Domande e risposte

Joe Biden e l'ultimo shot di vodka

Che cosa intende il presidente statunitense quando afferma che la Russia ha perso lo status di «nazione più favorita»? E questa sanzione avrà un impatto su Mosca?
Marcello Pelizzari
12.03.2022 17:00

L’Ucraina combatte. L’Occidente sanziona. Nella speranza, in entrambi i casi, che l’offensiva russa si fermi. Che la guerra, insomma, si esaurisca per lasciare spazio al dialogo, per quanto difficile possa apparire ora.

Venerdì, dagli Stati Uniti, il presidente Joe Biden di concerto con l’Unione Europea ha revocato alla Russia lo status di «nazione più favorita» nell’ambito del commercio. L’amministrazione americana, come noto, ha pure bandito l’importazione di svariati beni russi. Fra questi l’alcol, o meglio la vodka, il caviale e i diamanti.

Non solo, Biden ha pure fermato l’esportazione di orologi, macchine, vestiti e altri beni americani verso la Russia. Stop. Punto.

Il Congresso, leggiamo, dovrebbe approvare a stretto giro di posta la legislazione per formalizzare il declassamento della Russia. La revoca di questo particolare status, va da sé, è soltanto l’ultima di una serie di sanzioni in risposta alla brutale aggressione di Mosca.

Da solo, il declassamento non avrà un grande effetto sull’economia russa. Combinandolo alle altre sanzioni, però, è auspicabile che la pressione su Putin aumenti.

Ma di cosa stiamo parlando?
Ma che cosa si intende, di preciso, con «nazione più favorita»? Si tratta, fondamentalmente, di una clausola. Citiamo l’Enciclopedia Treccani: «Clausola contenuta in un trattato internazionale, con la quale gli Stati contraenti si impegnano a concedersi reciprocamente il trattamento più favorevole che abbiano concesso o eventualmente concederanno in futuro, in una determinata materia (ad es. commercio, navigazione, circolazione delle persone, ecc.), a uno o più Stati».

L’idea, di base, è che tutti i partner di un Paese vengano trattati (e tassati) allo stesso modo. Per dire: se l’America applica una tariffa del 13% su, poniamo, i microchip importati, significa che lo stesso prodotto importato da Cina, Taiwan o Russia è tassato con la medesima aliquota.

È, questa, la base del commercio globale, che assicura un’equità di trattamento all'interno dell'Organizzazione mondiale. Vi sono, è vero, delle eccezioni. Legate tuttavia ai Paesi in via di sviluppo.

L’America, negli anni, ha revocato lo status di «nazione più favorita» a una dozzina di nazioni. In genere per ragioni politiche. Durante la Guerra Fredda, rimanendo in tema, la sanzione venne applicata all’Unione Sovietica e ad altri Paesi satelliti comunisti.

Se escludiamo Cuba e Corea del Nord, lo status è stato ripristinato a tutte le nazioni coinvolte. Pensiamo alle nazioni dell’Est Europa una volta caduto il comunismo e tramontata l’URSS, ma anche alla Cina in seguito alla storica visita del presidente Nixon. La Russia, ora, è tornata nel girone dei cattivi.

La vodka Beluga, una delle più pregiate prodotte dalla Federazione Russa. © Shutterstock
La vodka Beluga, una delle più pregiate prodotte dalla Federazione Russa. © Shutterstock

La sanzione è solo simbolica?
Dicevamo degli effetti di una simile sanzione. Di fatto, questa rimozione è più che altro simbolica. Con la decisione di bandire l’importazione di petrolio, gas e carbone, infatti, gli Stati Uniti avevano già eliminato il 60% delle importazioni totali dalla Russia. La fetta più grossa, quella che ha colpito di più Mosca. Ora, invece, in ballo ci sarebbe «solo» un miliardo di dollari.

Secondo il Distilled Spirits Council statunitense, citato da Associated Press, la Russia ha fornito appena l’1% di tutta la vodka importata dall’America lo scorso dicembre. Passando ai frutti di mare, invece, la percentuale sale al 2%.

In guerra, tuttavia, vale tutto. Vale, soprattutto, l’arma del simbolismo. Putin, agli occhi del mondo e in particolare di Biden, è l’aggressore. E «deve pagare il prezzo» delle sue azioni. Anche attraverso gesti apparentemente piccoli, come il bando di alcuni prodotti.

Un simbolismo, fra l’altro, che non dovrebbe provocare danni all’America stessa. Anche perché le tariffe per le risorse naturali che importa(va) dalla Russia – petrolio e metalli, soprattutto – sono bassissime o addirittura inesistenti. Le altre importazioni includono, incredibile ma vero, anche proiettili e cartucce.     

In base a una legge del 1930, quando il commercio venne interrotto durante la Grande Depressione, le cose cambierebbero invece per alluminio grezzo, compensato e acciaio semilavorato.

Come l'hanno presa i russi in America?
È cambiata e sta cambiando, parecchio, la vita di ucraini e russi negli Stati Uniti. Se ne contano, rispettivamente, 150 e 600 mila nella sola New York. La maggior parte è concentrata a Brooklyn, in un angolo di Brighton Beach ribattezzato Little Odessa. Negli scorsi giorni vi sono stati screzi, anche accesi, fra le due popolazioni. I primi immigrati arrivarono in America durante l’era sovietica. Erano ebrei e scappavano dalla repressione.

Oggi, nei ristoranti che si affacciano sulla spiaggia, l’atmosfera è dimessa. C’è chi, per vergogna, ha tolto la bandiera russa. A tavola, presto, spariranno le prelibatezze del Paese d’origine. Non solo il caviale, ma anche l’amato granchio della Kamchatka. Di cui i russi d’America (ma non solo) vanno ghiottissimi.

In questo articolo: