La prima mossa di François Bayrou è un appello alla riconciliazione
Le indiscrezioni parlano di un colloquio lungo, molto teso, difficile soprattutto per Emmanuel Macron. Un faccia a faccia dopo il quale, a un certo punto, fonti dell’Eliseo davano per certa l’ennesima fumata nera. E invece, spiazzando ancora una volta molti osservatori della politica nazionale, il presidente francese ha scelto questa mattina di nominare primo ministro François Bayrou, 73 anni, presidente del Mouvement Démocrate (MoDem), partito centrista rappresentato in Parlamento da 34 deputati e 4 senatori.
Bayrou è stato, fin dalla prima campagna elettorale del 2017, un sostenitore di Macron, con il quale ha tuttavia avuto non pochi disaccordi. Succede a Michel Barnier, suo coetaneo, travolto il 4 dicembre scorso da una mozione di censura che ha unito sinistra e destra contro una manovra economica lacrime e sangue.
L’anno politico peggiore
Il 2024 sarà sicuramente ricordato come l’anno peggiore della politica francese. Un anno in cui a Matignon, sede del Governo, si sono addirittura alternati quattro primi ministri. La prima, Elisabeth Borne, nominata il 16 maggio 2022, si era dimessa l’8 gennaio, travolta dagli scontri di piazza legati alla riforma delle pensioni. Il secondo, Gabriel Attal, 35 anni, insediato il 9 gennaio, era stato «costretto» a lasciare in seguito allo scioglimento dell’Assemblea nazionale nel mese di giugno, restando comunque in carica per gli affari correnti fino all’arrivo del successore, Michel Barnier, già ministro di Jacques Chirac e Nicolas Sarkozy, nominato il 5 settembre con il compito, impossibile, di trovare una maggioranza in un’Assemblea divisa in tre blocchi dopo le elezioni anticipate. Adesso tocca a Bayrou. Con quali chance di successo, nessuno è in grado di dirlo.
Il passaggio dei poteri
Nel pomeriggio, davanti ai giornalisti schierati nel cortile d’onore di Matignon, il premier uscente e quello entrante hanno entrambi insistito sulla gravità della situazione economico-sociale del Paese. Ma anche rivendicato - è stato il caso di Barnier - il lavoro fatto. «Sapevo fin dal primo giorno, il 5 settembre, che il tempo del mio Governo stava per scadere sotto la minaccia di un’improbabile alleanza tra forze politiche completamente opposte ma unite nelle circostanze, nel desiderio di bloccare e di confondere - ha detto Barnier -. Ciononostante, abbiamo rimesso lo Stato in carreggiata. Abbiamo avviato progetti e iniziato a mettere in pratica gli impegni presi per gli agricoltori, per la sicurezza, per gli ospedali e per la salute mentale. Abbiamo anche proposto un bilancio, in cui tutto era difficile, per ridurre il deficit. E con una maggioranza di parlamentari, soprattutto al Senato, eravamo vicini a un accordo equilibrato» ha aggiunto il premier uscente, sottolineando che «questo stesso deficit non è certo scomparso come per magia con una mozione di censura».
Una sorta di avvertimento. Al successore e a tutto il quadro politico transalpino. Di cui Bayrou ha mostrato di avere piena consapevolezza. Dopo aver espresso la sua «gratitudine» a Barnier e al Governo dimissionario «per il rischio corso nell’essersi impegnati in questa funzione, per aver affrontato le difficoltà dei tempi e per l’altruismo dimostrato», il primo ministro ha spiegato come si muoverà. «La mia linea di condotta sarà di nascondere nulla, di trascurare nulla e di nulla lasciare da parte. Di fronte a una situazione così grave, potrebbe esserci la tentazione di concentrarsi su uno o due argomenti e lasciare che il resto sia fatto nella mediocrità. Non sarà questa la mia linea. Penso che abbiamo invece il dovere, in un momento così pesante per il Paese e per l’Europa, e di fronte a tutti i rischi del pianeta, di affrontare con gli occhi aperti, senza timidezza, la situazione ereditata da interi decenni segnati dalla mancata ricerca degli equilibri senza i quali è difficile vivere. Non ignoro alcunché dell’Himalaya che si erge davanti a noi. Nessuno più di me conosce la difficoltà della situazione politica e di bilancio del Paese. Il deficit della seconda economia della zona euro è una questione che pone un problema morale, non solo finanziario».
E ricordando Enrico IV, il re Borbone cui ha dedicato, 30 anni fa, una biografia di grande successo, Bayrou ha lanciato un appello alla riconciliazione del Paese. Una mossa probabilmente necessaria per proporre una legge di bilancio in grado di trovare una maggioranza in Parlamento. «Enrico IV basò il suo incontro con la Francia in tempi altrettanto difficili, più difficili di quelli che stiamo vivendo oggi, proprio sulla riconciliazione. Se posso, a mia volta, cercherò di fare altrettanto. Penso che questa sia l’unica strada possibile per il successo», ha detto il premier chiudendo il suo intervento.
Le prime reazioni
La nomina di François Bayrou a Matignon, ha scritto Le Figaro, «ha il sapore di una piccola vittoria» per Marine Le Pen, leader del Rassemblement National (RN), convinta di essere tornata al centro del gioco e che al quotidiano parigino ha dichiarato: «Tutti coloro i quali dicevano che la scelta sarebbe stata fatta senza di noi si sbagliavano. Macron non ha dimenticato che la prima condizione è che il futuro primo ministro possa parlare con noi».
«Non ci sarà la censura a priori che avremmo invece presentato una personalità di sinistra o di estrema sinistra - ha poi confermato Jordan Bardella, presidente dell’RN -. Non lo faremo, quindi, contro una personalità o un profilo che arriva dal centro».
Se la destra apre al nuovo premier, la sinistra sembra invece annunciare battaglia. Mathilde Panot, leader dei deputati della France Insoumise, ha annunciato l’intenzione del suo partito di «censurare il governo di François Bayrou prima possibile». Anche il Partito Socialista ha annunciato di non voler partecipare al Governo e di voler rimanere all’opposizione in Parlamento. Ma, con il segretario Olivier Faure, ha pure chiesto al nuovo premier di rinunciare all’articolo 49.3 della Costituzione, la via veloce all’approvazione dei decreti costata la poltrona a Barnier.
Molto critici pure gli ecologisti. La segretaria nazionale dei Verdi, Marine Tondelier, ha spiegato: «Più Emmanuel Macron perde terreno elettoralmente, più si aggrappa ai suoi amici più stretti, gli stessi che incarnano il macronismo in modo fedele».