«La guerra finirà con un accordo che molti di noi odieranno»

La settimana scorsa il leader cinese Xi Jinping e il suo nuovo Ministro degli Affari esteri Qin Gang hanno usato parole insolitamente forti contro l’Occidente. Xi ha denunciato «il contenimento, l’accerchiamento e la repressione» della Cina da parte dei «Paesi occidentali guidati dagli Stati Uniti». Il giorno dopo, Qin ha aggiunto che USA e Cina si stanno dirigendo verso un «inevitabile conflitto» se Washington non dovesse cambiare approccio. Gli americani, ha detto, «dicono di voler competere [economicamente e politicamente] e di non cercare il conflitto, ma in realtà per competizione intendono contenimento» della Cina per rallentarne la sua ascesa nel mondo. Le relazioni fra Cina e Stati Uniti non sono mai state così tese. Lo scenario di una guerra fra i due eserciti più potenti al mondo è esplorato in un romanzo di anticipazione estremamente ben informato, perché uno dei due autori è l’ex-comandante militare supremo della NATO, l’ammiraglio americano Jim Stavridis.
Ammiraglio, la Cina si sente accerchiata.
«Un mese fa gli Stati Uniti hanno firmato un accordo per una base militare sull’isola di Luzon, nelle Filippine, a meno di 500 chilometri da Taiwan. Quasi contemporaneamente il corpo dei Marines ha avviato una nuova base (la prima in 70 anni) sull’isola di Guam, il territorio americano più vicino alla Cina. E poi ci sono le alleanze con Australia e Regno Unito sui sottomarini nucleari, il Giappone che aumenta il budget militare, l’Olanda che vieta le esportazioni di tecnologie per semiconduttori, e molto altro. Se sei a Pechino, posso capire che tutto questo sembri preoccupante».
Quindi come bisogna leggere le affermazioni di Xi Jinping e Qin Gang?
«Per ora, come una sorta di gesticolazione tattica. Xi Jinping è un uomo intelligente e paziente. Credo stia segnalando all’Occidente la sua preoccupazione, il suo disagio per questo crescente senso di accerchiamento. Direi che non è un segnale irragionevole da inviare».
Nel contempo la Cina da un lato sventola l’idea di fornire armi alla Russia…
«Ne sta parlando in modo simile alla retorica del presidente russo Vladimir Putin sull’arma nucleare. Penso che nessuno dei due metterà in atto queste minacce».
…dall’altro ha lanciato l’idea di un piano di pace per l’Ucraina.
«Non è un piano assurdo. Dodici punti, è abbastanza semplice e chiaro. Penso che potrebbe essere la base per un negoziato, ma probabilmente solo tra sei o dodici mesi».
Perché non possiamo arrivare subito a un negoziato?
«Perché Putin pensa ancora che in qualche modo capovolgerà la situazione e spazzerà via tutta l’Ucraina. Non succederà. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è invece confrontato con il calo del sostegno dell’Occidente. Sono due orologi che avanzano separatamente e solo quando suoneranno insieme si potrà negoziare. Direi, appunto, dai sei ai dodici mesi».


