In Francia è sfida aperta a Emmanuel Macron
Nona giornata di mobilitazioni contro la riforma delle pensioni voluta a tutti i costi (e difesa con i denti) dal presidente Emmanuel Macron. E la Francia torna a fare i conti con proteste diffuse, dure, violente. In un clima sempre più cupo, di autentica rivolta sociale, in ogni centro abitato del Paese oggi è andato in scena un copione più o meno identico: cortei spontanei oppure organizzati dai sindacati, sbarramenti della polizia a protezione degli obiettivi sensibili, sassaiole contro lacrimogeni, vetrine infrante, cassonetti dati alle fiamme. Un inferno urbano, di cui sono fedele testimonianza migliaia di foto pubblicate online dai media e, sui social, dai diretti protagonisti.
Un primo bilancio, del tutto incompleto, parla di 33 persone fermate a Parigi; di 8 manifestanti arrestati a Le Havre, nel Nord, con l’accusa di danneggiamenti di arredo urbano e incendio di cassonetti e materiale pubblico; di altri 8 fermi a Rouen, in Normandia, dove 11 persone sono finite in ospedale a causa delle ferite riportate durante gli scontri (e, fra loro, una donna cui è stato amputato un pollice).
Almeno tre i poliziotti feriti a Parigi, durante lo scontro con un gruppo di black bloc: un agente è stato colpito alla testa da un sampietrino - una pietra di granito staccata dal pavé - ed è stato trasportato in ospedale con urgenza.
A Rennes, in Bretagna, tredici sono state le persone arrestate, tre i poliziotti feriti e tredici quelli contusi, quindici gli incendi domati dai vigili del fuoco. «La nostra città, il nostro Paese hanno bisogno di un gesto forte, un gesto di pacificazione, un messaggio di armonia - ha detto la sindaca socialista Nathalie Appéré - Faccio appello al presidente della Repubblica: lei ha il potere di fermare questa spirale. Decine di migliaia di persone ve lo hanno chiesto pacificamente, su invito dei sindacati, anche questo pomeriggio. Ascoltateli, ascoltateci: ritirate la riforma delle pensioni».
Gli scontri, come detto, sono stati ovunque durissimi. A Lorient, una piccola cittadina della Bretagna, la stazione di polizia è stata presa di mira dai manifestanti, in gran parte giovani e con il volto coperto. Le finestre dell’edificio adiacente alla sottoprefettura, ha raccontato il corrispondente dell’agenzia France Presse, sono state devastate da un diluvio di pietre. E prima che i gendarmi intervenissero per disperdere la folla con il gas irritante, contro la caserma sono state lanciate anche alcune bottiglie molotov. «È stato un attacco senza precedenti, un atto gravissimo che non potrà restare impunito», ha reagito su Twitter il ministro dell’Interno Gérald Darmanin.
Dibattito politico durissimo
Il dibattito politico ha inevitabilmente risentito del clima della piazza, toccando punte di asprezza come mai accaduto in precedenza. La prima ministra, Elisabeth Borne, ha accusato esplicitamente i parlamentari delle opposizioni di fomentare la rabbia della gente e di «promuovere la violenza, facendo ricorso a un vocabolario bellicoso». Affermazioni che, ovviamente, hanno scatenato durissime reazioni. «Il sistema pensionistico deve rimanere un fondamento della nostra unità. Di fronte a questa riforma ingiusta, continueremo a marciare. La mobilitazione continuerà - ha detto Grégory Doucet, sindaco di Lione ed esponente dei Verdi - L’idea di far lavorare più a lungo è pura ipocrisia, con l'approvazione forzata della legge grazie all’articolo 49.3, il Governo mostra di disprezzare i cittadini, ciò che la gente non può più sopportare».
«Il Governo non ha un piano, non sappiamo dove stia andando. La situazione sta diventando preoccupante. I giovani si mobilitano, le manifestazioni si moltiplicano, non ci sono risposte: tutto questo è lunare - ha detto Thomas Dossus, senatore ambientalista del Rodano - Macron non ascolta, si comporta come un re».
La guerra dei numeri
La sindaca di Lille ed ex segretaria del Partito Socialista, Martine Aubry, ha criticato la «visione avvilente e pretenziosa dell’Eliseo: ho la profonda convinzione che Macron ci stia umiliando, che non ascolti il popolo francese, che non ascolti nemmeno i suoi rappresentanti in Parlamento». Aubry ha definito, in particolare, «inammissibile» il paragone fatto dal presidente tra i manifestanti di piazza francesi e gli assalitori del Campidoglio di Washington, la folla di sostenitori trumpiani che il 6 gennaio 2021 devastò la sede del Parlamento americano: «Parlare di ribelli è inaccettabile da parte di un presidente della Repubblica», ha detto la sindaca di Lille.
In una situazione apertamente drammatica, non è mancata una nota grottesca (ma affatto casuale, nella società dell’informazione, i cui successi si misurano in forme talvolta paradossali): un’altra guerra, questa volta di soli numeri, è stata combattuta per tutto il giorno tra le varie autorità, i sindacati e gli organizzatori dei cortei. I quali hanno evidentemente vissuto e osservato due Paesi diversi. Il ministero dell’Interno ha infatti comunicato alla stampa che i manifestanti scesi oggi in piazza sono stati 1,08 milioni: più del 23 marzo (800.000), ma meno del 19 gennaio (1,12 milioni), del 31 gennaio (1,27 milioni) e del 7 marzo (1,28 milioni). Da parte sua, la CGT - il sindacato più rappresentativo in Francia - ha contato 3,5 milioni di persone in strada, tanto quante ne aveva registrate lo scorso 7 marzo nell’altra grande mobilitazione contro la riforma delle pensioni.
Il terzo ricorso
La protesta non si ferma. E mentre per martedì 28 è già stata convocata la decima giornata di mobilitazione generale, le opposizioni I senatori della sinistra hanno presentato ricorso al Consiglio costituzionale contro la riforma voluta da Macron. Socialisti, comunisti ed ecologisti contestano sia lo strumento legislativo utilizzato, ovvero una legge di modifica del finanziamento previdenziale, ritenuta «inadatta» per una riforma di tale portata. Sia la procedura, ovvero l’ormai famosissimo articolo 49.3 che ha permesso di accelerare il dibattito e di adottare la legge senza voto in Assemblea nazionale. «Un concentrato di attacchi alle esigenze di chiarezza e sincerità del dibattito parlamentare», è la tesi dei senatori anti-macroniani. Il cui ricorso si aggiunge a quelli già presentati dalla destra del Rassemblement National di Marine Le Pen e dalla France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon.