Russia

«La morte di Navalny? È il messaggio elettorale di Putin»

In carcere dal 2021, l'oppositore sapeva perfettamente che probabilmente non sarebbe uscito vivo dalla reclusione – Ma ha sfidato lo zar fino all'ultimo giorno di vita
©ANDREJ CUKIC
Marta Ottaviani
16.02.2024 18:33

Il commento più drammaticamente azzeccato sulla morte di Alexey Navalny è quello di Novaya Gazeta, lo storico giornale russo indipendente e costretto alla chiusura e a trasferirsi armi, bagagli e redazione in Europa: «Il messaggio elettorale di Putin».

Manca meno di un mese ad elezioni presidenziali il cui esito è a dire poco scontato e dove l’unico candidato non appartenente alla cosiddetta «opposizione strumentale», Boris Nadezhdin, non ha potuto candidarsi a causa di presunte irregolarità rilevate dalla commissione elettorale, che ovviamente risponde al Cremlino. Eppure, nonostante questo, in una colonia penale sperduta oltre il Circolo polare artico a 2.000 chilometri da Mosca, Alexey Navalny, il maggior oppositore a Vladimir Putin, ma sostanzialmente conosciuto più all’estero che in Russia, è morto ad appena 47 anni. La madre ha dichiarato che lo aveva visto l’ultima volta lo scorso 12 febbraio e che stava benissimo. In carcere dal 2021, condannato prima per appropriazione indebita e poi per estremismo, per un totale di 19 anni di reclusione, Navalny sapeva perfettamente che probabilmente non sarebbe uscito vivo dalla reclusione. Avevano già provato ad ammazzarlo due volte, nel 2017, quando fu aggredito e perse l’80% della funzionalità dell’occhio sinistro e soprattutto nel 2020, quando un avvelenamento da Novichok lo fece stare in coma per settimane. Si salvò solo perché fu portato d’urgenza in Germania, grazie alle pressioni della comunità internazionale sul presidente Putin.

I perché

Una volta guarito, scelse di tornare in patria, firmando automaticamente la sua condanna a morte. Tuttavia, verrà pianto molto di più all’estero che nel suo Paese, per il quale si è letteralmente sacrificato. Viene dunque da chiedersi il perché di questa morte, da una parte annunciata, dall’altra arrivata in un momento solo sulla carta tanto nevralgico. 

Questione di paranoia

Si potrebbe riassumere tutto in una parola sola: paranoia. Il presidente Putin sa che, con mezzi leciti, ossia la sua popolarità e illeciti, ossia la propaganda e i brogli, vincerà ampiamente le elezioni. Fonti vicine al Cremlino dicono pure che lo farà con un margine storico, superando l’80% dei consensi. La migliore risposta a chi lo dava per morto, politicamente, ma anche fisicamente, visti i suoi problemi di salute, di cui si ignora la natura ma che sarebbero seri, e la alternate sorti della guerra in Ucraina. La Russia è in parte riuscita a neutralizzare una controffensiva che il presidente Volodymyr Zelensky aveva dato come di successo in modo un po’ troppo scontato. Una limitazione dei danni che la macchina della propaganda sta comunicando come l’anticamera della vittoria. Mosca per le feste natalizie è stata letteralmente tirata a lucido. Un’immagine di spensieratezza e insieme di opulenza per fare dimenticare le decine di migliaia di uomini mandati al fronte di cui non si conosce nemmeno la sorte e l’economia, che, con buona pace della propaganda e di sanzioni non sempre applicate con rigore, non è così florida come si vorrebbe fare credere.

Fino alla fine

Ma le parole chiave sono ordine e apparenza. Il presidente Putin, dopo mesi di isolamento, dove riceveva leader e militari seduto a un tavolo chilometrico diventato oggetto di meme di ogni tipo, ha ripreso a farsi vedere e a parlare in pubblico. Nel mirino, non c’è solo quel che resta dell’opposizione interna, ma soprattutto il nemico di sempre, gli Stati Uniti, messi a dura prova con la guerra in Ucraina e un conflitto, quello in Medioriente, dove la Russia sta giocando un ruolo fondamentale per la destabilizzazione della regione.

Ha bisogno di farsi vedere più forte che mai e qualsiasi ostacolo, anche uno reso inoffensivo come Alexey Navalny, doveva essere eliminato. Il messaggio è chiaro per tutti. Quella virata autoritaria iniziata nel 2012, proprio quando il dissidente era sceso apertamente in campo per sfidarlo, si è conclusa. La Russia di Putin, dal punto di vista internazionale ambisce a ricoprire il ruolo di super potenza che aveva l’URSS pur sapendo che non è in grado di farlo. L’unica alternativa è ridursi a vassallo della Cina, con l’illusione di farsi trattare ancora come un grande attore sulla scena mondiale. Dal punto di vista interno, la riabilitazione di Stalin e la politica neo imperiale ha trasformato il Paese in un clone dei due periodi storici, di cui si sono presi gli aspetti più pericolosi e deleteri. La contrapposizione con l’Occidente per quanto riguarda la politica estera e una maggiore propensione verso l’Asia. Dentro i confini nazionali, un regime brutale aiutato da un popolo che per la maggior parte è indifferente a quello che succede e dove non c’è più la componente ideologica del comunismo e il potere è retto da correnti dei servizi segreti, che si spartiscono le istituzioni e le ricchezze provenienti dal commercio del petrolio e delle materie prime.

Ci sono, poi, le vite degli altri, dove quella di Navalny sarà anche finita tragicamente, ma verrà ricordato come colui che ha sfidato Putin fino all’ultimo giorno di vita.

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