Il ritratto

In Russia il pericolo poco percepito di una crisi economica

Se sul terreno le truppe del Cremlino stanno approfittando di una fase positiva, nel Paese bisogna (e bisognerà a lungo) fare i conti con problemi e rischi
© KEYSTONE (MAXIM SHEMETOV/POOL)
Marta Ottaviani
14.03.2025 06:00

Se una vittoria deve essere calcolata anche in base al prezzo che sta costando, allora la Russia difficilmente potrà uscirne vincitrice. Quella che nel Paese chiamano «operazione militare speciale», sta costando carissima in termini di vite umane, crisi economica e contrasti sociali. Il tutto, ben mascherato dalla propaganda nazionale, che ormai non si ferma più ai giornali e alle televisioni, ma è da mesi entrata anche nelle scuole. Gli studenti di tutti i corsi scolastici devono infatti seguire lezioni sulle tradizioni russe e sull’operazione militare in corso. A partire dal liceo, e anche all’università, una parte delle ore di lezione è dedicata all’educazione militare. Nelle scuole sono stati creati piccoli musei per documentare lo sforzo dei soldati impegnati contro l’Ucraina, ritratta come il male assoluto e veicolo dell’Occidente per indebolire la Russia. Una nuova idea di Patria per la Russia di domani. Per la precisione, la Russia del presidente Vladimir Putin, quella che trova una sintesi nelle ambizioni imperiali amalgamate con una modalità di gestione del potere degna del peggiore sovietismo. Per molti analisti, l’invasione dell’Ucraina doveva corrispondere all’inizio del suo declino. Complice l’apparente resilienza del popolo russo e la mutata disposizione degli Stati Uniti, si trasformerà in un suo trionfo. Almeno per le cronache ufficiali.

Il possibile isolamento

Se prima della guerra la Russia era un gigante con i piedi d’argilla, per via della sua economia, dipendente in gran parte dalle risorse energetiche, ma arretrata sui nuovi temi che guideranno la leadership globale, come la tecnologia, dopo la cosiddetta operazione militare speciale possiamo dire che Mosca rischia di ritrovarsi isolata e indietro sotto molti aspetti nella grande competizione globale. L’economia russa rischia una crisi senza precedenti. L’allarme arriva direttamente dalla governatrice della Banca Centrale, Elvira Nabiullina. Secondo l’economista, nel 2025 il Paese potrebbe andare in stagflazione, con crescita quasi ferma e inflazione elevata. Nella migliore delle ipotesi, la crescita non sarà superiore all’1,5%. Un pericolo ancora poco percepito, nonostante i dati ufficiali mostrino già segnali preoccupanti. Il credito più costoso frena gli investimenti, mentre la struttura produttiva è ormai sbilanciata. L’economia bellica ha sostituito i settori energetici tradizionali, ma le fabbriche hanno raggiunto i loro limiti operativi. La produzione di armi è intensa, ma la domanda interna resta debole e l’inflazione è fuori controllo: a febbraio ha superato il 10%, il valore più alto degli ultimi due anni, nonostante l’intervento della Banca Centrale sui tassi di interesse. Il mercato del lavoro, apparentemente solido, è in realtà distorto dalla guerra: il 73% delle aziende lamenta carenza di manodopera, mentre il tasso di utilizzo degli impianti supera l’80%. Tuttavia, quando il conflitto terminerà, milioni di persone rischieranno la disoccupazione.

A questo quadro, non particolarmente confortante, vanno aggiunti due aspetti. Il primo è rappresentato dai soldati caduti in Ucraina. Le cifre ufficiali non si conosceranno mai. I dati di Kiev, che possono, ragionevolmente, essere approssimati per eccesso, parlano di oltre 700mila morti. Il tutto, in un Paese con un deficit demografico consistente e le casse svuotate a causa dello sforzo bellico. Per trovare più «carne da cannone», come chiamano in Russia i soldati senza addestramento, il Cremlino ha iniziato a pagarli. Cifre che vanno dai 15mila ai 30mila euro per un ingaggio che dura un anno e che è comunque in grado di cambiare la sorte di famiglie intere. In una Russia che, prima di tutto, è profondamente ingiusta, non tutti i reclutati sono uguali. Fra i chiamati al fronte, e senza incentivo, anche migranti che vengono dall’Asia Centrale e comunque da regioni a maggioranza musulmana. Il conflitto non si è ancora chiuso, ma la Russia deve già sin d’ora fare i conti con una nuova, potenziale ondata di terrorismo islamico. 

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