«La donna in posa ad Auschwitz? Oggi c'è una mancanza di senso della Storia»

«Oggi ho vissuto una delle esperienze più strazianti della mia vita. Purtroppo sembra che non sia stata così toccante per tutti». Lo scrive su Twitter Maria Murphy, producer del canale televisivo GB News, diffondendo una foto che ha fatto parecchio discutere e indignare. Nello scatto si vede una giovane donna in posa, pronta ad essere fotografata da un uomo: è seduta sui binari, con le gambe leggermente piegate, la testa all’indietro e un sorriso raggiante. Piccolo particolare: non si trova in una località di vacanza da sfoggiare su Instagram, ma ad Auschwitz. Non è la prima volta che comportamenti del genere vengono denunciati: nel 2019 l’account ufficiale AuschwitzMuseum aveva condiviso su Twitter una serie di immagini di persone in equilibrio sui binari che portano al campo di concentramento, scrivendo: «Quando arrivate ad Auschwitz ricordatevi che siete in un luogo in cui è stato ucciso oltre un milione di persone. Rispettate la loro memoria. Ci sono posti migliori per imparare a fare gli equilibristi rispetto al posto che simboleggia la deportazione di centinaia di migliaia di persone verso la morte». Auschwitz, però, non è solo una meta della memoria, ma anche una tappa legata al cosiddetto «dark tourism». Cosa spinge i visitatori a cercare questi luoghi dimenticandosi del valore simbolico di cui sono intrisi? Ne parliamo con la professoressa Monica Gilli, docente di Sociologia del turismo all’Università di Torino.
Il dark tourism: dai cimiteri a Chernobyl
Il dark tourism (o turismo dell’orrore, ma anche turismo macabro) è un fenomeno sempre più diffuso, che spinge le persone a visitare luoghi in cui si sono consumati delitti, oppure località dove sono avvenuti (o sono in corso) disastri o tragedie, come quelle della guerra; esso tuttavia può anche comprendere, più banalmente, la visita ai cimiteri. Il trait d’union è quindi dato dalla morte. Il fenomeno del dark tourism è molto complesso e anche una sua definizione risulta difficile. Ad esempio, evidenzia Monica Gilli, «inserire nel dark tourism la visita ai cimiteri sembrerebbe errato dal momento che tali visite sono più propriamente legate al turismo storico-culturale. Basti pensare a coloro che si recano al cenotafio di Mozart a Vienna mossi certo non da un interesse verso il macabro, ma verso la personalità di una figura fondamentale della cultura europea. Nel ricco repertorio delle mete del dark tourism troviamo anche luoghi noti per il traffico di stupefacenti, come Medellín in Colombia, o quelli dei disastri ecologici e le città abbandonate, come Chernobyl. In qualche modo sono tutte mete connesse al tema della morte».


Conoscere la morte
La professoressa spiega: «Il diffondersi del dark tourism è legato al ruolo che ha la morte nella società odierna. La cultura della morte secoli addietro era molto diversa. Pensiamo ad esempio a quando, in passato, si assisteva alle esecuzioni pubbliche: la gente veniva esortata ad andare a vedere con i propri occhi, era un fatto pubblico e visibile. Secondo la docente universitaria, «una delle tendenze maggiori del dark tourism è legata al bisogno tipico della società odierna di conoscere meglio quegli aspetti macabri che oggi vengono generalmente occultati dalla scena pubblica. Anche per l'invecchiamento è così, perché si cerca a tutti i costi di rimanere giovani. C'è una cultura della giovinezza, del “qui e ora”, e non della trasformazione o dell'invecchiamento». E prosegue: «Da un lato, si assiste ad una sorta di smaterializzazione e di ospedalizzazione della morte: le persone non finiscono più la propria vita fra le mura domestiche, ma vengono ospedalizzate. Dall'altro non c’è una reale socializzazione alla dipartita: per esempio, i bambini non vengono portati ai funerali. Non se ne parla mai e quindi si prova una grande curiosità, un bisogno di affrontare a proprio modo questo tema. Nei luoghi del dark tourism c'è morte e più questa risulta evidente, più le persone ne sono attratte. Noi nasciamo e cresciamo sotto gli occhi della società, ma quando invecchiamo e siamo prossimi al decesso, dobbiamo gestire questa fase della vita in modo individuale e solitario: eppure è un appuntamento che ciascuno di noi ha».
La Storia e le «piccole storie»
«L’episodio della turista ad Auschwitz - continua la professoressa Gilli - non è necessariamente una manifestazione di dark tourism. Esso è anche espressione di un complesso rapporto con la Storia, tipico di oggi, che si esprime in un bisogno di visibilità, di lasciare in qualche modo il proprio segno attraverso la narrazione di “piccole storie” individuali. Sicuramente è dovuto al fatto che i giovani e i giovani-adulti si trovano in qualche modo in balìa della Storia, perché non stanno vivendo come la generazione di quelli che, ad esempio, hanno fatto la Resistenza. Quella è stata una generazione distrutta dalla guerra, ma che ha avuto la possibilità di costruire il proprio futuro e di lottare per i propri ideali contro un nemico ben definito. Oggi, invece, non ci sono grandi possibilità di intervenire nella Storia, di costruirla, di poter dire “io ho fatto la mia parte”». La sociologa del turismo aggiunge: «Quindi assumono più rilevanza le piccole (a volte piccolissime) storie individuali. Pensiamo ad esempio ai funerali dei VIP: perché la gente ci va? Per cercare visibilità; è un po’ come andare a un grande concerto rock e poter dire “io c'ero”. Questo perché difficilmente possiamo dire “io c’ero” nei grandi avvenimenti della Storia. Almeno nelle “piccole storie”, nonostante siano spesso irrilevanti, noi possiamo sentire di lasciare una traccia, credendo così di non aver vissuto invano: in qualche modo documentano il bisogno delle persone di esserci e di lasciare traccia di sé in una fase della Storia in cui è molto difficile fare la differenza».


