Medio Oriente

La fine della guerra nella Striscia rimane appesa al sì di Hamas

La trattativa non si è fermata nonostante gli scontri armati proseguano – I mediatori del Qatar insistono sulla cautela – Dagli Stati Uniti una spinta determinante all'intesa – Il presidente Joe Biden vorrebbe lasciare la Casa Bianca con un ultimo successo in politica estera
©Oded Balilty
Dario Campione
14.01.2025 23:33

L’obiettivo è chiaro. E, almeno apparentemente, condiviso da tutte le forze in campo: fermare i combattimenti a Gaza e rilasciare gli ostaggi detenuti da Hamas prima che il presidente eletto degli USA Donald Trump assuma l’incarico, il 20 gennaio prossimo. Le negoziazioni sono alle battute finali, ma non ancora definite del tutto. I punti da dirimere sono stati molti, alcuni controversi. E così, nonostante gli annunci di una possibile soluzione in vista si siano susseguiti, quasi di ora in ora, i mediatori continuano a trattare. Al tavolo ci sono l’inviato entrante di Trump per il Medio Oriente Steve Witkoff e l’inviato uscente di Joe Biden Brett McGurk. Con loro, il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al Thani, e i due rappresentanti di Israele: David Barnea, il capo del Mossad, e Ronen Bar, direttore dell’agenzia di sicurezza interna Shin Bet. Anche Il gruppo militante della Jihad islamica, separato da Hamas e con in mano ostaggi a Gaza, ha inviato una delegazione. L’ottimismo, come detto, non manca. Già lunedì Biden aveva parlato di accordo tra Israele e Hamas ormai «imminente. Siamo sull’orlo di una proposta che ho esposto in dettaglio mesi fa e che finalmente si realizza», aveva detto il presidente degli Stati Uniti, intenzionato a lasciare la Casa Bianca con in tasca l’ultimo successo in politica estera. Anche Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione dem, aveva ventilato per la prima volta la «concreta possibilità» che Hamas e Israele potessero giungere a un’intesa. «La domanda è se possiamo cogliere l’attimo e far sì che ciò accada», aveva sottolineato Sullivan intervistato da Bloomberg. Sull’accordo si era espresso anche Trump che, in un’intervista a Newsmax, aveva confermato: «Siamo molto vicini a farlo, e loro (intendendo Hamas, ndr) devono farlo. Se non lo fanno, ci saranno un sacco di problemi là fuori. Capisco che c’è stata una stretta di mano, e stanno per finirla. E forse accadrà entro la fine della settimana», aveva aggiunto.

Il discorso di Blinken

La mediazione, però, continua. E rimane complessa. Come dimostra quanto dichiarato oggi prima dal portavoce del Ministero degli esteri del Qatar, Majed al-Ansari, e poi dal segretario di Stato USA Antony Blinken. Parlando a Doha in conferenza stampa, al-Ansari ha spiegato che «è molto importante non aumentare le aspettative a un livello che non si collega a ciò che sta accadendo sul campo. Siamo nelle fasi finali. Ma ovviamente, fino a quando non ci sarà un annuncio non dovremmo essere troppo eccitati. La guerra avrebbe dovuto finire molto tempo fa. Il costo umanitario è insopportabile e continua a essere insopportabile per la popolazione di Gaza e per la stabilità e la sicurezza di questa regione». In un discorso all’Atlantic Council, un think tank con sede a Washington, Blinken ha invece detto che «la palla è ora nel campo di Hamas. Se Hamas accetta, l’accordo è pronto per essere concluso e attuato». Gli Stati Uniti, ha aggiunto, «continuano a credere che il modo migliore per creare un Medio Oriente più stabile e sicuro sia creare una regione più integrata. La chiave è porre fine al conflitto in un modo che realizzi le aspirazioni di lunga data sia degli israeliani sia dei palestinesi: vivere in pace e sicurezza in Stati propri. C’è una finestra storica di opportunità. È aperta, impedirà altre morti e spezzerà il ciclo di violenza e spargimento di sangue. Non dobbiamo sprecare questa opportunità».

L’analisi di Haaretz

In che modo si è arrivati all’intesa? Secondo l’analista militare del quotidiano Haaretz, Amos Harel - uno dei pochi giornalisti israeliani che, prima del 7 ottobre, non aveva mai smesso di mettere in guardia contro l’apparente scelta non violenta di Hamas - Benjamin Netanyahu si è «piegato sotto la pressione di Donald Trump». In un editoriale pubblicato oggi, Harel scrive che «il presidente eletto degli USA ha molta più influenza su Netanyahu e sui mediatori egiziani e qatarioti rispetto a Joe Biden. Le cose che Netanyahu aveva definito questioni di vita o di morte sono improvvisamente svanite» quando l’inviato di Trump per il Medio Oriente, Steven Witkoff, ha detto al primo ministro israeliano che la Casa Bianca «si aspettava che si facesse un accordo. L’affermazione di Netanyahu che solo la pressione militare avrebbe portato al rilascio degli ostaggi, un’affermazione che a volte è stata sostenuta dai vertici dell’IDF, si è dimostrata infondata. E ora, il primo ministro si sta piegando». Negli ultimi mesi, ha aggiunto Harel, «almeno 8 ostaggi sono morti, due a causa delle bombe israeliane e sei trucidati da Hamas. Altri 122 soldati israeliani sono stati uccisi, un terzo dei quali nell’assalto a Jabalya e Beit Hanoun iniziato lo scorso ottobre. C’è sicuramente un valore nel continuare a colpire Hamas, che però non è stato sconfitto del tutto, e anche la vittoria completa non è dietro l’angolo».

