Il caso

La crisi della CO2 minaccia l'acqua frizzante?

L'anidride carbonica costa sempre di più e secondo alcune aziende italiane, produttrici di acqua gasata, rischia di diventare una merce introvabile – Tuttavia, non sono ancora note le dimensioni del problema
Federica Serrao
13.07.2022 20:01

Da alcuni giorni il settore alimentare italiano è in fermento. Stando ad alcune aziende produttrici di acqua frizzante e bibite gasate, l'anidride carbonica, elemento necessario per la creazione di questi prodotti, sembrerebbe essere diventata difficilissima da reperire. In poco tempo, nella Penisola è partito l'allarme. Qualcuno sembrava già pronto a dire addio all'acqua frizzante da un giorno all'altro, ma altri hanno ben presto smentito quanto sta accadendo, dimostrando che la crisi della CO2 sia in realtà molto meno grave di quanto sia stata descritta. La domanda, però, alla luce delle dichiarazioni, rimane legittima: l'acqua frizzante è davvero «in pericolo»? Ecco cosa sta succedendo. 

«La CO2 è introvabile»

L'acqua gasata è un bene consumato in larghissima scala, ogni giorno. Che sia sulla tavola di casa, a cena al ristorante, sugli scaffali dei supermercati o nei distributori di bevande, l'acqua con le bollicine è sempre presente e immaginare un mondo senza sembra quasi fantascienza. Tuttavia, secondo alcune aziende italiane, il settore dell'anidride carbonica, «ingrediente» fondamentale per la produzione delle bollicine, è in crisi. E questo minaccia l'acqua frizzante. A lanciare l'allarme è stata Acqua Sant'Anna, leader europeo delle acque oligominerali. Alberto Bertone, presidente e amministratore delegato dell'azienda, che produce un miliardo e mezzo di bottiglie all'anno, proprio negli scorsi giorni è intervenuto, richiamando l'attenzione sul problema. Sant'Anna, infatti, è stata la prima a vedersi costretta a fermare le linee di produzione di tutti i suoi prodotti gasati, proprio a causa della scarsità dell'anidride carbonica. «La CO2 è introvabile e anche tutti i nostri competitors sono nella stessa situazione», ha spiegato il presidente Bertone. «Siamo disperati. Siamo di fronte a un altro problema gravissimo, che si aggiunge ai rincari record delle materie prime e alla siccità che sta impoverendo le fonti», ha aggiunto. Ma dopotutto, il problema della carenza di CO2 per scopi alimentari non è una novità. Già a fine 2021, soprattutto nel Regno Unito, si era manifestata una scarsità di anidride carbonica. Mancanza che, però, «si era riusciti a tamponare», ha ribadito il presidente di Acqua Sant'Anna. Al momento, invece, sembrerebbero esserci più ostacoli. «Saremmo disposti a pagarla anche di più - ha continuato Bertone - anche se già costava carissima, ma non c'è stato verso di fare cambiare idea ai nostri fornitori». 

© Shutterstock
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Come nasce la CO2

Che l'anidride carbonica sia colpevole è un dato di fatto, ma è ciò che sta accadendo in alcune aziende specializzate nel suo immagazzinamento ad aver fatto nascere il vero problema. Facciamo un passo indietro. Come viene spiegato da GeoPop.it, l'acqua frizzante può essere prodotta in tre modi differenti. Uno di questi è naturale, mentre due sono artificiali. Esistono infatti delle acque naturalmente effervescenti o gasate, all'interno delle quali la CO2 è già stata disciolta prima dell'imbottigliamento. Parallelamente, esistono però anche delle acque effervescenti in cui l'anidride carbonica viene aggiunta grazie a un processo di carbonizzazione. Ne è un esempio l'acqua rinforzata alla sorgente, nella quale la CO2 che proviene dallo stesso giacimento o falda da cui l'acqua è stata prelevata viene aggiunta dopo l'imbottigliamento. In ultimo, troviamo invece l'acqua che si classifica come «con aggiunta di anidride carbonica». In questo caso specifico, la CO2 addizionata proviene da un giacimento o da una falda differente da quella da cui è stata originariamente prelevata l'acqua. Che si tratti però del medesimo giacimento o falda o di uno diverso, è in questi ultimi due casi che il processo di produzione di anidride carbonica avviene nelle aziende specializzate che, dopo aver immagazzinato la CO2, la forniscono ai produttori dell'acqua in bottiglia.

Priorità al comparto sanitario

L'anidride carbonica «grezza» – si legge ancora su GeoPop.it – può quindi essere prelevata da sorgenti naturali come pozzi profondi o mofete. E non solo: può essere il prodotto di scarto di processi chimici, o provenire da processi biologici. A far la differenza è «semplicemente» la concentrazione di CO2 nel gas grezzo estratto. A seconda di questa caratteristica, infatti, il processo di lavorazione sarà più o meno dispendioso. Di conseguenza, più è bassa la concentrazione, più aumenta il costo industriale. Ma si tratta solo del primo step. In seguito, infatti, dopo essere stata prelevata, l'anidride carbonica è soggetta a diversi passaggi: prima la compressione, poi la purificazione e il filtraggio (dal momento che può inizialmente presentare contaminati come composti dello zolfo, contaminati inerti e idrocarburi). A seguire e per completare, la CO2 viene distillata, liquefatta e stoccata.

