Dopo la rivoluzione

«La pace non passa dalla forza, ma dal buon vicinato»

Nelle scorse settimane i carri armati israeliani hanno superato il confine siriano entrando in una zona cuscinetto demilitarizzata – Mentre l'IDF chiede agli abitanti dei villaggi siriani di abbandonare le proprie armi, i residenti si lamentano per la distruzione portata dal passaggio dei mezzi pesanti – Gli esperti: «Nell'interesse di Tel Aviv dialogare»
©Omar Albam
Red. Online
29.12.2024 06:00

Alture del Golan. Area al confine fra Israele e la Siria, due terzi di esse sono stati occupati nel 1967 e poi annessi nel 1981 da Tel Aviv, in una mossa riconosciuta, nel 2019, solo dagli Stati Uniti. Ma nelle ultime settimane nella zona c'è parecchia attività militare. Subito dopo la caduta di Bashar al-Assad, truppe e mezzi corazzati israeliani sono stati spostati in una zona cuscinetto sin lì demilitarizzata, spinti insomma al di là del territorio già occupato, in Siria. È solo una delle operazioni condotte nelle ultime settimane dall'IDF nei territori siriani, che dal crollo del regime di Assad ha effettuato centinaia di raid aerei sul Paese. Una mossa, si è giustificato il governo Netanyahu, intrapresa per «sventare le potenziali minacce provenienti dalla Siria e prevenire l'insediamento di elementi terroristici vicino al nostro confine».

Dall'altra parte, del resto, c'è HTS. Il gruppo salito al potere è stato fondato nel 2011 sotto il nome di Fronte al-Nusra, un’organizzazione affiliata ad al-Qaeda e solo recentemente si sarebbe distanziato dalle posizioni più estremiste. Leader dell'HTS, Ahmad al-Shara, fino al mese scorso noto con il nome di battaglia Abu Muhammad al-Jolani, ha ripetuto più volte nelle ultime settimane, l'ultima qualche ora fa, che la Siria «non ha problemi con Israele. Vogliamo la pace, non vogliamo immischiarci in nulla che possa minacciare la sicurezza di Israele o di qualsiasi altro Paese». 

Ma la situazione, nel Paese, è ancora estremamente instabile. E mentre ancora il mondo cerca di capire quale governo nascerà dalle ceneri del regime, l'IDF ha rapidamente preso il controllo della zona di confine con la Siria, disarmando i villaggi vicini per creare un vasto cuscinetto di sicurezza. Ora, tuttavia, alcuni di questi villaggi si stanno opponendo a quella che temono possa diventare una prolungata occupazione israeliana. Negli ultimi giorni, riporta il Wall Street Journal sono scoppiate proteste in alcuni villaggi della Siria meridionale contro la presenza militare di Tel Aviv.

Filmati online mostrano folle che, portando bandiere dell'esercito siriano libero (dalla caduta di Assad la nuova bandiera ufficiale della Siria), lanciano pietre in direzione di veicoli militari israeliani nel villaggio di confine di Ma'ariya. Nell'area, riporta il giornale americano, un giovane siriano è stato colpito e ferito dal fuoco dell'IDF durante le proteste, dopo che l'esercito israeliano aveva avvertito, attraverso gli altoparlanti, di allontanarsi. La situazione è simile in molti altri villaggi di confine. In un'altra protesta nel villaggio di Sweisa, mercoledì, diverse persone sono rimaste ferite dal fuoco di avvertimento.

Ma quali sono, esattamente, gli obiettivi dei manifestanti? Da una parte, molti resistono alla confisca delle proprie armi dalle forze israeliane, diritto che – affermano – spetta solo alle forze governative siriane. Ma molti siriani, negli scorsi giorni, hanno denunciato anche che la loro mobilità e l'accesso a beni essenziali come cibo, acqua ed elettricità sono stati interrotti dalla presenza di Israele nell'area, spiega il WSJ. «Sta generando paura, turbamento, rabbia», ha dichiarato Aymenn Jawad Al-Tamimi, esperto di Siria e collaboratore del Middle East Forum, un think tank con sede a Philadelphia, riferendosi alla presenza militare israeliana in territorio siriano. «Più si va avanti e più si teme che la situazione si trasformi in uno scontro armato».

Netanyahu, lo ricordiamo, ha dichiarato che la presenza dell'esercito israeliano in Siria è temporanea e ha lo scopo di assicurare il confine fino a quando non si troverà un altro accordo. Ma tra i siriani vige un sentimento di sfiducia. Firmatario di una dichiarazione congiunta di 8 villaggi siriani che chiede il ritiro delle truppe israeliane, Dirar al-Bashir, ex governatore di Quneitra (regione situata nella zona cuscinetto), ha raccontato al quotidiano statunitense di essere stato convocato a un incontro con l'esercito israeliano nelle Alture del Golan: «Un ufficiale israeliano mi ha detto che Israele vuole la pace con la Siria. Gli abbiamo detto che la pace non passa attraverso la forza o l'invasione, ma attraverso il ripristino dei diritti, del buon vicinato e degli interessi reciproci». Bashir ha affermato che i soldati israeliani si sono impadroniti delle alture intorno alle città e che barriere ora isolano i villaggi, rendendo gli spostamenti difficili, a volte impossibili. Veicoli militari pesanti, intanto, hanno danneggiato strade e infrastrutture, interrompendo le linee elettriche e telefoniche: «Alcuni villaggi sono rimasti 10 giorni senza acqua, perché Israele ha tagliato i rifornimenti», ha detto Bashir. «Ci sono scontri continui tra loro e la popolazione locale».

L'analisi

Gli analisti, intanto, non sembrano convinti che l'iniziativa al confine senza un accordo con il nuovo governo siriano sia la mossa migliore per gli interessi di Israele. Carmit Valensi, ricercatrice dell'Institute for National Security Studies di Tel Aviv, ha affermato in un'analisi pubblicata poco dopo la caduta del regime di Assad: «Nonostante le preoccupazioni per l'ascesa di elementi estremisti vicino al confine e la mancanza di una chiara autorità al comando, le capacità militari dei ribelli, nelle loro varie forme, non sono paragonabili a quelle dell'Iran e dei suoi proxy. Oltre a rafforzare la preparazione di Israele a contrastare le minacce lungo il confine settentrionale, è consigliabile approfondire il dialogo con gli attori rilevanti dell'arena siriana, statali e non statali, per comprendere meglio la traiettoria della Siria e potenzialmente influenzare il suo futuro in modo da allinearsi agli interessi di Israele». Simile la posizione di Aaron Zelin, senior fellow presso il Washington Institute for Near East Policy e autore di un recente libro su HTS: «Se da un lato Israele è preoccupato per la possibilità che al confine si sviluppi l'anarchia, dall'altro potrebbe creare una profezia che si autoavvera se non si ritira e non raggiunge un accordo con il nuovo governo.

Eyal Zisser, titolare della cattedra di storia contemporanea del Medio Oriente presso l'Università di Tel Aviv, citato dal WSJ, ha avvertito che le tensioni potrebbero divampare se i civili dovessero essere feriti in qualsiasi incidente che coinvolga le forze israeliane. «A un certo punto un nostro carro armato investirà accidentalmente delle persone. La gente si arrabbierà».

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