Si combatte ancora

Israele ha lanciato il suo assalto a Gaza dopo che i combattenti di Hamas, il 7 ottobre 2023, hanno ucciso 1.200 persone e sequestrato altre 250. Da allora, secondo le stime del governo della Striscia, le forze israeliane hanno ucciso oltre 46 mila palestinesi. In 15 mesi e più di conflitto c’è stato un solo cessate il fuoco - di una settimana - a novembre 2024, durante il quale circa la metà degli ostaggi, 105, in gran parte donne, bambini e lavoratori stranieri, è stata liberata in cambio di detenuti palestinesi. Tutti i precedenti colloqui di pace sono naufragati poiché Hamas ha sempre rifiutato qualsiasi accordo che non ponesse fine definitivamente alla guerra, mentre Israele ha sempre sostenuto di non voler chiudere le ostilità fino a quando Hamas non fosse stato smantellato. Gli scontri si sono concentrati negli ultimi mesi sul confine settentrionale di Gaza. Ancora oggi, secondo fonti del governo di Gaza, gli attacchi dell’Esercito israeliano avrebbero causato almeno 27 morti, tra cui un giornalista. Uno di questi attacchi avrebbe ucciso 10 persone in una casa a Khan Younis, a sud dell’enclave. Un altro, invece, avrebbe ucciso 9 persone in un accampamento di tende a Deir Al-Balah, nel centro di Gaza. 

I punti chiave del documento

Quali sono i punti principali della proposta di cessate il fuoco a Gaza tra Israele e Hamas mediata dal Qatar? Una bozza dell’intesa è stata resa nota oggi dall’agenzia Reuters che, in proposito, cita come fonte «un funzionario israeliano e un funzionario palestinese». «Nella prima fase» dell’accordo, scrive la Reuters, «saranno liberati 33 ostaggi: bambini, donne, comprese le soldatesse, uomini sopra i 50 anni, feriti e malati. Israele crede che la maggior parte sia viva, ma non ha avuto alcuna conferma ufficiale da Hamas». La prima fase della tregua durerà 60 giorni. Se tutto «procederà come previsto, nel 16. giorno dall’entrata in vigore dell’accordo, inizieranno i negoziati per una seconda fase, durante la quale gli ostaggi rimasti in vita - soldati maschi e giovani civili maschi - saranno rilasciati e i corpi degli ostaggi morti saranno restituiti. In cambio degli ostaggi, Israele libererà dalle sue carceri oltre mille prigionieri e detenuti palestinesi, compresi i condannati che scontano lunghe pene per attacchi mortali. I combattenti di Hamas che hanno preso parte al raid del 7 ottobre 2023 contro Israele non saranno invece rilasciati».

Ritiro graduale
Il ritiro delle truppe dell’IDF sarebbe «graduale, con le forze israeliane che rimarrebbero nel perimetro di confine per difendere le città e i villaggi di confine israeliani. Ci sarebbero disposizioni di sicurezza nel corridoio di Philadelphi, alla frontiera con l’Egitto, lungo il confine meridionale di Gaza, con Israele che si ritirerà da alcune parti di esso dopo i primi giorni dell'accordo. Ai residenti disarmati di Gaza Nord sarebbe permesso di tornare, con un meccanismo per garantire» che nell’area non siano più introdotte armi di alcun genere. Nel contempo, «le truppe israeliane si ritireranno dal corridoio di Netzarim nel centro di Gaza». Anche il valico di Rafah, tra l’Egitto e Gaza, sarà riaperto: «inizierà a funzionare gradualmente, consentendo il passaggio di coloro che sono malati e dei casi umanitari fuori dall’enclave per le cure». L’accordo prevede «un aumento significativo degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, dove gli organismi internazionali, tra cui le Nazioni Unite, affermano che la popolazione sta affrontando una grave crisi umanitaria. Israele consentirà l’ingresso di aiuti nell’enclave», ma ci sono state controversie sulla quantità consentita degli stessi, dato che non è tuttora chiaro quanti di questi aiuti raggiungano le persone in stato di bisogno, e quanto, invece, sia saccheggiato da bande criminali. Un problema considerato «crescente».

Assetto da decidere
Nel documento non figura un paragrafo sulla futura governance di Gaza. «Chi governerà la Striscia dopo la guerra è una delle incognite dei negoziati - scrive la Reuters - Sembra che l’attuale ciclo di colloqui abbia escluso la questione dalla proposta a causa della sua complessità e della probabilità che possa portare a un accordo limitato. Israele ha detto che non porrà fine alla guerra lasciando Hamas al potere. Ha anche rifiutato l’amministrazione di Gaza da parte dell’Autorità nazionale palestinese (ANP), l’organismo sostenuto dall’Occidente e istituito in base agli accordi di pace provvisori di Oslo» dell’agosto 1993 per «esercitare una sovranità limitata nella Cisgiordania occupata». Tel Aviv ha comunque ribadito di voler mantenere il controllo della sicurezza sull’enclave dopo la fine dei combattimenti, e questo nonostante la comunità internazionale abbia più volte detto che la Striscia di Gaza dev’essere governata autonomamente dai palestinesi.