«La morte non è la fine, ma l'inizio di tutto»

Esce oggi nelle librerie il libro che l’ex arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha dedicato alla vecchiaia (Nell’attesa di un nuovo inizio. Riflessioni sulla vecchiaia, Libreria Editrice Vaticana). Un testo che assume oggi un valore storico per via della prefazione, scritta il 7 febbraio scorso da papa Francesco a Santa Marta, pochi giorni prima del lungo ricovero al Policlinico Gemelli.
La parola «vecchio»
Scrive Bergoglio: «Angelo Scola ci parla della vecchiaia, della sua vecchiaia, che - scrive con un tocco di confidenza disarmante - “mi è venuta addosso con un’accelerazione improvvisa e per molti aspetti inaspettata”. Già nella scelta della parola con cui si auto-definisce, “vecchio”, trovo una consonanza con l’autore. Sì, non dobbiamo aver paura della vecchiaia, non dobbiamo temere di abbracciare il diventare vecchi, perché la vita è la vita, ed edulcorare la realtà significa tradire la verità delle cose. Restituire fierezza a un termine troppo spesso considerato malsano è un gesto di cui esser grati al cardinale Scola. Perché dire “vecchio” non vuol dire “da buttare”, come talvolta una degradata cultura dello scarto porta a pensare. Dire vecchio, invece, significa dire esperienza, saggezza, sapienza, discernimento, ponderatezza, ascolto, lentezza… Valori di cui abbiamo estremamente bisogno!
Romano Guardini e l’età feconda
Francesco torna a citare il filosofo Romano Guardini, i cui libri lo hanno accompagnato costantemente durante l’esperienza pastorale: «È vero, si diventa vecchi, ma non è questo il problema: il problema è come si diventa vecchi. Se si vive questo tempo della vita come una grazia, e non con risentimento; se si accoglie il tempo (anche lungo) in cui sperimentiamo forze ridotte, la fatica del corpo che aumenta, i riflessi non più uguali a quelli della nostra giovinezza, con un senso di gratitudine e di riconoscenza, ebbene, anche la vecchiaia diventa un’età della vita, come ci ha insegnato Romano Guardini, davvero feconda e che può irradiare del bene».
L’importanza dei nonni
«Angelo Scola evidenzia il valore, umano e sociale, dei nonni. Più volte ho sottolineato come il ruolo dei nonni sia di fondamentale importanza per lo sviluppo equilibrato dei giovani, e in definitiva per una società più pacifica. Perché il loro esempio, la loro parola, la loro saggezza possono instillare nei più giovani uno sguardo lungo, la memoria del passato e l’ancoraggio a valori che perdurano. Dentro la frenesia delle nostre società, spesso votate all’effimero e al gusto malsano dell’apparire, la sapienza dei nonni diventa un faro che brilla, rischiara l’incertezza e dà la direzione ai nipoti che possono trarre dalla loro esperienza un “di più” rispetto al proprio vivere quotidiano».
«Gemme preziose»
Conclude Francesco: «Le parole che Angelo Scola dedica al tema della sofferenza, che spesso si instaura nel diventare vecchi, e di conseguenza alla morte, sono gemme preziose di fede e di speranza». Nel suo «argomentare» riecheggiano «la teologia di Hans Urs von Balthasar e di Joseph Ratzinger, una teologia “fatta in ginocchio”, intrisa di preghiera e di dialogo con il Signore. [...] Proprio la conclusione di queste pagine di Angelo Scola, che sono una confessione a cuore aperto di come egli si stia preparando all’incontro finale con Gesù, ci restituiscono una consolante certezza: la morte non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa. È un nuovo inizio, come evidenzia saggiamente il titolo, perché la vita eterna, che chi ama già sperimenta sulla Terra dentro le occupazioni di ogni giorno, è iniziare qualcosa che non finirà. Ed è proprio per questo motivo che è un inizio “nuovo”, perché vivremo qualcosa che mai abbiamo vissuto pienamente: l’eternità».