L'anniversario

La caduta della statua di Saddam Hussein, vent'anni dopo

Nell'aprile del 2003 il monumento-simbolo del regime del Rais venne abbattuto, grazie anche a un mezzo statunitense
© AP2003
Red. Online
10.04.2023 06:00

Sono passati vent'anni da quel 9 aprile del 2003. A pochi giorni dall'inizio della Seconda guerra del Golfo, uno dei simboli del regime sanguinario di Saddam Hussein venne abbattuto. Fu, a suo modo, un momento epocale. E storico. La caduta della statua del Rais, buttata giù tra le grida di giubilo della folla grazie anche a un mezzo statunitense, rappresentò un vero e proprio spartiacque.

La statua di Saddam si trovava in Piazza del Paradiso, Firdous Square, ed era considerata uno degli emblemi del regime. Era stata eretta per celebrare tanto la gloria del tiranno quanto quella del suo movimento, il partito Ba'th. 

L'abbattimento, va detto, non fu un'operazione semplice. Né tantomeno veloce, tant'è che ci vollero due ore prima che la statua, sorta di immagine plastica di un regime oramai spacciato complice l'avanzata degli americani, si spezzasse e cadesse a terra. Subito dopo, alcuni iracheni la calpestarono e vi saltarono sopra.

Sulla statua, prima che cadesse, venne anche posta una bandiera americana ma fu quasi subito rimossa. © AP
Sulla statua, prima che cadesse, venne anche posta una bandiera americana ma fu quasi subito rimossa. © AP

La scena, ripresa dalle telecamere, avvenne in pieno centro a Baghdad, lungo le rive del Tigri, e fece presto il giro del mondo. La statua di bronzo era una delle tante, tantissime che Saddam fece erigere per autocelebrarsi. Venne inaugurata poco tempo prima, il 28 aprile del 2002, in concomitanza con il 65. compleanno del Rais. Era circondata da 37 colonne, 37 come 1937, l'anno di nascita di Saddam. 

L'abbattimento cominciò nel tardo pomeriggio del 9 aprile, con i festeggiamenti che proseguirono il 10. Le riprese furono facilitate dal fatto che quella piazza si trovava di fronte agli alberghi in cui soggiornava la stampa internazionale. E perché proprio lì erano appena arrivati i blindati americani. 

I cittadini di Baghdad si erano prima arrampicati sulla statua e, in seguito, avevano messo un cappio intorno al monumento, alto una dozzina di metri. Quindi, con picconi e altri oggetti avevano iniziato a colpire il piedistallo, scalfendolo. I Marines, a quel punto, entrarono in scena con un mezzo. Dopo aver imbrigliato la statua con una catena, la stessa venne trainata dal mezzo statunitense. Il monumento, come detto, prima si piegò e poi si spezzo, cadendo a terra. Tutto intorno, si udiva un solo coro: «Morte al dittatore».

L'evento fu, appunto, molto mediatizzato e pubblicizzato, ma subito vennero avanzate accuse che fosse stato in un qualche modo inscenato o, nella migliore delle ipotesi, che prestasse il fianco alla narrazione americana o facesse tanta, troppa pubblicità all’esercito statunitense. Un’analisi retrospettiva condotta da ProPublica e dal New Yorker, ad esempio, concluse che i media esagerarono tanto le dimensioni quanto l'entusiasmo della folla, ne influenzarono addirittura il comportamento e trasformarono l'evento in «una camera d'eco visiva» che promosse un resoconto fintamente positivo e felice dell'invasione. 

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