La Cina trova strade spianate
La manna è caduta dal cielo. E i cinesi sono pronti a raccoglierla. Di cosa parliamo? Di auto elettriche e di industria automobilistica. Perché? Perché il mercato dell’auto, di questi tempi, si muove in un mare a dir poco agitato. Basterebbe ricordare le cifre pubblicate negli scorsi giorni da Transport Environment, la federazione europea per i trasporti e l’ambiente: in Europa, nei primi sei mesi del 2022, la quota di mercato di veicoli elettrici a batteria è passata dal 13% all’11%. In piena fase di transizione energetica, dunque, l’auto elettrica non solo fatica a imporsi ma perde anche di slancio. «L’elettrico sta facendo fatica perché si tratta ancora di un prodotto costoso, più costoso dell’auto tradizionale», afferma il direttore di «Quattroruote», Gian Luca Pellegrini. «Il prezzo medio di un’auto elettrica in Europa (senza incentivi) è di 55 mila euro, e di 63 mila negli Stati Uniti. Troppo alto, quindi, per coprire il segmento di mercato più esteso, ossia quello più redditizio», spiega Pellegrini. Per questo motivo si sta creando un netto divario tra i mercati più ricchi - notoriamente il nord Europa, dove il sistema degli incentivi funziona - e il mercato del sud Europa dove invece l’elettrico fatica a imporsi. Pellegrini cita il caso dell’Italia, dove le vendite di auto elettriche sono ferme al 3%, mentre in Norvegia questa percentuale sale fino all’80%. «Al nord, dove il mercato tiene, la transizione sta funzionando. Al sud, dove il benessere economico è inferiore, tutto diventa più complicato». Tanto che la fetta di mercato delle auto elettriche si è ridotta a pochi punti percentuali. E qui veniamo al secondo dato messo in evidenza dal rapporto di Transport Environment. Contemporaneamente al calo della quota di mercato dell’elettrico, le case automobilistiche cinesi hanno registrato una forte crescita di mercato. «I costruttori cinesi, si legge nel rapporto, stanno guadagnando più spazio nel Vecchio continente, con una quota pari al 5% di tutti gli esemplari venduti nell’UE». Di qui, la domanda: cosa accadrebbe alla filiera europea se la Cina coprisse quella fetta di mercato dell’elettrico rimasta scoperta proprio a causa dei prezzi elevati?
Il cortocircuito
Il problema di fondo, secondo Pellegrini, va cercato a monte, nella decisione di Bruxelles «di andare in una direzione sola, imponendo la tecnologia full electric, ossia il 100% elettrico, senza domandarsi se l’industria e il mercato fossero pronti». Chiaro il riferimento al famigerato bando delle auto endotermiche dal 2035 deciso dal Parlamento europeo lo scorso giugno. «Le case automobilistiche non hanno potuto fare altro che adeguarsi al Green Deal, stravolgendo il proprio approccio su un mercato che, tuttavia, al momento non è ancora maturo». Gli effetti? «Deleteri. Alcune case automobilistiche, quelle più ricche, hanno potuto continuare a giocare su più piani, ossia con varie tecnologie. Altre, invece, hanno dovuto fare una scelta di campo, convertendosi all’elettrico in un momento ancora non propizio». Ed è proprio in questo momento di incertezza e di transizione lenta che i produttori cinesi potrebbero entrare più facilmente nel mercato europeo. «Sono appena tornato dal Salone dell’auto di Parigi e la metà delle auto presentate erano cinesi», ammette l’esperto. Le ambizioni planetarie dell’industria automobilistica cinese, del resto, non sono più un mistero. Per decenni e con grande anticipo Pechino ha sostenuto e organizzato l’elettrificazione dell’industria dell’auto. I risultati sono lì da vedere: in Cina oramai vengono venduti il doppio dei veicoli elettrici rispetto a USA, Giappone ed Europa messi assieme. Non solo. Un’auto su cinque vendute in Europa già oggi viene prodotta in Cina, negli stabilimenti dei marchi occidentali. Questo per dire cosa? Che di punto in bianco - ecco la manna caduta da cielo! - i cinesi si sono ritrovati con un mercato nuovo di zecca, destinato a crescere per volontà e decisione politica europea. Non solo. «La conversione verso l’elettrico ha pure azzerato quel ritardo tecnologico incolmabile che fino a ieri divideva l’industria automobilistica cinese da quella tradizionale», aggiunge Pellegrini: «L’elettrico sta mettendo tutti quanti sullo stesso livello, azzerando la supremazia tecnologica motoristica dell’Europa». Inoltre, scegliere l’elettrico significa mettersi nelle mani della Cina, che controlla completamente la catena del valore delle batterie e delle terre rare che servono a produrre le batterie, aggiunge Pellegrini. «La politica europea ha fatto una scelta di campo. Ora, però, si rende conto che i cinesi stanno arrivando da noi con un prodotto valido e, grazie all’economia di scala, più economico». Del resto, nessuno più oggi si sognerebbe di contestare la competenza tecnologica cinese. «In questo momento il sistema industriale europeo corre un rischio di competitività», conclude Pellegrini. Non a caso Carlos Tavares, presidente del gruppo Stellantis, proprietario dei marchi Peugeot, Fiat, Chrysler e Citroën, ha pubblicamente chiesto che l’Europa alzi delle barriere doganali nei confronti dei prodotti cinesi, come recentemente ha fatto anche l’amministrazione Biden vincolando il mercato elettrico alla produzione locale. Il motivo è piuttosto lampante: «In questa fase di transizione le auto cinesi a minor prezzo verrebbero immediatamente assorbite dal mercato europeo, chiaramente a discapito del benessere del Vecchio continente».