La guerra

Kiev è alle corde e chiede la tregua, Bruxelles intanto pensa al riarmo

Trump ha annunciato lo stop agli aiuti all'Ucraina – Aumenta la pressione su Zelensky che dice: «Venerdì l'incontro non è andato come avrebbe dovuto, è tempo di fare le cose per bene» – Per von der Leyen la sicurezza europea è «minacciata» – Presentato il piano da 800 miliardi
©Virginia Mayo
Paolo Galli
04.03.2025 23:15

«Tempi pericolosi». La definizione scelta da Ursula von der Leyen per descrivere la realtà odierna è semplicemente perfetta. Tempi pericolosi, eh sì. Ce lo ha ricordato, in piena notte, Donald Trump, che lunedì nella tarda serata americana ha ufficializzato il disimpegno degli Stati Uniti a favore della questione ucraina. Lo diceva, il presidente: «Basta preoccuparsi di Biden!». E poi: «Zelensky non vuole la pace». E questo nonostante Zelensky da giorni stesse ripetendo di essere pronto a firmare l’accordo sulle terre rare, oltre che un contratto di pace giusta. Il mondo al di qua dell’Atlantico si è svegliato, oggi, con la notizia dell’abbandono dell’Ucraina da parte degli Stati Uniti. Basta aiuti, basta aiuti militari. Lo ha anticipato l’agenzia Bloomberg, ma la notizia era comunque nell’aria. Lo era sin dall’elezione di Trump, dopo la quale Joe Biden si era affrettato, da parte sua, a rafforzare gli aiuti verso Kiev. Lo era ancor di più a partire da venerdì sera, da quello sciagurato incontro nello Studio Ovale. A quel punto Zelensky si è ritrovato, di colpo, alle corde. E Trump lunedì notte gli ha sferrato il colpo da KO.

La risposta conciliante

È evidente come la mossa di Trump serva ad aumentare la pressione su Zelensky, oltre che sull’Europa. Il presidente ucraino non a caso, su X, oggi pomeriggio ha ribadito il suo «impegno per la pace» e ha ricordato: «Nessuno di noi vuole una guerra senza fine. L’Ucraina è pronta a sedersi al tavolo delle trattative il prima possibile per avvicinarsi a una pace duratura». E poi ancora: «Io e i miei siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per ottenere una pace duratura. Siamo pronti a lavorare rapidamente per porre fine alla guerra, e le prime fasi potrebbero essere il rilascio dei prigionieri e la tregua immediata nei cieli e in mare, se la Russia farà lo stesso». Insomma, una resa forzata, o giù di lì. Anche perché poi il presidente ucraino ha aggiunto: «Apprezziamo davvero quanto l’America ha fatto per aiutare l’Ucraina a mantenere la propria sovranità e indipendenza. E ricordiamo il momento in cui le cose sono cambiate, quando il presidente Trump ha fornito all’Ucraina i Javelin. Ne siamo grati. Il nostro incontro a Washington, alla Casa Bianca venerdì, non è andato come avrebbe dovuto. È deplorevole che sia successo in questo modo. È tempo di fare le cose per bene. Vorremmo che la futura cooperazione e comunicazione fossero costruttive». I toni - si capisce bene - sono molto diversi, in effetti, rispetto a quelli utilizzati a tu per tu con l’omologo americano, toni allora costretti dal pressing di Trump, Vance e di tutto l’apparato statunitense. E per quanto riguarda l’accordo su minerali e sicurezza, secondo lo stesso Zelensky «l’Ucraina è pronta a firmarlo in qualsiasi momento. Consideriamo questo accordo come un passo verso una maggiore sicurezza e solide garanzie di sicurezza, e spero davvero che funzionerà in modo efficace».

Musk parla di democrazia

Ma davvero tale accordo sarebbe una garanzia sufficiente? L’attitudine da parte della Casa Bianca non sembra incoraggiante. Prova ne sia l’ennesima uscita di Elon Musk, che proprio su X fa sapere: «Per quanto sia sgradevole, a Zelensky dovrebbe essere offerta una sorta di amnistia in un Paese neutrale in cambio di una transizione pacifica per il ritorno della democrazia in Ucraina». E il segretario di Stato Marco Rubio, dal canto suo, ha aggiunto: «Il presidente Trump è l’unico leader al mondo in questo momento che ha anche una sola possibilità di porre fine in modo duraturo alla guerra in Ucraina». Insomma, tutti si riempiono la bocca della parola «pace», ma non riescono a trovare un linguaggio comune, non alla prova dei fatti. Ora c’è da capire quanto questo allineamento di Zelensky alle richieste - anche formali - di Trump possa davvero fare la differenza.

«ReArm Europe»

E siccome la pace resta un concetto sin qui astratto e, come affermava negli scorsi giorni Zelensky, ancora piuttosto lontano, l’Unione europea - orfana dell’appoggio statunitense - pianifica una via di riarmo. «Viviamo in tempi pericolosi», ha dichiarato Ursula von der Leyen, presidente della Commissione. «La sicurezza dell’Europa è minacciata in modo serio, la questione ora è se saremo in grado di reagire con la rapidità necessaria». In attesa del vertice straordinario previsto per dopodomani a Bruxelles, «al fine di discutere del perdurante sostegno all’Ucraina e della difesa europea» - con lo stesso Zelensky invitato alla riunione -, von der Leyen ha già anticipato alcuni particolari del piano «ReArm Europe». Lo ha detto chiaro e tondo: «Siamo in un’era di riarmo. E l’Europa è pronta ad aumentare massicciamente la sua spesa per la difesa. Sia per rispondere all’urgenza a breve termine di agire e sostenere l’Ucraina, sia per affrontare la necessità a lungo termine di assumersi una responsabilità molto maggiore per la nostra sicurezza europea». Il piano consiste in una serie di proposte e si concentra su come utilizzare tutte le leve finanziarie a disposizione per aiutare gli Stati membri ad aumentare «rapidamente» le spese per la difesa. «Ci sono cinque parti», ha spiegato. «La prima parte di questo piano è quella di liberare l’uso di finanziamenti pubblici nella difesa a livello nazionale». Come? «Attivando la clausola di salvaguardia nazionale del Patto di stabilità e crescita». Potrebbero generarsi 650 miliardi di euro. La seconda parte: «Prestiti per 150 miliardi per investimenti nella difesa», in modo da «spendere meglio e insieme». Un approccio congiunto, insomma, per ridurre i costi e la frammentazione. Von der Leyen usa la parola citata negli scorsi giorni dal Cremlino, quando definiva l’Europa come «frammentata». Il terzo punto è «usare il potere del bilancio dell’UE. C’è molto che possiamo fare in questo ambito nel breve termine per indirizzare più fondi verso investimenti correlati alla difesa», per esempio sotto forma di incentivi. «Gli ultimi due ambiti d’azione mirano a mobilitare capitali privati ​​accelerando l’Unione del risparmio e degli investimenti e tramite la Banca europea per gli investimenti». ReArm potrebbe mobilitare circa 800 miliardi di euro. «Siamo pronti», ha concluso.

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