La fine della fabbrica dei troll russa? Non proprio, anzi
E adesso, che ne sarà della famigerata fabbrica dei troll russa? La domanda, dopo la caduta o se preferite il ridimensionamento di Yevgeny Prigozhin e del gruppo Wagner, è di strettissima attualità. E questo perché, alla fine di giugno, dopo il tentato colpo di Stato, sarebbero cessate anche le pubblicazioni appartenenti al gruppo Patriot Media. Il gruppo di Prigozhin, già. Incaricato, negli anni, di elogiare il Cremlino e perseguitare l'opposizione sui social, in patria come all'estero. La risposta alla domanda è no, o meglio non proprio.
Un po' di storia
La fabbrica dei troll e, di riflesso, Prigozhin guadagnarono l'attenzione internazionale dieci anni fa, nel 2013, quando alcuni giornalisti scoprirono la cosiddetta Internet Research Agency di San Pietroburgo. Il personale impiegato, banalmente, veniva pagato per postare sui social. Solo nel 2023, adesso quindi, Prigozhin ha ammesso di aver fondato l'azienda. Allo scopo, sono sue parole, di «proteggere lo spazio informativo russo». I troll, ovvero utenti di una comunità virtuale, solitamente anonimi, che intralciano il normale svolgimento di una discussione inviando messaggi provocatori, irritanti o fuori tema, erano attivi dal 2009. Iniziarono a lavorare contro figure come Alexei Navalny, mentre l'anno successivo l'esercito online di Prigozhin cominciò a operare anche al di fuori dei confini russi. Risale al 2016, a tal proposito, l'accusa di aver interferito con le elezioni presidenziali statunitensi formulata dal Dipartimento di Giustizia americano.
Una crescita impressionante
Agli albori di questa avventura, se così vogliamo chiamarla, Prigozhin poteva contare su alcune decine di collaboratori, incaricati di scrivere un centinaio di commenti al giorno ciascuno. All'inizio di quest'anno, per contro, la fabbrica dei troll vantava qualcosa come 400 dipendenti. Alcuni scrivevano articoli per Patriot Media, il colosso mediatico del fondatore del Gruppo Wagner, almeno un quarto della forza lavoro invece si concentrava sull'attività social.
Stando al Dossier Center, un gruppo investigativo con sede a Londra e fondato dal critico del Cremlino nonché ex proprietario della Yukos Oil, Mikhail Khodorkovsky, l'impero di Prigozhin poteva contare su un budget senza precedenti, pari a un milione di euro al mese.
Reazioni e indiscrezioni
Poteva, appunto, dal momento che l'avanzata verso Mosca del Gruppo Wagner è stata mal digerita dal Cremlino. Il 24 giugno, proprio quando Prigozhin sembrava viaggiare indisturbato verso il cuore politico del Paese, le forze di sicurezza russe hanno perquisito il Lakhta Center di San Pietroburgo, sede dell'impero mediatico di Prigozhin e della Wagner. Alcuni siti web del gruppo, da allora, non sono più stati aggiornati mentre gli account Twitter RussiaActually e WorldActually hanno cinguettato poco, anzi pochissimo: risultano fermi da giorni, oramai. In precedenza, viaggiavano a un ritmo di 10-12 tweet al giorno.
Non finisce qui: il sito indipendente russo The Bell, infatti, ha riferito che la fabbrica dei troll di Prigozhin sarebbe in vendita. E ad accaparrarsi l'impero che tanto ha contribuito alla narrazione del Cremlino potrebbe essere il National Media Group di Yuri Kovalchuk, presieduto dall'ex ginnasta Alina Kabaeva che, si mormora oramai da tempo immemore, sarebbe l'amante di Putin. Lo stesso Kovalchuk è considerato un amico intimo, molto intimo del presidente.
In seguito, The Bell ha spiegato – basandosi su successive fonti – che in realtà sarebbe stato Prigozhin a decidere di chiudere il suo impero mediatico, dando istruzione ai suoi redattori di eliminare tutto e di rimuovere, citiamo, ogni traccia di presenza online. Parallelamente, il regolatore dei media russo, Roskomnadzor, ha limitato l'accesso ai media collegati a Prigozhin, fra cui Federal News Agency, meglio conosciuto come FAN.
Che cosa succederà, ora?
La fine della fabbrica dei troll, dicevamo, non significa che la Russia non sia più in grado di produrre fake news e disinformazione. O tornare con nuove schiere di soldati online. «È troppo presto per esprimere giudizi definitivi sugli sviluppi dell'ecosistema della disinformazione russa dopo la presunta chiusura delle attività di disinformazione di Prigozhin» ha dichiarato a Deutsche Welle Peter Stano, portavoce dell'Unione Europea per gli affari esteri e la sicurezza.
Molti utenti, infatti, erano e sono attivi al di fuori della galassia di Prigozhin. E il loro lavoro, come riferisce proprio Deutsche Welle, non si è fermato affatto dopo l'ammutinamento portato avanti dal Gruppo Wagner. D'altro canto, i creatori del progetto Chef's Trap, incaricato di tracciare i troll sul social russo VKontakte, hanno spiegato che, nonostante la chiusura o la cessazione delle attività da parte della fabbrica di Prigozhin e a dispetto di quanto hanno affermato diversi media indipendenti, le operazioni pro-Cremlino della fabbrica in realtà starebbero continuando.
D'accordo, ma allora a chi fanno capo, ora, questi troll? Difficile a dirsi, parola di analisti ed esperti. Secondo le stime, circa 13 mila dei 15 mila troll totali hanno smesso di sostenere Prigozhin. Niente di strano, nello specifico, anche perché parliamo di entità abituate a seguire, sempre e comunque, la narrazione del Cremlino. Solo e soltanto quella. Questo ammutinamento nell'ammutinamento, inoltre, non starebbe a significare che la fabbrica è stata tolta con la forza a Prigozhin. O, ancora, che ha cambiato padrone. Come detto, i troll sono semplicemente istruiti a elogiare il Cremlino. Sempre e comunque, proprio così.
Stano, al riguardo, è stato chiarissimo: «È ovvio che le attività di disinformazione non iniziano e non finiscono solo con l'impresa di Prigozhin. Il Cremlino continuerà a cercare di usare la disinformazione e la manipolazione delle informazioni con tutte le diverse tattiche e attraverso vari attori e mezzi, come sta facendo da anni».