L’intervista

«La contrapposizione tra global e no-global si è spostata nei partiti»

Intervista a Marco Giugni, professore presso la facoltà di Scienze politiche all’Università di Ginevra
© Shutterstock / UNIGE
Francesco Pellegrinelli
19.07.2021 06:00

A 20 anni dal G8 di Genova cosa resta della contrapposizione tra Movimento no-global e globalizzazione?

«È difficile dare una risposta univoca. Il Movimento no-global è iniziato prima del G8 di Genova. Alcuni lo fanno risalire alle proteste di Seattle del 1999. Altri agli anni ’80 con i primi vertici alternativi organizzati da varie associazioni di movimento, ad esempio durante il G7 di Londra nel 1984. Poi si è progressivamente spento nella prima metà degli anni 2000, perlomeno nelle sue manifestazioni più visibili sotto forma di proteste di piazza. A mio parere questa contrapposizione nel tempo si è spostata dall’ambito extraparlamentare dei movimenti a quello più istituzionale dei partiti. Lo si vede bene nel successo di alcuni partiti - penso in particolare al Movimento 5 Stelle in Italia - che hanno cavalcato con forza le tematiche no-global. In parte, però, questo antagonismo esiste ancora in alcuni movimenti che fanno della lotta per una giustizia globale - questo è il nome dato dalla letteratura anglosassone al movimento no-global - uno dei loro capisaldi. Penso dapprima ai movimenti anti-austerità durante la crisi economica degli anni 2010, ma anche ad alcuni movimenti attuali come il Movimento per il clima e in parte anche a Black Lives Matter, anche su tematiche diverse».

Come si è evoluto questo antagonismo e cosa ha prodotto politicamente e culturalmente?

«Vedo due evoluzioni distinte. La prima è quella dell’istituzionalizzazione, con le tematiche del Movimento no-global che hanno trovato spazio in alcuni partiti emergenti (M5S, Podemos in Spagna) e poi anche in alcuni partiti più tradizionali e mainstream. La seconda è quella della diffusione, con queste tematiche che si sono trasferite ad altri movimenti, secondo un processo di filiazione tra un movimento e quelli successivi».

Molti temi sollevati nel 2001 dal Movimento no-global (dall’ecologia alle disuguaglianze sociali ed economiche) oggi sono di strettissima attualità. Tanto da imporsi nelle agende politiche e nell’opinione pubblica come temi reali e impellenti. Pensiamo solo alla questione climatica. I no-global avevano ragione, ma hanno perso la battaglia. Perché?

«Non credo che abbiano perso la battaglia. Provocatoriamente potremmo dire che l’hanno vinta. Nel senso che i temi oggi fanno parte dell’opinione pubblica e dell’agenda politica mondiale. Certo, il movimento (in quanto forza extraparlamentare di opposizione) si è per così dire smobilitato, ma questo avviene regolarmente. Un movimento è, quasi per definizione, un attore collettivo storicamente contingente, con un ciclo di vita che non è eterno. Anche se i successi immediati sono stati pochi, alla fine il movimento ha contribuito a cambiare la mentalità della gente e dei politici che ne hanno ripreso le istanze. In generale, i movimenti sociali producono effetti culturali di lungo termine, piuttosto che modifiche legislative nel breve periodo».

Anche in tema economico sembra che molte riflessioni portate avanti dal Movimento no-global oggi siano entrate nelle istituzioni. La tassa minima globale appena approvata al G20 è, in fondo, una rivendicazione del Movimento no-global. Vent’anni fa veniva considerata oltraggiosa e rivoluzionaria. Cosa è cambiato?

«Direi che fare proposte oltraggiose e rivoluzionarie è la peculiarità dei movimenti. Proposte che poi spesso, anche se non sempre, vengono riprese da altri attori e forze politiche quando i tempi diventano maturi. Un movimento se lo può permettere. Non deve cercare voti, cosa che spesso porta i partiti a essere più prudenti e conservatori».

L’idea di un’economia sostenibile attenta ai cambiamenti climatici all’epoca venne considerata superflua. Oggi tutto questo, per esempio, si concretizza nella politica della ripartenza green, finanziata con il Recovery Fund.

«L’idea di un’economia sostenibile attenta ai cambiamenti climatici era forse ritenuta superflua, ma non da tutti. Di certo non dai settori della società più attenta a questi temi e nemmeno dai partiti ecologisti. Di certo, oggi, questa idea si è fatta spazio anche in settori prima insospettabili, inclusi in parte i partiti di destra. Non da ultimo per il potenziale economico che può rappresentare. C’è stato, in altre parole, un «mainstreaming» di tale idea e temi, a cui il movimento no-global ha sicuramente contribuito».