Francia

Jean-Marie Le Pen, un «diavolo» dalla controversa eredità politica e familiare

Il fondatore del Front National, famoso per le sue uscite antisemite e razziste, è morto all'età di 96 anni – Dai rapporti, pessimi, con la figlia alle frasi sulle camere a gas
© AP/Christian Lutz
Marcello Pelizzari
07.01.2025 14:52

Jean-Marie Le Pen è morto. «Circondato dalla sua famiglia, è stato chiamato a Dio martedì alle 12» si legge in una nota. Aveva 96 anni. Ma Le Pen, affermano in coro molti francesi, se n'era già andato. Il riferimento è all'uscita di scena dalla politica, dopo sessant'anni di carriera, nel 2015. Sua figlia, Marine, allora non poteva fare altrimenti. Non dopo l'ennesima sparata del padre: «Le camere a gas naziste? Un semplice dettaglio della storia». All'epoca, Le Pen era presidente onorario del Front National, partito che aveva fondato e guidato per decenni. Partito grazie al quale aveva riportato la destra al centro dei riflettori e della scena politica. Marine, dicevamo, non poteva fare altrimenti. Anche perché i suoi sforzi elettorali, accompagnati da una forte, fortissima campagna di de-demonizzazione, altrimenti avrebbero rischiato di rivelarsi vani. Quell'uscita, poi, non era una novità assoluta. Le Pen l'aveva sfoderata già nel 1987.

Jean-Marie Le Pen, dopo quella esternazione, era stato prima sospeso e poi espulso dal partito. Marine, nel confermare la decisione, aveva spiegato che il padre voleva «danneggiare il Front National». Lui, il vecchio, era arrivato perfino a ripudiare la figlia, dicendo di «vergognarsi che porti il suo nome». La rottura politica, irreversibile, era stata accompagnata anche da una vera e propria faida familiare. Marine, nel 2017, dichiarava a proposito del padre: «Non ho rapporti con lui. Subordina il ritorno alle relazioni familiari all'instaurazione di un rapporto politico con me. Ma gli ho detto chiaramente che non entrerò di nuovo in politica con lui. Quindi, non ci sarà un rapporto padre-figlia. E di questo me ne dispiaccio». Il tempo, in realtà, avrebbe fatto il suo corso. Consentendo a padre e figlia, in questi ultimi anni, di riconciliarsi.

La Seconda guerra mondiale, a lungo, ha rappresentato un terreno di scontro fra i due. Già nel 2005, riferisce fra gli altri Le Monde, Marine Le Pen aveva quasi rotto con il padre. Per un'altra dichiarazione pesante. «L'occupazione tedesca non fu particolarmente disumana, anche se ci furono errori» le parole di Jean-Marie. «Errori inevitabili in un Paese di 550 mila chilometri quadrati». Le simpatie naziste del padre, per tutti questi anni, sono state un peso enorme per Marine. Un peso da cui ha sempre cercato di liberarsi, di qui appunto la definizione di de-demonizzazione, nell'ottica di conquistare credibilità sulla scena politica. Per sé e per il partito, che nel 2018 verrà ribattezzato Rassemblement National (anche) per distanziarsi dal suo fondatore. Le Pen figlia, a sua volta, aveva usato parole pesanti. Nei confronti del padre. A suo dire, il partito doveva liberarsi dalla «tunica di Belzebù» o, meglio, dal «sospetto di antisemitismo» alimentato dalle uscite di Jean-Marie Le Pen.

Il quale, per dirla sempre con Le Monde, viveva di provocazioni. E non era assetato di potere, a differenza della figlia che, invece, ha costruito il suo personaggio politico nell'ottica di prendere il timone del Paese. Si racconta, al riguardo, che nel 2002, dopo essersi trovato – potenzialmente – alle porte del potere, Jean-Marie Le Pen si era, letteralmente, spaventato. I suoi commenti, le sue sparate, quel mostrarsi antisemita, stando a chi gli stava vicino, erano un modo, certo non ortodosso e indubbiamente offensivo, per «esistere politicamente e non essere dimenticato». Tutto, anche insultare il corso della storia, pur di rimanere sotto i riflettori.

Secondo i politologi, la vita e la carriera politiche di Jean-Marie Le Pen sono cambiate nel 1987, a settembre. Ospite del programma politico Grand Jury, Le Pen era tutto fuorché un diavolo in quel momento. Anzi, si era autoproclamato un Reagan à la française e un anticomunista di destra. Pochi mesi prima, negli Stati Uniti, era perfino stato applaudito dal Congresso ebraico mondiale. Durante la trasmissione, tuttavia, a Le Pen avevano chiesto un'opinione sulle tesi di alcuni negazionisti del genocidio e delle camere a gas. «Credo che la verità, che è straordinariamente potente, non abbia paura delle bugie o delle insinuazioni. Di conseguenza, sono ostile a tutte le forme di proibizione e regolamentazione del pensiero». Tradotto: che ognuno dica ciò che vuole dire. E ancora: «Ho una serie di domande. Non sto dicendo che le camere a gas non siano esistite. Io stesso non ne ho viste. Non ho studiato specificamente la questione. Ma penso che sia un punto secondario nella storia della Seconda guerra mondiale». Un dettaglio costato la vita a sei milioni di persone. «La domanda posta, come queste persone siano state uccise o meno, è un dettaglio di guerra. Mi sta dicendo che questa è una verità rivelata in cui tutti devono credere, che è un obbligo morale? Sto dicendo che ci sono storici che discutono di queste questioni». All'incedere delle domande, Le Pen si era mostrato sempre più teso e nervoso. Fino a suggerire che i nazisti potrebbero non aver compiuto un genocidio attraverso le camere a gas: «Ci sono stati molti morti, centinaia di migliaia, forse milioni di morti ebrei e anche morti di persone che non erano ebree».

La portata di quelle dichiarazioni si sarebbe rivelata giorni dopo. Ma da quel giorno di settembre del 1987 Le Pen diventerà una figura, citiamo Le Monde, «radioattiva». A cui nessuno osava più avvicinarsi. La vicenda, inevitabilmente, aveva creato tensioni anche all'interno del Front National. E aveva contribuito a isolare il partito. Lo stesso Le Pen era sempre più visto come un problema, prima ancora che un «semplice» provocatore o un buffone di corte. Aveva ripetuto le sue osservazioni sulla Seconda guerra mondiale nel 1997, nel 2008, nel 2009 e, un'ultima volta, nel 2015. A furia di ripetere certe fesserie, aveva finito per diventare (o per passare come) razzista, antisemita e negazionista dell'Olocausto. Le condanne per incitamento all'odio e alla discriminazione accumulate, in questo senso, non mentono. A livello politico, le sue azioni non sono passate inosservate. Se, oggi, l'estrema destra di Le Pen figlia e Jordan Bardella fatica, ancora, a farsi accettare dalla cosiddetta destra parlamentare è anche per via del pensiero del padre di Marine. 

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