso. E spingendo Giorgia Meloni a parlare con Viktor Orbàn e, soprattutto, a chiedere a gran voce il «rispetto dei diritti» oltre a un «giusto processo» per Ilaria Salis. Anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, aveva aumentato i contatti con i diplomatici ungheresi. «Questa volta mi pare che si sia ecceduto» le parole del vicepremier osservando l’insegnante italiana con le manette e le catene in aula.
Il 28 marzo era stata respinta, di nuovo, una richiesta dei domiciliari, stavolta in Ungheria. La decisione del giudice di trattenere Salis in carcere, leggiamo, era motivata dal «pericolo di fuga». «I nostri ministri non hanno fatto una bella figura e il governo italiano dovrebbe fare un esame di coscienza» aveva spiegato nella circostanza Roberto Salis, il padre dell'insegnante. «Uno schiaffo irricevibile ai diritti di una persona detenuta, di una nostra connazionale» aveva commentato Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico. «Le circostanze non sono cambiate» e «13 mesi di carcere non sono poi tanti». Con queste frasi, il giudice Jozsef Sòs aveva insomma frenato le speranze di Ilaria Salis di uscire dal carcere. Roberto Salis, invece, aveva scritto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Si era già rivolto a Mattarella una prima volta a gennaio. La risposta del capo dello Stato? «Ha ribadito la sua vicinanza personale a me e alla famiglia e mi ha garantito il suo personale interessamento al caso» aveva spiegato il padre di Ilaria. «Lo ringrazio per la solerzia con cui mi ha risposto in meno di 24 ore e soprattutto per la sensibilità e la vicinanza al dramma che sto vivendo con la mia famiglia».
Lo scorso aprile, la svolta – chiamiamola così – politica di Ilaria Salis. «Alleanza Verdi e Sinistra – recitava la nota – in accordo con Roberto Salis ha deciso di candidare sua figlia Ilaria, detenuta in Ungheria, in condizioni che violano gravemente i diritti delle persone, nelle proprie liste». Una scelta per «tutelare i diritti e la dignità di una cittadina europea» ma anche per generare attorno al suo nome «una grande e generosa battaglia affinché l'Unione Europea difenda i principi dello Stato di Diritto».
Il resto è storia recente: lo scorso maggio, Ilaria Salis aveva potuto lasciare il carcere e andare ai domiciliari, in Ungheria. E questo perché il tribunale di seconda istanza ungherese, infine, aveva accolto il ricorso presentato dai legali della 39.enne italiana. «Finalmente abbiamo la possibilità di riabbracciare Ilaria, speriamo che questa sia una tappa temporanea prima di vederla finalmente in Italia» aveva affermato Roberto Salis dopo la scarcerazione della figlia. Il 24 maggio, Salis era arrivata in taxi al tribunale di Budapest, assieme ai genitori, per la terza udienza del processo a suo carico.
Salto nel presente: Salis, al termine di questo fine settimana elettorale, è stata eletta nel Parlamento europeo fra le fila di Alleanza Verdi e Sinistra. «Si tratta di un risultato straordinario per noi, che si inserisce in un quadro dell’Europa molto preoccupante» ha commentato il leader di Sinistra Italiana. Per il padre Roberto, se Ilaria tornerà in Italia, «bisogna chiederlo al ministro Tajani. Non è una candidata normale. È ancora ai domiciliari. Bisogna lavorare per porre fine a questa ridicola situazione». Una volta eletta, Salis dovrebbe godere dell'immunità parlamentare e di conseguenza tornare libera. Ma c'è un grosso, grossissimo punto interrogativo al riguardo: secondo le disposizioni attuali, infatti, un candidato eletto al Parlamento europeo può beneficiare immediatamente dell'immunità e «ciò implica che se questo candidato fosse detenuto in uno Stato membro, quest'ultimo dovrebbe inviare all'Eurocamera una richiesta di revoca dell'immunità». Tuttavia, secondo fonti di Bruxelles citate da Sky TG24 la semplice elezione «non garantisce la fine della detenzione». Di qui l'eventualità che si apra un vero e proprio contenzioso fra il Parlamento europeo e l'Ungheria.