Israele ha colpito, ma come risponderà l'Iran?
E adesso? La domanda, dopo l’uccisione del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah – annunciata da Israele e, a distanza di ore, confermata anche dall’organizzazione sciita – è tanto logica quanto preoccupante. Parlare di nuova escalation, dopo l’attacco mirato dello Stato Ebraico e, allargando il campo, dopo giorni e giorni di raid sul Libano, non è sbagliato. Al punto che, ora, alcuni esperti sottolineano: Israele, in futuro, bombarderà anche l’Iran?
Di sicuro, la decisione di scardinare Hezbollah passo dopo passo, fino ad arrivare ai suoi vertici, avrà forti, fortissime ripercussioni. Sia a medio sia a lungo termine. Testimoni, ieri, hanno riferito di non aver mai udito, a Beirut, esplosioni così forti. Non dall’ultimo confronto diretto fra Israele e Hezbollah, nel 2006. Le forze israeliane hanno colpito al calar del sole, sconquassando i sobborghi meridionali della capitale libanese. Detto che l’organizzazione filo-iraniana ha appena confermato la morte del suo leader, è evidente che Israele, ieri, con quel raid stesse cercando proprio lui. E i suoi più stretti collaboratori. Uno degli ultimi post delle IDF, le Forze di difesa israeliane, su X insiste, con soddisfazione, proprio sul fatto di aver eliminato l’establishment di Hezbollah.
Che cosa vuole Netanyahu
In un certo senso, non era neppure così importante sapere se Nasrallah fosse morto, come affermato inizialmente solo da Israele. La sola intenzione, spesso, può bastare per provocare ferite altrettanto profonde. O, meglio, conseguenze. Militari e politiche. Il punto, ora, è capire come reagirà l’Iran e, di riflesso, che intenzioni ha Israele rispetto alla Repubblica Islamica. Per anni, Teheran ha finanziato e sostenuto Hezbollah affinché combattesse lo Stato Ebraico. Un modo, questo, per affermare la propria influenza nella regione ma, al contempo, per evitare che Israele attaccasse direttamente l’Iran. I colpi inferti all’organizzazione rischiano di far cadere una pedina fondamentale nello scacchiere di Teheran.
A maggior ragione se pensiamo che, mentre Beirut veniva sconquassata dalla forza dell’esercito israeliano, alle Nazioni Unite Benjamin Netanyahu ha tenuto un discorso – oseremmo dire – marziale. Il primo ministro israeliano, fra le altre cose, ha riaffermato la volontà del Paese a eliminare la minaccia rappresentata da Hezbollah e, ancora, definito «una maledizione» l’asse del male formato da Libano, Iran, Iraq e Siria. Meglio, molto meglio ai suoi occhi sarebbe un corridoio «libero» che consenta all’Europa di connettersi all’India attraverso il Medio Oriente.
Mesi fa, la domanda di come sarebbe stata una guerra aperta fra Iran e Israele era emersa con forza (ne avevamo parlato qui e qui). Ora, dopo quanto accaduto a Beirut, il segnale che lo Stato Ebraico lancia a Teheran sembrerebbe suggerire che, nel caso, Israele è pronto al confronto. Una sfida, insomma, alla Repubblica Islamica. E una minaccia. «Non c’è luogo in Iran che il lungo braccio di Israele non possa raggiungere, e questo vale per tutto il Medio Oriente» ha detto al riguardo Netanyahu. Il quale, sfruttando tutta la retorica di cui dispone, ha chiesto alle Nazioni Unite: «La vostra nazione starà dalla parte di Israele? Starete dalla parte della democrazia e della pace? Oppure starete dalla parte dell’Iran, una dittatura brutale che sottomette il suo stesso popolo e che esporta terrorismo in tutto il mondo?». Parole, queste, rivolte anche, se non soprattutto, agli alleati di Israele, visti gli appelli, urgenti, a una de-escalation.
Le prime reazioni dall'Iran
Ecco, gli alleati. Lo scorso aprile, quando l’Iran ha lanciato un massiccio attacco con droni e missili contro Israele, una vasta coalizione a guida statunitense, comprendente la Francia, il Regno Unito, l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e la Giordania, è intervenuta per intercettare e abbattere una larga parte dei missili. Washington, nel frattempo affrettatasi a cercare e favorire un accordo per un cessate il fuoco in Libano, appare quasi «prigioniera» delle volontà militari di Israele. Fino a subirne l’iniziativa. Detto in altri termini: Teheran, se e quando risponderà a questa operazione, deve chiedersi anzitutto se gli Stati Uniti entreranno una volta ancora in azione per difendere lo Stato Ebraico. Non solo, dall’inizio della guerra a Gaza, in risposta agli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre 2023, l’Iran ha fatto ampio uso del cosiddetto «anello di fuoco»: gli Houthi in Yemen, le milizie sciite in Iraq e Siria, Hezbollah. Senza tuttavia riuscire a prevalere. Anzi, uscendone indebolito a giudicare dai danni inferti da Israele proprio a Hezbollah. Ali Larjani, già consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei, ha ammonito dalle frequenze della televisione statale: «La resistenza ha una struttura costituita da capi forti. Per ogni leader morto, c’è un sostituto». Come dire: anche l’Iran è pronto alla sfida. E a un eventuale, a questo punto probabile secondo gli esperti, ingresso israeliano in Libano. Mohammad Hassan Akhtari, vicepresidente dell’Iran per gli Affari internazionali, a tal proposito ha spiegato che il Paese è pronto a inviare e schierare le sue truppe in Libano e sul versante siriano delle alture del Golan: «Possiamo inviare truppe in Libano per combattere contro Israele». Come negli anni Ottanta. Chiamatela escalation, sì.