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La minaccia di un attacco iraniano ora è concreta: in Israele l'allerta è alta

Non è più questione di «se» ma di «come» e «quando» – E questo «quando», potrebbe essere molto presto
© AP/Mahmoud Illean
Nello Del Gatto
12.04.2024 20:45

Non è più questione di «se» ma di «come» e «quando». E questo «quando», potrebbe essere molto presto. La preoccupazione in tutto Israele è palpabile. La minaccia di un attacco da parte dell’Iran è più che concreta. La concomitanza della fine del Ramadan e dell’inizio, fra una decina di giorni, delle festività della Pasqua ebraica, sembra essere la cornice perfetta per la risposta di Teheran all’attacco del primo aprile. Che Israele non ha mai rivendicato, come neanche smentito. Dopotutto, si discute ancora sull’obiettivo.

Il palazzo di Damasco, infatti, era una base delle Guardie rivoluzionarie iraniane. Gruppo che, dagli USA, è considerato terroristico. Secondo alcune indiscrezioni, il palazzo non ospitava alcuna sede diplomatica iraniana. Era affittata dalla stessa. Tant’è vero che al piano superiore a quello dove si trovavano il comandate delle forze Quds di Siria e Libano, Mohammed Reza Zahedi, l’altro graduato e i suoi militari, viveva una famiglia siriana. In quel momento non in casa, se non in due suoi componenti, morti anch’essi nell’attacco.

Teheran ha da subito puntato il dito contro Israele. Dopotutto lo fece anche nel 2020, quando fu ucciso il generale Soleimani, il comandante delle forze Quds. In quella occasione, furono gli Stati Uniti a rivendicare, mentre questa volta Washington ha fatto sapere a Teheran, per interposta persona tramite l’Oman, di non aver avuto alcun ruolo nell’attacco del primo aprile.

I vertici militari di Washington si sono anche lamentati con l’alleato israeliano di non aver saputo nulla in anticipo dell’intenzione di portare l’attacco, anche perché lo stesso mina la sicurezza delle forze americane nella regione.

Non è questione di «se» ma di «come» e «quando». Per i servizi americani, secondo indiscrezioni di stampa, le prossime ore sono decisive. Un attacco potrebbe essere portato dall’Iran a stretto giro, magari con un centinaio tra razzi e droni. Il leader di Teheran, l’ayatollah Khamenei è stato chiaro: Israele deve pagare. Uno spiraglio diplomatico, per Teheran c’era. «Se il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avesse condannato il riprovevole atto di aggressione del regime sionista nei confronti delle nostre sedi diplomatiche a Damasco e successivamente avesse assicurato alla giustizia i suoi autori, l’imperativo per l’Iran di punire questo regime canaglia avrebbe potuto essere evitato», ha scritto su X, la missione diplomatica di Teheran a New York.

In Israele l’allerta è alta. Anche perché oltre a non essere chiaro il quando, è altrettanto sconosciuto il come. Forse per descalare un po’ la situazione, il regime degli ayatollah ha comunicato che la sua risposta sarebbe stata effettuata in modo da evitare una grave escalation e che non agirà frettolosamente, sarà «controllata» e pianificata «utilizzando gruppi regionali per lanciare una serie di attacchi contro Israele».

Dopotutto, nell’area, insistono molti «proxy» iraniani, gruppi che si rifanno a Teheran e da questo ricevono aiuti, armi e addestramenti. Da Hamas e Jihad Islamico tra Gaza e Cisgiordania a Hezbollah in Libano, dagli Houthi in Yemen ai miliziani di Katayb Hezbollah iracheni ai siriani. Dopotutto, dopo la morte di Soleimani, fu attaccata una base americana in Iraq. È altamente probabile, quindi, più che partano razzi dal suolo iraniano verso Israele, che uno o più di questi gruppi che dal sette ottobre già sono in guerra con Israele, si adoperi in qualche azione. La zona nord israeliana al confine con il Libano, come pure le alture del Golan o le città galilee come Haifa, sono le più indiziate. Difficile che si prendano di mira Tel Aviv o Gerusalemme.

In allerta, da giorni, anche le missioni diplomatiche israeliane in giro per il mondo, soprattutto in quei Paesi con i quali l’Iran ha pochi rapporti o dei quali non teme ritorsioni. Visitando una base dell’aviazione, il premier Netanyahu ha detto che «abbiamo stabilito un principio semplice: chiunque ci colpisca, lo colpiremo. Siamo pronti ad adempiere alle nostre responsabilità nei confronti della sicurezza di Israele, in difesa e in attacco». Anche per questo, gli F-15 con la stella di Davide hanno partecipato a una esercitazione con l’aviazione cipriota che aveva come oggetto attacchi a lungo raggio.

Il portavoce dell’esercito Daniel Hagari ha voluto tranquillizzare in qualche modo la popolazione, dicendo che non c’è alcun cambiamento nelle istruzioni di allarme. «Siamo in allerta e altamente preparati per vari scenari e valutiamo costantemente la situazione. Siamo pronti per l’attacco e la difesa anche con i nostri partner strategici», ha detto.

Tutti sono perennemente collegati con app e siti del Front Command, che dà le istruzioni di sicurezza. Lo erano già dopo il sette ottobre. Ma in questi momenti, sembra di essere tornati ai giorni immediatamente successivi al massacri di Hamas. I rifugi nelle case e nei palazzi sono stati rimessi a posto e liberati, tutti si informano in tempo reale.

L’orologio della tensione fa correre anche la diplomazia. Dopo i Paesi del Golfo, che hanno chiamato Teheran per la descalation, sono intervenute anche le diplomazie di Regno Unito, Russia, Francia, Germania, Australia, Turchia e Cina. Si conta molto sulla pressione e il potere di Pechino su Teheran. Intanto molti Paesi, sconsigliano viaggi in Israele, Libano e Palestina anche ai residenti, chiedendo di restare nelle città principali, mentre diversi familiari di diplomatici stranieri sono stati fatti rientrare dall’Iran.