L'intervista

«La "Veritatis gaudium" del Papa aveva confermato la nostra linea»

René Roux, rettore della Facoltà di Teologia di Lugano, affiliata all'USI: «Il mondo accademico si evolve e dialoga con la realtà, e anche la teologia ha bisogno di libertà per vivere»
© CdT/Gabriele Putzu
Dario Campione
26.04.2025 06:00

Entrare «nel cuore del kerygma», del messaggio cristiano; dialogare «a tutto campo» con le altre religioni; rafforzare la «inter- e trans-disciplinarità» della proposta accademica; «fare rete» con le altre strutture accademiche religiose. Erano questi i quattro criteri della riforma voluta e firmata da papa Francesco con la «Veritatis gaudium». Ben più di un’eredità per le università e le facoltà ecclesiastiche.

Professor Roux, in che modo la Facoltà di Teologia di Lugano ha applicato i quattro criteri della riforma voluta da papa Francesco con la «Veritatis gaudium»?
«Da un certo punto di vista, tenuto conto dell’ispirazione di base della Facoltà e dei suoi sviluppi nei vari ambiti filosofici e religiosi, come pure dei numerosi accordi e contatti con altri centri cattolici e non, mi verrebbe da dire che la “Veritatis gaudium” ha confermato ufficialmente la linea che la Facoltà ha adottato da tempo. La Facoltà di Teologia, essendo di recente fondazione e per sua natura inserita in un contesto multiculturale, ha vissuto molti di questi processi già dai primi anni della fondazione».

La Facoltà di Teologia di Lugano conta oggi oltre 450 studenti ed è una delle più grandi della Svizzera. Oltre a formare insegnanti e sacerdoti del cantone, accoglie allievi e docenti che provengono dall’Africa, dalle Americhe, dall’Est Europa. Una dimensione internazionale voluta, cercata, o nata da circostanze casuali?
«L’internazionalità della Facoltà di Teologia di Lugano può sorprendere, tanto più che essa utilizza la lingua nazionale, l’italiano, per i suoi percorsi teologici. Essa rispecchia in ogni caso la larghezza di orizzonti del suo fondatore, mons. Eugenio Corecco, che ha sempre considerato il canton Ticino non un luogo chiuso in cui rifugiarsi, ma una base operativa per costruire un mondo più coeso e umano. La dimensione internazionale è stata voluta sin dall’inizio. Le modalità concrete con cui si è realizzata sono dovute primariamente a circostanze storiche, come ad esempio la situazione delle Chiese dell’Est, o l’emergere di fenomeni inediti, come le nuove comunità e i nuovi movimenti diffusi in vari Paesi. Questi conferiscono un clima particolare al cantone e quindi anche a Lugano, che pur essendo piccola e radicata nel suo territorio è allo stesso tempo una finestra sul mondo».

Lei stesso, in passato, ha detto che in 30 anni il profilo della Facoltà è cambiato. Da una vocazione originaria più legata alla formazione dei presbiteri, all’apertura del ventaglio di studi in direzione della filosofia, del diritto canonico e della storia delle religioni. Non c’è mai stato il timore che tutto questo mutasse lo spirito con cui la Facoltà venne istituita?
«La Facoltà è iniziata con una quarantina di studenti: già trent’anni fa, nel curricolo degli studi, discipline come Filosofia, Diritto canonico e Scienze religiose erano presenti. La loro espansione non ha mutato lo spirito della Facoltà, ma ha arricchito l’istituzione con ulteriori programmi. Il mondo accademico per sua natura si evolve e dialoga con la realtà: anche la teologia ha bisogno di libertà per vivere e svolgere la sua missione».

Quanto questo allargamento di prospettiva è stato indotto dalla crisi delle vocazioni? Si può affermare che l’apertura all’esterno sia stata una necessità invece che una scelta?
«Non direi: la necessità è comune a tutte le facoltà dell’Europa occidentale, sia cattoliche che protestanti: poiché molti governi finanziano le facoltà in base al numero di studenti, si comprende la preoccupazione di alcune di esse. Neuchâtel, per fare un esempio svizzero, è stata chiusa. D’altra parte, l’interesse per la teologia, le religioni e le discipline connesse è in costante aumento nella nostra società. La scelta di Lugano di aprirsi per rispondere a questo interesse si sta rivelando vincente».

