L'intervista

«La guerra russa in Ucraina, una conquista territoriale»

La Danimarca ha siglato un «defence agreement» con gli Stati Uniti: approfondiamo il tema dell’«espansione» dell’esercito USA nella regione scandinava con il ricercatore ed esperto di difesa Claudio Bertolotti
L’esercito USA si sta «espandendo» in Europa anche tramite accordi bilaterali di collaborazione militare. © EPA/Stéphanie Lecocq
Dimitri Loringett
04.01.2024 06:00

Lo scorso 19 dicembre la Danimarca ha siglato un «defence agreement» con gli Stati Uniti, secondo il quale per i prossimi dieci anni truppe e mezzi militari americani potranno stazionare su suolo danese. L’accordo fa seguito a quelli siglati pochi giorni prima con Finlandia e, a inizio dicembre, con Svezia, mentre la Norvegia già lo aveva fatto nel 2021. Approfondiamo il tema dell’«espansione» dell’esercito USA nella regione scandinava con il ricercatore ed esperto di difesa Claudio Bertolotti.

Dottor Bertolotti, iniziamo col chiederle in che cosa consistono questi «defence agreements», in particolare quello siglato con la Svezia che non è (ancora) Paese NATO.
«Sul piano formale si tratta di accordi bilaterali che di fatto aprono una forma di collaborazione nel settore della difesa. Nel concreto, l'accordo siglato con la Svezia anticipa strategicamente il suo ingresso nella NATO e sulla base di questo viene avviata una attività di cooperazione che include anche attività di addestramento e la presenza fisica di militari statunitensi su suolo svedese. Al tempo stesso, l’accordo consente agli Stati Uniti di poter avere in gestione delle zone dove allestire delle basi militari, sia di tipo logistico, quindi per lo stoccaggio di materiali ed equipaggiamenti, sia per l'alloggiamento di truppe e con relative aree dedicate all’addestramento. Questi “defence agreements” vanno di fatto a creare un ombrello protettivo per quei Paesi che sono prossimi alla Russia e che temono le mire espansioniste e aggressive di Mosca. E la Svezia ha dimostrato di essere stata particolarmente intimorita dall'azione russa in Ucraina».

Alla luce di questo «accumulo» di forze militari USA nel nord Europa, un’espansione (ipotetica ) della Russia in Europa è immaginabile?
«La Russia ha dimostrato nel corso della sua storia imperiale, prima sovietica e russa poi, che le conquiste territoriali, specialmente in zone di frontiera o in zone critiche, sono in funzione di ulteriori salti in avanti. Quello a cui stiamo osservando oggi non è l’invasione dell’Ucraina, che è iniziata a fine febbraio 2022, ma è il risultato di un consolidamento dell’annessione russa della Crimea, avvenuta nel 2014, e l’assunzione della consapevolezza di una incapacità di reazione dalla parte opposta, quindi l’Ucraina, la NATO e gli Stati Uniti. I risultati che la Russia sta ottenendo oggi sono di effettiva conquista territoriale. Territori che, salvo eventi non prevedibili, la Russia non perderà e neanche cederà in caso di accordo negoziale. Dal profilo della sua visione strategica, storicamente la Russia si è sempre sentita una fortezza sotto assedio e questo ha influito in maniera significativa sulla definizione delle dottrine politiche e strategico-militari, che prevedono anche l’azione militare preventiva per andare a colpire quella che è la minaccia che si sta concretizzando al di fuori dei propri confini. Quindi la guerra in Ucraina, ma anche una possibile guerra in Scandinavia o nel Baltico, potrebbe rientrare in questa lettura che la Russia fa della geografia, della geopolitica e delle relazioni internazionali. Rispetto agli USA o all’Occidente in generale, la Russia ha anche un’idea diversa del concetto di deterrenza. Mentre l’Occidente l’ha sempre intesa come un’azione preventiva dell’attivismo altrui, la Russia (e prima l’Unione sovietica) l’ha sempre intesa come la capacità di premere militarmente l’avversario, inducendolo ad assumere decisioni in conseguenza della minaccia di ritorsione russa. E in questo non c’è mai stata una convergenza tra le parti».

Quello a cui stiamo assistendo in Ucraina è il risultato di un consolidamento dell’annessione russa della Crimea

Si dice che più di qualche Paese europeo (non solo a Nord) continui a fare affari con i russi, seppure «sottobanco». Il fattore economico sembra quindi prevalere su quello difensivo. È così?
«L’Occidente ha perso molto nell’applicare le sanzioni contro la Russia e ha di fatto creato dei vuoti che sono stati riempiti da altri competitor commerciali. La Cina, così come i Paesi Brics del Sud globale, hanno creato nuovi canali commerciali con la Russia, imponendo dunque una batosta economica all’Occidente. In certi settori si è quasi chiuso un occhio pur di garantire, a Paesi europei in primis, anche attraverso la triangolazione, il mantenimento dei rapporti commerciali, certamente ridotti, ma che una volta finita la guerra potrebbero essere riattivati. Il problema è che, una volta recisi questi rapporti è difficile riuscire a riattivarli. Un’altra considerazione, sempre sul piano economico, è che la Russia, benché duramente colpita dalla guerra, ha una capacità di sistema di poter sostenere un conflitto a bassa intensità, o medio-bassa intensità, come quello in Ucraina, che potrà durare almeno cinque o addirittura dieci anni. Lo abbiamo già visto con il conflitto in Cecenia. È questo che più spaventa i mercati occidentali».

In conclusione, perché gli Stati Uniti focalizzano i loro sforzi militari sul nord Europa?
«La Scandinavia oggi diventa più importante di quanto non lo sia stato in passato perché, in conseguenza dello scioglimento dei ghiacci, le rotte attraverso i mari del Nord saranno agevoli e garantiranno sempre di più un flusso commerciale marittimo dalla Cina attraverso i mari controllati dalla Russia fino alla Scandinavia. La Russia e la NATO vogliono controllare queste rotte commerciali e se una delle due parti dovesse prevalere, potrebbe bloccare le merci in transito, causando un conflitto».

Baltici, «dimenticare l'Ucraina avrebbe conseguenze nefaste»

«Dimenticare l’Ucraina potrebbe avere conseguenze molto nefaste per tutto l’Occidente». Lo ha affermato martedì il presidente della Lettonia, Edgars Rinkevics, intervenendo a un programma radiofonico della BBC.

Rinkevics ha in particolare sottolineato che l’attenzione giustamente prestata dalla comunità internazionale alla risoluzione del conflitto mediorientale non può rappresentare un’alternativa alla soluzione della guerra in Ucraina in quanto questo corrisponderebbe alla volontà di Mosca di creare una gerarchia dei conflitti adatta ai propri interessi politici.

Intervenendo alla stessa trasmissione, la prima ministra dell’Estonia, Kaja Kallas, ha invece ribadito la necessità di aumentare, nel 2024, la pressione politica su Mosca e di fornire all’Ucraina sostegno militare, finanziario e umanitario per permetterle di difendersi efficacemente dall’attacco della Russia. «Putin è convinto che riuscirà a vincere nonostante l’opposizione e le sanzioni occidentali», ha detto Kallas. «Noi abbiamo il dovere di dimostrargli che questo non è vero».

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