Il caso di Auschwitz
Prima di analizzare la foto che ha fatto tanto discutere, Monica Gilli fa alcune distinzioni: «Il campo di concentramento di Auschwitz è meta di interesse per diverse tipologie di persone. Troviamo la scolaresca che è stata istruita sulla tragedia umana avvenuta lì. In questo caso, c’è un percorso didattico a monte. Ma ad Auschwitz troviamo pure chi, magari, ha avuto dei famigliari morti in guerra o deportati nei campi di concentramento. Il peso di quel luogo, per questi visitatori, è certamente diverso. Poi può esserci chi, per vicende famigliari, si reca lì alla ricerca di un percorso di espiazione. Ad Auschwitz (come in qualunque altro luogo) possono esserci persone molto diverse, con le motivazioni più disparate». La professoressa prosegue: «Sul caso della donna in posa davanti al campo di concentramento, ritengo anzitutto importante il fatto che ci sia stato scandalo. Ciò significa che quanto avvenuto in quegli anni è ancora considerato importante e non è stato dimenticato. Sarebbe stato drammatico, invece, se quella foto fosse stata pubblicata nel silenzio; ciò avrebbe significato una definitiva perdita di senso della Storia. Ma io credo che sia proprio questa mancanza di senso della Storia che ha portato la giovane donna a mettersi in posa in un luogo di dolore come se fosse al mare. Il sorriso e il dramma della morte raramente stanno bene assieme e bisogna essere dei grandi artisti per riuscire a conciliarli: pensiamo al lavoro che ha fatto Roberto Benigni con il film La vita è bella, in cui il protagonista riesce a fare sopravvivere il proprio bambino all’orrore del campo di concentramento attraverso una finzione ludica. Davanti a quella foto, però, ci troviamo di fronte a un altro tipo di leggerezza, che sconfina nell'ignoranza, dal momento che la donna non ha tenuto conto del valore simbolico di quel luogo con riferimento al nostro heritage europeo. Questo è un indicatore del fatto che non si studia abbastanza la Storia, nel senso che non si riesce sufficientemente a rendere consapevoli i soggetti che il nostro attuale sistema di valori (quelli che, fra l’altro, permettono a tutti, compresa la donna nella foto, di viaggiare liberamente e di esprimere le proprie idee) poggia proprio sulla Storia, di cui Auschwitz è un tassello importante. Il rapporto fra Storia e sistema di valori si insegna a scuola ovviamente, ma si può anche insegnare partecipando, ad esempio, alle nostre celebrazioni del 25 aprile. Purtroppo a me sembra di vedere sempre meno bambini a questi appuntamenti e spesso a scuola alcuni eventi celebrativi (ad esempio il Giorno della Memoria) non vengono nemmeno ricordati perché non rientrano nel programma ministeriale di quell’anno. In questo modo diventa impossibile far comprendere ai giovani che la Storia è il serbatoio di valori su cui dovrebbe poggiare la loro vita».
La Storia è l'oggi di gente di ieri
Monica Gilli sottolinea: «Non intendo certo demonizzare i social media, anzi, però credo che non sia possibile sostituire un sistema di memoria e di valori con le “piccole storie” individuali narrate sui social media. La Storia è l'oggi di gente di ieri: è lo studio del nostro passato che ci salva, perché serve a non commettere gli stessi errori nel presente». E conclude: «Credo quindi che questo spiacevole episodio vada visto non tanto come un esempio di dark tourism quanto come una mancanza di senso della Storia (inteso come sistema di valori che collegano passato e presente) accompagnato a un bisogno di esserci a qualunque costo attraverso “piccole storie” che sicuramente una volta postate rimarranno – ahimè - per sempre sul web, ma che non possiederanno mai il carattere di eternità».