Instabilità

In Africa si alza la temperatura, la situazione così sfugge di mano

Nella grande fascia geografica chiamata Sahel, la principale causa di una violenza sempre più dilagante è il cambiamento climatico – La diminuzione delle terre verdi costringe le popolazioni di pastori nomadi a spostarsi finché entrano brutalmente in contatto con gli agricoltori sedentari
AP Photo/Jason Patinkin
Matteo Giusti
13.03.2023 06:00

Villaggi attaccati in Camerun, case bruciate in Nigeria, migliaia di sfollati in Sudan, sono la fotografia di cosa sta accadendo nella grande fascia geografica chiamata Sahel che attraversa da Ovest a Est il continente africano. Una regione sconvolta dalla violenza, ma questa volta il motivo non va cercato negli scontri etnici, tribali o religiosi, o meglio non solo in queste ataviche differenze. La principale motivazione che sta provocando centinaia di morti sta nel cambiamento climatico, il nuovo elemento destabilizzante di equilibri da sempre precari.

Lo studio delle Nazioni Unite

Uno studio delle Nazioni Unite ha stimato che nel Sahel le temperature stanno aumentando più velocemente (x 1,5) della media globale e che circa l’80% dei terreni coltivabili è già gravemente degradato. La continua diminuzione di terre verdi colpisce le popolazioni di pastori nomadi che da millenni praticano la transumanza, spostando le proprie mandrie e greggi di centinaia di chilometri alla ricerca di pascoli. Oggi questi spazi di manovra sono drasticamente ridotti per la desertificazione e l’ormai endemica scarsità di acque, così i pastori vengono a contatto con le etnie di agricoltori sedentari scatenando scontri violentissimi.

Villaggi attaccati con gli archi

Si tratta di una questione economica e sociale che vede molte situazioni critiche. In Camerun la siccità ha quasi prosciugato il fiume Logone, che segna il confine fra Camerun e Ciad, portando le comunità di pescatori allo scontro con i pastori arabi Choa. Le comunità che si dedicano alla pesca avevano costruito alcune trincee per cercare di evitare il completo prosciugamento del fiume, ma queste trincee sono diventate trappole per il bestiame dei pastori che hanno perso alcuni capi. Questo ha scatenato lo scontro con armi tradizionali, e i villaggi dei pescatori sono stati attaccati con archi e machete, costringendo migliaia di persone a fuggire oltre confine. Ma tali scontri accadono quasi quotidianamente. L’Alto Commissariato per i Rifugiati ha accusato i Governi di non fare abbastanza per permettere alle popolazioni sfollate di tornare alle proprie case.

Nel Corno d’Africa

L’estrema siccità dovuta al cambiamento climatico ha colpito con forza anche il Corno d’Africa, dove sono fallite tre stagioni delle piogge. Fra Gibuti, Somalia, Etiopia e Kenya ci sono circa 10 milioni di bambini che non hanno acqua. La siccità ha ucciso il bestiame, e intere tribù si sono trovate costrette a spostarsi per migliaia di chilometri alla ricerca di sorgenti d’acqua, provocando il peggior esodo degli ultimi decenni nel Corno d’Africa. Nei campi improvvisati stanno scoppiando continuamente epidemie perché i profughi bevono acqua contaminata e si registrano centinaia di casi di colera, letale soprattutto per i bambini. Migliaia di persone sono così state costrette a partire affidandosi ai trafficanti di esseri umani rischiando la vita per raggiungere l’Europa o la Penisola Arabica.

Nonostante il Papa

In Sud Sudan gli scontri e la violenza non si sono fermati nemmeno durante la visita di Papa Francesco. Pochi giorni prima del suo arrivo a Juba, i Nuer, pastori semi-nomadi, hanno attaccato e ucciso 27 persone di etnia Murle per una questione di pascoli. Ma in Sud Sudan lo scontro fra pastori e agricoltori viene alimentato e utilizzato dai due grandi contendenti della politica sudsudanese. Il presidente Salva Kiir, di etnia stanziale Dinka, combatte da anni con il suo vice-presidente Riek Machar, di etnia semi-nomade Nuer, e questa lotta politica ha radicalizzato lo scontro fra le tribù costrette a lottare per i pochi terreni ancora coltivabili.

Il caso della Nigeria

Ma questo non è l’unico caso nel quale vengono politicizzate e usate antiche rivalità esasperate dalla mancanza di acqua e terre verdi. Il nord della Nigeria vede da molti anni un conflitto fra i pastori Fulani di religione musulmana e i coltivatori Yoruba invece cristiani o animisti. La nascita dello stato nigeriano, avvenuta unendo artificialmente comunità che non avevano nulla in comune, ha portato a contatti forzati, amplificando le possibilità di scontro. I Governi africani hanno sempre favorito le comunità stanziali, perché più facili da controllare, sfavorendo nel caso nigeriano i pastori Fulani, un’etnia presente in Nigeria, Mali, Niger, Mauritania, Camerun e Ciad e che non ha mai rispettato i confini stabiliti dai colonizzatori. Questo antico e fiero popolo si è sentito marginalizzato e ha sofferto in maniera opprimente le limitazioni territoriali che gli Stati hanno sempre cercato di imporre. Ora, con la diminuzione dello spazio dedicato ai pascoli per il cambiamento climatico, i Fulani sono diventati particolarmente aggressivi. Lo Stato Islamico e Boko Haram hanno approfittato di questa delicata situazione e, utilizzando la fede islamica del popolo Fulani, hanno iniziato un forte proselitismo in questa tribù. Gli islamisti hanno arruolato molti giovani pastori, cavalcando la loro rabbia per lo Stato centrale soprattutto nigeriano, che non ha seriamente affrontato il problema.

I Tuareg armati

Anche i Tuareg, gli uomini blu del deserto, sono diventati una pedina del gioco geopolitico del Sahel. Abituati da secoli a spostarsi da un’oasi all’altra con le greggi di capre e con i dromedari, oggi con la desertificazione non trovano più acqua e sono costretti a scendere a Sud nelle province centrali del Mali. Lo Stato Islamico ha armato e organizzato i Tuareg, che hanno preso il controllo di tutto il nord del Mali, una regione chiamata Azawad, dichiarando la creazione di una repubblica islamica tuareg. La debolezza e la completa mancanza di risposta da parte dei deboli Governi africani, unita a convivenze a volte forzate fra popoli diversi, sono state deflagranti in una situazione ambientale e climatica grave come quella africana. La lotta per la terra, la mancanza di acqua potabile, l’avanzare inesorabile del deserto e la crescita dell’estremismo islamico porteranno a nuovi scontri e costringeranno migliaia di persone ad abbandonare i propri villaggi trasformandoli in profughi senza un futuro.

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