Ed è proprio all'interno di questo percorso che nasce il problema, dal momento che il processo richiede un grosso apporto energetico e, di conseguenza, anche un costo decisamente elevato, che si va ad aggiungere a quello del trasporto, altrettanto alto. Con un rincaro dei costi dell'energia come quello degli ultimi mesi, molte aziende hanno dunque preso la decisione di chiudere alcuni dei siti di produzione di CO2. Il risultato? La produzione è diminuita, e quel poco che viene prodotto viene venduto prevalentemente al settore sanitario, penalizzando le aziende produttrici di acqua gasata. 

Non solo l'acqua frizzante

Tuttavia, la situazione sembrerebbe essere meno grave di quanto annunciato inizialmente da Acqua Sant'Anna. Sebbene l'azienda abbia parlato di un problema che riguarda tutta l'Unione Europea, non ci sono dati sufficienti per affermare come stiano andando realmente le cose nel resto del Continente. Infatti, al momento l'Italia è l'unico Paese ad aver segnalato la mancanza di CO2 nel settore alimentare. E ciononostante, resta comunque complesso riuscire a fare delle valutazioni accurate sulla dimensione del problema nella Penisola, che al contempo è chiamata a confrontarsi anche con la sugar tax, ossia l'imposta sulle bevande che contengono molti zuccheri. Tuttavia, sulla crisi dell'anidride carbonica, dopo Acqua Sant'Anna solo un paio di altre aziende e associazioni si sono unite al coro, tra cui ASSOBIBE, associazione di Confindustria che rappresenta i produttori di bevande analcoliche italiane. Secondo l'azienda, la scarsità di CO2 starebbe mettendo a rischio la stagione estiva, dal momento che sono diverse le bibite analcoliche in cui sono presenti le bollicine. 

E non è tutto. Se la CO2 dovesse continuare a scarseggiare, a essere colpita non sarà esclusivamente l'industria delle bevande, ma anche quella dolciaria che utilizza l'anidride carbonica nella preparazione di alcuni dei suoi prodotti. Come sottolinea Wired, l'uso dell'anidride carbonica si estende anche ad altri tantissimi prodotti che troviamo sugli scaffali del supermercato. La CO2 serve infatti ad «allungare la vita» a diversi alimenti, come i salumi in busta, le insalate già lavate e le merendine. Viene impiegata anche nella preparazione di surgelati e per la produzione di ghiaccio secco. 

Nuovi fornitori e soluzioni alternative

Amanti dell'acqua frizzante non disperate. Se da un lato Acqua Sant'Anna e ASSOBIBE hanno lanciato un allarme preoccupante, dall'altro molti produttori di acqua frizzante non hanno segnalato grandi difficoltà. Al contrario, hanno affermato di disporre di scorte a sufficienza per proseguire la produzione e di avere intenzione di cercare nuovi fornitori da cui reperire l'anidride carbonica. Di sicuro, il peso della guerra in Ucraina, come in tanti altri settori, ha avuto il suo impatto. Ne è la prova uno degli impianti italiani più importanti per la produzione di CO2, lo stabilimento di Ferrara della società YARA. Addetta alla produzione di ammoniaca e urea, da cui rimangono grandi quantità di CO2, l'azienda ha lamentato di aver assistito a un aumento dei costi, specie dopo la pandemia e lo scoppio del conflitto. Tuttavia, dopo l'aumento del prezzo del metano, l'impianto YARA ha deciso di diminuire drasticamente la produzione, distribuendo di conseguenza meno CO2 ad alcuni impianti. Tra questi, c'è anche Coca-Cola Italia che ha però smentito la situazione di crisi e ha al contrario assicurato di non aver riscontrato particolari ostacoli o difficoltà nel reperire l'anidride carbonica per gasare le proprie bibite. E non finisce qui. Un'altra buona notizia è che esistono soluzioni alternative per rimediare a una possibile penuria di anidride carbonica. Secondo Coldiretti, la maggiore associazione di rappresentanza e assistenza dell'agricoltura italiana, la CO2 necessaria per la produzione dell'acqua frizzante potrebbe alternativamente essere prelevata dagli allevamenti animali, prendendo due piccioni con una fava. Infatti, in questo modo si andrebbe a trasformare quello che oggi è un problema ambientale in una risorsa energetica e industriale. Si tratta di un'idea preliminare, che necessiterebbe di una riorganizzazione dell'intero settore in tempi piuttosto lunghi, ma che dà speranza, e ci fa capire che molto difficilmente l'acqua frizzante sparirà dalle nostre abitudini alimentari. 

 

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