«La crisi sociale in Gran Bretagna accentua la volontà di cambiamento»

Oggi si vota nel Regno Unito. Paolo Dardanelli, professore di Politica comparata all’Università del Kent, è specializzato in organizzazione statale e decentralizzazione amministrativa. Con lui analizziamo la situazione politica britannica alla chiusura della campagna elettorale.
Dopo 14 anni di governo conservatore, che cosa ha veramente determinato l’annunciato spostamento a sinistra?
«Un primo fattore che condiziona questa situazione è la volontà di discontinuità e cambiamento: 14 anni sono tanti e quindi sussiste una certa intolleranza rispetto ai Tories e al loro governo. Un secondo fattore è lo spostamento al centro del Partito laburista rispetto al 2019, quando era guidato da Jeremy Corbyn: quello di oggi è un partito molto diverso, sulla falsariga di quello guidato da Tony Blair negli anni ’90; molto più centrista nelle politiche pubbliche, quasi in continuità rispetto ai conservatori».
C’è anche una forte crisi sociale.
«Certo. Il costo della vita è aumentato vertiginosamente negli ultimi due anni, sommandosi agli effetti dell’austerità che si protraggono dall’inizio del Governo conservatore. Anche la Brexit ha condizionato le elezioni: chi ha votato contro è ancora più agguerrito, chi non era convinto è oggi chiaramente contrario».
A otto anni di distanza, quanto la Brexit influenzerà queste elezioni, avendo anche determinato un cambio di posizione del Regno Unito sul palcoscenico internazionale?
«È una domanda alla quale non è facile rispondere. I cittadini comuni non la percepiscono come una preoccupazione maggiore, ma tra i contrari alla Brexit c’è molto risentimento nei confronti di coloro i quali l’hanno favorita. Non si parla tanto, quindi, di una posizione che deriva da vicende internazionali, quanto del risentimento e della rabbia legati alle promesse e alle illusioni infrante dai promotori della Brexit».
A suo avviso, quali sono le principali priorità della società inglese in questo momento? Che cosa interessa davvero ai cittadini britannici e quali sono stati gli elementi chiave della campagna elettorale?
«La crisi sociale ha influenzato in particolare il costo della vita: per le famiglie meno abbienti, già in difficoltà, questo aumento è stato molto problematico. Lo stato dei servizi pubblici è un altro fattore: il servizio sanitario nazionale è quasi in ginocchio, con l’allungarsi sempre più estremo delle liste d’attesa. Inoltre, i consigli locali - equivalenti ai nostri Comuni -, qui finanziati principalmente dal Governo centrale, sono anch’essi allo stremo e hanno dovuto tagliare molti servizi, in un quadro di deterioramento dei servizi pubblici e sociali. Tutto ciò ha generato molto risentimento. Un evento, in particolare, ha suscitato rabbia».
Quale?
«Mi riferisco alle società di fornitura delle acque, privatizzate negli anni ’90 anche se continuano a essere regolamentate da un’agenzia pubblica. Ciascuna di esse detiene un monopolio locale e una zona esclusiva di controllo. Queste compagnie hanno generato profitti consistenti, ma non hanno investito nella manutenzione delle infrastrutture, compromettendo la qualità dell’acqua e causando un preoccupante inquinamento dei fiumi, nei quali sono stati riversati liquami tossici. Ciò ha suscitato un giustificato sentimento di frustrazione».
I sondaggi sono chiarissimi da settimane: è possibile attendersi ancora qualche sorpresa e qual è il risultato più probabile?
«Bisogna tenere d'occhio il voto tattico e una possibile alleanza non dichiarata fra elettori laburisti e liberali, al fine di sconfiggere più significativamente i conservatori. Dal lato opposto dello scacchiere c'è l’incognita del partito Reform UK, dato nei sondaggi al 15-16%: non si prevede che ottenga molti seggi, però è possibile che sottragga ulteriori voti ai Tories. Di per sé, la vittoria laburista non è in discussione. Il dubbio è sulle proporzioni. La sconfitta dei conservatori rischia di essere la peggiore di sempre».
In che modo l'instabilità politica degli ultimi anni, inclusi i cambi di leadership tra i Conservatori, ha influenzato il voto?
«Penso che abbia sicuramente contribuito. C’è l’impressione che il partito non abbia avuto una chiara direzione, anche per i cambi repentini di leadership. Ha pesato pure la percezione di una mancanza di competenza e, nel caso di Boris Johnson, anche di dirittura morale nella gestione della cosa pubblica. Il netto vantaggio laburista ha cominciato a manifestarsi alla fine della leadership dello stesso Johnson ed è cresciuto durante il brevissimo Governo di Liz Truss».
I conservatori hanno puntato molto sul tema dell’immigrazione, argomento che non sembra, però, essere stato troppo efficace. Perché?
«L’immigrazione è un tema importante per l’elettorato che gravita attorno a Reform UK, il partito di Nigel Farage. I conservatori, purtroppo per loro, hanno abusato di una retorica di estrema fermezza e ostilità, ma poi hanno in sostanza fallito nel metterla in pratica. Le politiche proposte non hanno avuto riscontro. Pensiamo all’idea di inviare i richiedenti l’asilo in Ruanda. Inoltre, gli sbarchi sono aumentati e, con essi, l’immigrazione legale. D’altra parte, i laburisti, pur usando toni diversi, sull’immigrazione non prevedono politiche molto differenti. E non è escluso che possano continuare con una politica simile a quella del Governo uscente».
Il sistema maggioritario è ancora in grado di garantire un’effettiva rappresentatività delle culture e delle forze politiche britanniche? Vale di più la rappresentatività o la governabilità?
«Il risultato atteso non determina una particolare falla nel sistema. In Parlamento ci sarà, infatti, una maggioranza molto larga. La governabilità, però, dipende anche dalla politica interna al partito di Governo. Le divisioni interne hanno minato fortemente la capacità dei Tories di governare. Dal punto della rappresentatività, visto il probabile spostamento di voti, il maremoto annunciato non è una preoccupazione maggiore rispetto ad altre tornate elettorali».