La fine di Sports Illustrated e delle riviste

Addio Sports Illustrated? La rivista sportiva più famosa del mondo ha annunciato un grosso piano di licenziamenti e la sua stessa esistenza sembra in pericolo, anche se ufficialmente non si parla di chiusura. È una notizia e al tempo stesso non lo è, visto che la crisi della stampa ha toccato sì i quotidiani, ma soprattutto ha quasi azzerato i periodici.
Settant'anni di storia
La rivista americana è dal 2019 di proprietà di Authentic Brands Group, che però ha ceduto i diritti di pubblicazione a un’altra società chiamata Arena Group. Ecco, quest’ultima ha annunciato l’intenzione di licenziare quasi tutti i dipendenti e in particolare il personale che sta lavorando per Sports Illustrated, circa 600 persone. Per problemi finanziari, visto che non riesce a pagare nemmeno le rate trimestrali per i diritti, ma anche per un crollo nelle vendite che ha portato il magazine ben sotto il milione di abbonamenti fra cartacei e digitali, un terzo rispetto ai tempi d’oro (le vendite in edicola sono sempre state marginali) e con i danni limitati soltanto dai tanti spin-off, dal web e da numeri speciali come il leggendario Swimsuit Issue, quello delle modelle in costume da bagno, pur zavorrato commercialmente dalla cultura woke (modelle transgender e altro). Con le tappe del declino segnate dall’allungamento della periodicità del cartaceo: settimanale fino al 2018, cioè fino a quando ha fatto parte dello stesso gruppo di Time, Sports Illustrated è poi diventato quindicinale per trasformarsi nel 2020 in un mensile. La tipica strada verso il fallimento e la chiusura, parliamo solo dell’edizione cartacea, proprio nel suo settantesimo anno di vita. Peccato, pensando a ciò che per decenni ha significato finire sulla sua copertina: record a questo punto imbattibile quello di Michael Jordan con 50 presenze, davanti a Muhammad Ali con 40 e a LeBron James con 25. Al di là del passato, la situazione aziendale del presente si è saldata a una serie di incidenti giornalistici, ultimo in ordine di tempo quello dello scorso dicembre, quando sul sito di Sports Illustrated sono comparsi articoli di giornalisti sconosciuti e soprattutto finti, creati dall’intelligenza artificiale, con tanto di biografie fake. Articoli che non sono finiti sulla rivista cartacea, ma che hanno dato una picconata alla credibilità. Sports Illustrated almeno in digitale esisterà ancora? Probabilmente sì, vista la forza del marchio.
Sul mercato italiano
Non c’è bisogno di andare in America per osservare ogni giorno la chiusura di riviste. Sul mercato italiano nei giorni scorsi ha fatto discutere la decisione di Urbano Cairo di chiudere 5 riviste del suo gruppo in un colpo solo, con distribuzione dei giornalisti nelle altre testate di sua proprietà, dal Corriere della Sera alla Gazzetta dello Sport a La7. Il presidente del Torino ha spiegato che le testate coinvolte (Airone, For Men, In Viaggio, Bell’Europa e Antiquariato) hanno sì scontato la crisi del mercato pubblicitario per i periodici, ma soprattutto il fatto che non avessero margini positivi dal 2009. In altre parole la crisi delle riviste, di nicchia come quelle citate ma a maggior ragione di quelle generaliste che se la devono vedere con quotidiani e televisione, parte da lontano ed è arrivata a un punto in cui i vecchi lettori per cause naturali non ci sono più e non vengono sostituiti da chi è abituato a leggere tutto sul web o a non leggere proprio.
Settimanalizzazione
Qualche anno fa, quando il web non aveva ancora divorato la carta e comunque si credeva che le copie digitali dei quotidiani avrebbero sostituito quelle vendute in edicola, andava di grande moda parlare di ‘settimanalizzazione dei quotidiani’. In altre parole: le persone leggono sul computer o sullo smartphone la notizia, e sul giornale vogliono approfondirla. Il risultato, in gran parte del mondo è stato che su molti quotidiani sono scomparse le notizie, che però sul web sono date in maniera frammentaria o in ottica clickbaiting, in particolare sui siti non a pagamento che legano la propria esistenza all’indicizzazione su Google, il cui algoritmo cambia di mese in mese limitando gli effetti finanziari positivi della scrittura SEO, quella funzionale a farsi leggere o almeno cliccare. Quindi il quotidiano si è settimanalizzato, il settimanale è quasi sparito e il mensile, per non dire di periodicità più lunghe, si è rintanato nella nicchia della nicchia.
Pubblicità
Più dei discorsi sui massimi sistemi contano i numeri. In teoria positivi, almeno per quanto riguarda la pubblicità. Che nel 2024 dovrebbe crescere dell’8,2% dopo essere cresciuta del 4,4% nel 2023 (analisi di WARC), arrivando a 1,04 trilioni di dollari, superando quindi per la prima volta nel mondo i mille miliardi di dollari. La cattiva notizia per i media normali è che metà, il 50,7%, di questa spesa pubblicitaria andrà ad alimentare 5 sole aziende: Alphabet (Google), Amazon, Meta (Facebook), Alibaba e Bytedance (TikTok). Con il tasso di incremento maggiore che quest’anno riguarderà, chi l’avrebbe mai detto, i social media con un +12,8%. Di questa enorme torta quale fetta toccherà ai magazine? L’1,4%, contro il 3,3% dei quotidiani: si tratta delle uniche realtà in calo, anche se la relativamente buona notizia è che il calo sta rallentando. Nel 2024 i magazine incasseranno il 2,5% in meno di pubblicità, contro il meno 4,9 del 2023 e il meno 10,8 del 2022. In altre parole, la carta stampata mantiene ancora un certo prestigio ed è pianificata nelle campagne pubblicitarie, secondo la logica di far avere qualcosa in mano all’amministratore delegato che decide la sponsorizzazione. Ma i lettori – lettori veri – di riviste sono sempre di meno e non è questione di carta, di edicole, di distribuzione, eccetera. Contando copie cartacee e digitali, nel mondo sono stati, nel 2023, circa 220 milioni, con un calo di quasi il 40% rispetto al 2019, l’ormai mitico pre-Covid. Il lettore cartaceo non è quindi stato sostituito dal lettore digitale. O meglio: non sappiamo da cosa sia stato sostituito.