La Germania spegne il nucleare, ma molti non sono più d’accordo

Gli adesivi gialli con il Sole rosso che ride e tutto attorno la scritta Atomkraft? Nein Danke sono il simbolo, conosciuto in Europa, del movimento antinuclearista tedesco degli anni ’80 del secolo scorso.
E i Grünen, i Verdi, principale partito ecologista di Germania, sono i rappresentanti politici di quella battaglia. Quel Sole rosso ha vinto, perché oggi comincia la dismissione degli ultimi tre impianti nucleari ancora attivi nella Repubblica federale: Isar 2 in Baviera; Emsland in Bassa Sassonia; Neckarwestheim 2 in Baden-Württemberg.
L’uscita della Germania dal nucleare non è una decisione dell’ultimo minuto. In molti ricordano che a marzo del 2011 Angela Merkel, allora alla guida del suo secondo governo, colse l’occasione del disastro alla centrale nucleare di Fukushima in Giappone per accelerare lo spegnimento degli impianti atomici tedeschi.
Pochi mesi dopo il Bundestag approvò, a larga maggioranza, l’uscita del Paese dall’atomo entro il 31 dicembre del 2022. Ma già prima di Fukushima il governo rosso-verde del cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder aveva stabilito che tutti gli impianti sarebbero dovuti andare in pensione entro e non oltre i 32 anni di attività.
Governo diviso
L’idea, insomma, che prima o poi la Germania avrebbe staccato la spina alle proprie centrali atomiche è ben stratificata e fatta propria dai tedeschi; e il processo non si è mai interrotto. Stade è stata mandata in pensione nel 2003, Obrigheim nel 2005 mentre ben 7 centrali (Biblis A, Biblis B, Brunsbüttel, Isar 1, Neckarwestheim 1, Unterweser e Philippsburg 1), collegate alla rete da prima del 1980, furono spente all’indomani di Fukushima.
Se all’inizio del millennio la Germania contava su 19 centrali che producevano circa un terzo dell’energia elettrica consumata nel Paese, le tre attive fino a oggi non arrivano al 6%. A quella percentuale arrivavano a fine 2022, ma poi Vladimir Putin ci ha messo lo zampino: così, lo scoppio della guerra russo-ucraina e la conseguente crisi energetica hanno spinto il governo di Olaf Scholz a chiedere al Bundestag di prolungare la vita dei tre impianti. Il progetto ha scatenato una lotta senza precedenti in seno alla maggioranza: i Verdi del vicecancelliere Robert Habeck si sono detti contrarissimi, mentre i Liberali (FDP) del ministro delle Finanze Christian Linder, al contrario, sarebbero stato lieti di ordinare nuovo carburante per lasciare accese le centrali ancora a lungo; tanto più che, proprio in quelle settimane, l’Unione Europea aveva «promosso» l’energia atomica a energia quasi verde perché produce sì scorie ma non anidride carbonica.
L’opionione pubblica
Il compromesso imposto da uno Scholz stufo di vedere i suoi ministri mettere in pericolo la stabilità del governo di coalizione ha scontentato entrambe le parti. Ma neppure gli elettori sono rimasti entusiasti: secondo l’ultimo sondaggio DeutschlandTrend per ARD-Morgenmagazin la maggioranza dei tedeschi si oppone all’uscita del nucleare, a eccezione dei giovani che sono piuttosto a favore.
Più in dettaglio, il 59% ritiene la scelta sbagliata e il 34% giusta. Fra questi ultimi, il 50% ha fra i 18 e i 34 anni. Al contrario, tutte le classi di età sopra i 35 anni sono ampiamente favorevoli al mantenimento delle centrali. Nessuna sorpresa sotto il profilo politico: contrarissimi allo spegnimento sono gli elettori di CDU-CSU (83%), i simpatizzanti dei sovranisti di AFD (83%) e poi i Liberali (65%). Sul fronte opposto i Verdi, favorevoli all’82%, mentre la SPD del cancelliere dice sì ma è spaccata (56% contro 44%).
Il rapporto fra i tedeschi e l’atomo, insomma, è di amore-odio. Quando l’energia nucleare era abbondante ma faceva paura, elettori e deputati hanno scelto di mandarla in pensione. Oggi che a fare paura sono soprattutto l’inflazione e la crisi energetica, la maggioranza di tedeschi sembra essersi pentita.
A lamentarsi sono soprattutto gli imprenditori: fra i più critici troviamo Peter Adrian, il presidente della Camera di Industria e Commercio tedesca (DIHK). Parlando alla Rheinische Post, Adrian ha avvertito che la Germania non ha ancora vinto la sfida dell’approvvigionamento energetico, «e questo - ha detto - vale anche a lungo termine». L’Associazione federale dell’industria dell’energia e dell’acqua (BDEW) ha, da parte sua, messo in guardia contro un aumento delle emissioni di anidride carbonica proprio a seguito dell’uscita definitiva del nucleare, mentre la Confindustria tedesca (BDI), ingoiato l’amaro calice, si è lamentata di come l’espansione di nuove capacità sia ancora troppo lenta. BDI non è la sola a osservare che, per motivi strettamente logistici (carenza di tecnologia e di lavoratori specializzati), lo sviluppo delle pale eoliche e degli impianti fotovoltaici in Germania non sembra stare dietro alla fame crescente di energia nel Paese.
Preoccupa la crisi energetica
Quello che accomuna i critici dello spegnimento non è tanto la chiusura delle centrali quanto il fatto che questa stia avvenendo in un periodo di crisi energetica, in cui la Germania è già impegnatissima a compensare il crollo delle importazioni di gas e di greggio russo sul fronte orientale.
A gettare acqua sul fuoco, anzi sui reattori, ha provveduto il vicecancelliere verde Habeck: «La sicurezza dell’approvvigionamento energetico in Germania è stata garantita in questo difficile inverno e continuerà ad essere garantita», ha detto ai giornali del Funke-Mediengruppe. Sul fronte degli irriducibili restano i Liberali di Lindner: atteso che lo spegnimento degli impianti oggi non è più differibile, i rappresentanti della FDP hanno chiesto al governo di permettere almeno che le tre centrali dalle ore contate non siano immediatamente smantellate ma possano essere tenute come «riserva», pronte cioè a ripartire laddove ce ne fosse la necessità. Il progetto, spiegano però gli esperti di ingegneria nucleare, è più facile da dire che da mettere in pratica.