Quanto è reale l’allineamento Xi-Putin? Un anno fa (poco prima dell’invasione russa dell’Ucraina) avevano parlato di «amicizia senza limiti». Xi potrebbe presto recarsi a Mosca per un nuovo incontro.
«Penso sia improbabile che Xi Jinping si schieri armi e bagagli con Putin. Il leader cinese sa che la guerra in Ucraina si sta rivelando una debacle per l’esercito russo. Putin oggi non sembra un partner attraente come poteva esserlo tredici mesi fa. Certo, la Cina ha interesse a continuare a ottenere petrolio e gas a prezzi scontati, e può costringere la Russia a riconfigurare i suoi sistemi energetici diventando effettivamente un vassallo di Pechino».
Nel 2019 il presidente francese Emmanuel Macron disse che la NATO era «cerebralmente morta». Una diagnosi perlomeno prematura. Lei è stato capo militare della NATO. Come guarda all’alleanza oggi?
«È un’alleanza di terza generazione. La prima generazione era quella della guerra fredda, due milioni di soldati in servizio attivo lungo la cosiddetta cortina di ferro. Poi cadde il Muro di Berlino e molti pensarono che la NATO fosse diventata inutile. La versione 2 è quella dell’Afghanistan, dei Balcani, della lotta al terrorismo, della cybersicurezza. E della Libia, questione difficile. Era una NATO che cercava una struttura unificante. La sua fine è stato il disastroso ritiro dall’Afghanistan, culminato nell’agosto 2021, uno dei momenti peggiori in assoluto per l’alleanza. Se Putin fosse stato più furbo, avrebbe concesso un po’ di tempo alla storia, lasciando che la “morte cerebrale” enunciata da Macron diventasse rigor mortis. Invece ha invaso l’Ucraina, e in risposta ecco la NATO versione 3: più coesa, più intelligente e moderna, più grande (con la candidatura dei neutrali Svezia e Finlandia), molto più esperta di guerra. Più forte».
La Germania è un elemento essenziale della NATO. Nell’ultimo anno ha vissuto una trasformazione a 180 gradi della sua politica estera e di sicurezza, con la “Zeitenwende” del Cancelliere Scholz e investimenti militari per decine di miliardi di euro.
«La Germania ha capito che da decenni il suo budget per la difesa era inadeguato, e sta quindi per svolgere un ruolo molto più forte nell’alleanza. È una grande ironia della storia che la Germania e il Giappone siano oggi, quasi 80 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, i due più forti alleati – economicamente – degli Stati Uniti, e che sviluppando le loro capacità militari entrambi si stiano risvegliando da un lungo periodo in cui ripetevano semplicemente che “la guerra è una brutta cosa”. Sì, è una brutta cosa. Ma il modo per evitare le guerre è prepararsi a combatterne una».
Il suo romanzo “2034” immagina un conflitto diretto fra Cina e Stati Uniti. Come valuta il rischio reale oggi?
«Ritengo che al momento sia basso. L’abbiamo ambientato nel 2034 perchè fra dieci anni il rischio sarà molto più alto. Arrivano tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’informatica quantistica. La Cina avrà probabilmente un’economia grande all’incirca quanto quella degli USA, e il suo esercito è in espansione».
Nel romanzo lo scontro inizia nel Mar Cinese Meridionale.
«Se dovesse esserci una guerra, credo che inizierebbe da lì, dove ci sono molte forze militari dispiegate a poca distanza l’una dall’altra. La Cina rivendica (assurdamente) l’intero Mar Cinese Meridionale, vi ha costruito delle isole artificiali. Quella rivendicazione non diventerà mai un costrutto serio nel diritto internazionale. Stati Uniti, Francia, Germania e altri Paesi stanno parlando di pattugliamenti navali per garantire la libertà di navigazione. Le tensioni continuano a crescere».


E a breve termine?
«Alcuni pensano che Putin che invade l’Ucraina possa rappresentare un segnale per Xi per invadere Taiwan. Io penso che sia quasi il contrario. Se sei Xi Jinping e stai osservando questo disastro, probabilmente ti stai chiedendo se i tuoi generali sono mediocri come i generali russi, e se i taiwanesi combatterebbero eroicamente come gli ucraini. Non conosco la risposta, ma ho parlato con molti taiwanesi, e credo che combatterebbero».
C’è anche la variabile economica: la Cina è troppo grande e sistemicamente importante per essere oggetto di sanzioni?
«Probabilmente, ma la Cina è come uno squalo: deve continuare a nuotare e nutrirsi, non può fermarsi. Deve crescere la sua economia almeno del 5 per cento all’anno. Questa cifra potrebbe essere ridotta da sanzioni mirate? Sì. Xi lo capisce, ed è uno paziente, non farà niente di impulsivo».
È immaginabile l’uso dell’atomica in Ucraina?
«Credo che la probabilità sia bassa. Di sicuro Putin non userà una bomba atomica strategica. Non è pazzo. Non mi piace, Putin, ma una cosa devo concedergliela: ama il suo Paese. Non farà qualcosa che distruggerebbe la Russia insieme a gran parte del mondo. Potrebbe usare un’arma nucleare tattica (di più piccole dimensioni e impatto, ndr)? Potrebbe, ma nello scenario ucraino odierno non c’è nessun buon uso militare per una bomba tattica. Di certo non la userebbe per mettere un fungo atomico nel cielo di Kyiv. Sa che se lo facesse, sarebbe la fine per la Russia. Che la Cina, l’India, il Pakistan, il Sud Africa, il Brasile, tutto il sud del mondo a quel punto prenderebbe le distanze».
Come immagina la fine della guerra in Ucraina?
«Penso che Putin farà di tutto per consolidare il controllo dei territori che ora detiene: la Crimea e una striscia di terra all’est. Ci sarà una specie di offensiva primaverile, che non servirà a molto. Putin spera che l’Occidente si stanchi abbastanza da dire a Zelensky: “Devi negoziare”. Potrebbe così annunciare al popolo russo d’aver ottenuto ciò che voleva. Penso che finirà così. Tutte le decisioni sull’integrità territoriale dell’Ucraina spettano ovviamente agli ucraini. Il nostro compito in Occidente è di fornire loro i migliori strumenti, in modo che quando si arriverà inevitabilmente a un negoziato, si trovino nella posizione più forte possibile. La maggior parte di noi odierà quell’accordo. Ma d’altra parte, rispetto a una guerra prolungata con il rischio di un brutto evento finale, probabilmente un accordo non sarebbe il peggior risultato. È uno scenario da fine della guerra di Corea. E penso che dieci anni più tardi l’Ucraina sarà rivitalizzata, assomiglierà molto alla Corea del Sud, sarà ricostruita. E avrà l’esercito migliore e più sperimentato d’Europa. Che vorremo nella NATO».