«In Siria un futuro incerto dopo il buio della tirannia di Bashar al-Assad»
Giuseppe Acconcia insegna Geopolitica del Medio Oriente all’Università di Padova. Il suo ultimo libro, scritto con Giulia Aiello, Laura Menin e Caterina Roggero si intitola Mondi arabi. Una guida essenziale (Bompiani, 2024). «In queste ore - dice Acconcia al Corriere del Ticino - si stanno chiudendo 54 anni di potere della famiglia al-Assad in Siria. Siamo quindi di fronte a una data storica. Questo, però, non significa che sia conclusa pure la guerra civile siriana che va avanti dal 2011. Sicuramente, uno dei più terribili autocrati del Medio Oriente ha terminato qui la sua permanenza al potere. Bashar al-Assad si lascia alle spalle un disastro: centinaia di migliaia di morti, 500 mila secondo alcuni osservatori, e 6,6 milioni di rifugiati. Il suo regime è stata una pagina oscura della storia moderna della Siria».
Professor
Acconcia, che cosa ci sarà dopo Assad? Il regime tirannico sarà sostituito da
una democrazia? I jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) quali garanzie danno
in tal senso?
«Va
detto prima di tutto la guerra civile non è finita. Si sta combattendo ancora a
Deir el-Zor, la città dove continuano gli scontri fra le forze siriane
democratiche guidate dai curdi e i fuoriusciti dell’esercito appoggiati dai
turchi. Poi ci sono le due basi russe di Latakia (Laodicea) e Tartus, città
sulla costa molto importanti per Mosca da un punto di vista strategico poiché
sono la porta del Cremlino sul Mediterraneo. Nei prossimi giorni potrebbero
quindi aprirsi pagine ancora più sanguinose delle precedenti, per tanti motivi.
Sicuramente, ci sarà uno sconto, peraltro già in atto, tra HTS e gli altri
gruppi che hanno raggiunto il potere a Damasco. Poi, bisognerà capire se i
curdi potranno mantenere le posizioni nel Nord del Paese. La Turchia ha finanziato
e ha sostenuto apertamente i ribelli, ma il suo obiettivo era liberarsi tanto
di al-Assad quanto dei curdi».
Che
cosa ci si può aspettare dal leader di HTS, l’ex jihadista Abu Mohammad
al-Jolani?
«È
difficile dirlo. Ci sono molti passaggi da osservare. Prima di tutto, bisognerà
capire quale sarà la sorte del primo ministro Mohammed Ghazi al-Jalali e di
tutta la nomenclatura e la burocrazia che hanno sostenuto il regime di
al-Assad. Poi si dovrà vedere come si comporteranno i tanti militari che si
sono spogliati in fretta della divisa o i detenuti usciti dalle prigioni,
compresa la famigerata Sednaya. Superata la fase dei festeggiamenti da un lato,
e delle reazioni dello Stato profondo della burocrazia e delle istituzioni
pubbliche dall’altra, si aprirà la
transizione. E qui, evidentemente, la figura di Abu Mohammad al-Jolani sarà
centrale per capire come si andrà avanti. Al-Jolani si
presenta oggi come un leader nazionalista e sembra voler mantenere un profilo
moderato. Tuttavia, parliamo sempre di figure che hanno militato nello Stato
islamico, tra i ribelli di Jabhat al-Nuṣra e in al-Qaeda, uomini che hanno un
passato di jihadismo e di lotta armata. Alcuni di loro sono veri e propri
terroristi, e fa molto riflettere
come da una parte siano arrivati i complimenti dei talebani di Kabul e, dall’altra,
lo stesso presidente turco Recep Tayyip Erdoğan
sostenga che non tutti i ribelli sono raccomandabili, mettendo così
le mani avanti rispetto ad alcune delle componenti politiche prossime al potere
in Siria».
Si
può dire, allora, che finisce, un regime dispotico ma che, sul futuro, grava un
gigantesco punto interrogativo?
«Sì. Da una parte, la mancanza di rispetto dei
diritti umani e la crisi umanitaria erano così gravi che quanto accaduto sembra
una liberazione dalla fase buia che ha attraversato il Paese.
Dall’altra, però, potrebbero esserci scenari drammatici. Certo è che abbiamo
assistito comunque a un passaggio storico per il Medio Oriente da una
leadership regionale iraniana a una leadership sempre più targata Ankara».