Il punto

Julian Assange vince un round

Si riapre la partita per la libertà per il cofondatore di WikiLeaks
©Kin Cheung
Ats
20.05.2024 19:10

Si riapre la partita per la libertà di Julian Assange, che guadagna se non altro tempo rispetto alla prospettiva d'essere consegnato hic et nunc nelle mani degli Usa.

Ad offrirgli una nuova chance è un collegio di seconda istanza dell'Alta Corte di Londra, che ha dato oggi via libera a un nuovo processo d'appello contro l'estradizione oltre oceano, dove il cofondatore di WikiLeaks - inseguito senza tregua da quasi 20 anni per aver diffuso montagne di documenti sottratti al Pentagono o al Dipartimento di Stato, contenenti fra l'altro rivelazioni su crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq - rischia sulla carta fino a 175 anni di carcere.

Il verdetto dei giudici Victoria Sharp e Jeremy Johnson è arrivato dopo un primo spiraglio socchiuso a marzo, quando gli stessi magistrati avevano accettato di ridiscutere l'istanza difensiva - rigettata in primo grado - ammettendo la possibilità di concedere un ulteriore appello laddove i rappresentati del governo americano non avessero fornito rassicurazioni «soddisfacenti» sul pieno rispetto del diritto dell'ex primula rossa australiana a «un giusto processo».

Cosa che evidentemente non è successa, nell'interpretazione del breve dispositivo con cui Sharp e Johnson - ascoltate ancora una volta le parti - hanno rimesso tutto in gioco: evitando di decretare come chiusa la vicenda di fronte alla giustizia britannica e di dare quindi l'ok a un'estradizione immediata o quasi.

Decisone accolta con sollievo dagli avvocati di Assange, che si sono abbracciati in aula tra loro, mentre reazioni analoghe contagiavano l'irriducibile compagna dell'ex primula rossa australiana, Stella Morris, e il padre, usciti a dare l'annuncio a decine di sostenitori, politici e attivisti dei diritti umani radunati fuori dal palazzo di giustizia.

Julian ha invece ricevuto la notizia in cella, nel soffocante carcere di massima sicurezza di Belmarsh dove è rinchiuso da oltre cinque anni e da dove non è potuto uscire nemmeno per l'udienza odierna, prostrato - a quanto è stato riferito - da una condizione di salute psico-fisica sempre più precaria, dopo aver trascorso ormai quasi tre lustri dei suoi 53 anni di vita scarsi da preda in gabbia o da detenuto.

Ora l'artefice di WikiLeaks avrà «alcuni mesi» per preparare il nuovo procedimento, precisa la Bbc. Anche se, almeno per il momento, è destinato a rimanere in custodia cautelare - senza condanne alle spalle - dietro le mura di una prigione affollata di assassini, terroristi, criminali conclamati della peggiore risma.

Le argomentazioni sollevate dalla difesa per invocare l'ulteriore appello riguardavano due punti cruciali per un processo equo (secondo gli standard minimi europei): il rischio di una condanna a morte (prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange negli Usa di violazione dell'Espionage Act del 1917, inedito per un giornalista); e il timore di non poter invocare, in quanto cittadino australiano, il Primo Emendamento della Costituzione, baluardo della libertà d'espressione e informazione.

Sul primo punto i legali di Washington hanno garantito che la pena capitale non sarebbe stata «chiesta dalla pubblica accusa» statunitense; ma è sul secondo che non sono riusciti a far breccia, limitandosi a rinviare vagamente alla futura pronuncia di una Corte d'oltre oceano il possibile riconoscimento (o meno) della tutela del «First Amendment». Una «non rassicurazione», tanto nelle parole dell'arringa finale dell'avvocato Edward Fitzgerald quanto nelle valutazioni dei giudici.

Valutazioni che allontanano lo spettro dell'estradizione, ma che soprattutto offrono margini di tempo agli auspici di una vittoria giudiziaria conclusiva; o magari di una soluzione politica dell'odissea, se Joe Biden vorrà darvi seguito concreto prima delle elezioni di novembre. E dietro le quali Kristinn Hrafnsson, giornalista d'inchiesta islandese succeduto ad Assange in veste di direttore di WikiLeaks, intravvede «finalmente un primo barlume di speranza» in fondo al tunnel.

Una speranza di cui Stella, moglie e madre dei due figli di Julian, si dice «grata» sia ai sostenitori tornati oggi in strada a Londra al grido di «Free Assange», sia ai «milioni di persone» che nel mondo - accanto a leader progressisti come il premier australiano Anthony Albanese o il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva - continuano a protestare contro «la sua persecuzione».