E sempre a proposito della crisi delle vocazioni, in che modo - se lo fa - una Facoltà di teologia si pone il problema e tenta di affrontarlo?
«La carenza di vocazioni è un problema che riguarda in primo luogo le parrocchie, le diocesi e le Chiese in generale: solo in un secondo momento essa si riflette nelle facoltà, ove per altro cresce il numero di studenti laici e di ricercatori, anche presbiteri, che vengono per acquisire formazioni specialistiche. La Facoltà di Lugano è in stretto contatto con i seminari e le case di formazione dei candidati al presbiterato al fine di fornire una preparazione accademica sempre più rispondente alle nuove sfide cui i futuri presbiteri saranno confrontati. Il percorso accademico presso la Facoltà di teologia è aperto a tutti e a tutte. Questa apertura garantisce una pluralità molto positiva».

Il mondo accademico si evolve e dialoga con la realtà, e anche la teologia ha bisogno di libertà per vivere

Che rapporto c’è tra la Chiesa di Lugano e la Facoltà di Teologia?
«Il rapporto è molto stretto, per natura delle cose: la Facoltà è stata fondata dal vescovo di Lugano, che ne è il gran cancelliere; la Chiesa di Lugano è fra i principali sostenitori della Facoltà; essa prepara sacerdoti, insegnanti di religione e operatori pastorali che presteranno servizio presso la Chiesa di Lugano; organizza inoltre numerosi eventi e iniziative di alta divulgazione destinati a tutta la popolazione, cattolica e non; la Facoltà contribuisce indirettamente anche alla copertura dei bisogni pastorali della Diocesi. Molti sacerdoti studenti prestano aiuto part-time nelle comunità parrocchiali ticinesi. C’è da dire che alcuni nostri docenti sono anche coinvolti come consulenti presso gli organi della Conferenza dei vescovi svizzeri e quelli centrali della Santa Sede».

Quanto incide - se incide - sulla Facoltà di Teologia di Lugano questa lunga fase di sede vacante e di amministrazione apostolica della diocesi?
«L’amministratore apostolico in quanto tale è anche automaticamente gran cancelliere della Facoltà di Teologia. La collaborazione è eccellente, esattamente come lo era prima. Da questo punto di vista, non è cambiato nulla».

Che rapporto c’è tra la Facoltà di Teologia di Lugano e l’Università della Svizzera italiana?
«Tra le due istituzioni universitarie vi sono state per anni relazioni di vario genere, sfociate nel 2021 in un accordo di affiliazione, frutto di un lungo processo di studio che ha consentito una formula di collaborazione tenente conto delle varie esigenze e sensibilità in gioco sul territorio, con il fine di potenziare il polo universitario luganese. In base a esso, ad esempio, il piano strategico della Facoltà è inserito in quello dell’USI: percorsi di studio e nomine professorali sono validate dai compenti organi USI, nei quali la Facoltà di teologia è rappresentata come le altre facoltà. I diplomi erogati sono diplomi congiunti. La collaborazione tra realtà universitarie e formative è sicuramente una delle nostre priorità».

Pensa che anche la sua Facoltà, affiliata all’Università della Svizzera italiana, abbia un ruolo nelle attività del cosiddetto «terzo mandato» dell’Università? E in che modo? Come può, cioè, la Facoltà di Teologia aprirsi ancora di più alla società ticinese nel suo complesso?
«Il tema religioso è di interesse generale e crescente, indipendentemente dalle convinzioni private del singolo. Oltre ai numerosi eventi pubblici che la facoltà organizza regolarmente, mi piace qui ricordare i programmi di formazione ERES, sulla pedagogia religiosa in età evolutiva, destinati ai docenti di religione e ai catechisti del cantone, come pure il nuovo programma di pastorale sanitaria, destinato a coloro che prestano servizio negli ospedali e nelle case per anziani. Sono in preparazione programmi nel settore dell’etica applicata. Il territorio ticinese è intriso, per sua storia, di molti elementi e tradizioni religiose cristiane: darne dei caratteri interpretativi penso sia un servizio culturale molto prezioso. È un settore in pieno sviluppo, trovo che la cura del “terzo mandato” sia un arricchimento per tutta la comunità accademica».

Qual è, in concreto, il ruolo svolto oggi dalla Facoltà di Teologia di Lugano nell’ambito del dialogo ecumenico e del dialogo interreligioso?
«La Facoltà ha l’istituto Religioni e Teologia (ReTe) che offre un Master specifico in lingua inglese sul dialogo interreligioso e svolge ricerche in questo senso. Ciò però che mi ha maggiormente colpito quando mi sono trasferito in Ticino, è stato vedere come questa Facoltà, che si caratterizza per una chiara e decisa identità cattolica, sia frequentata con piacere anche da studenti protestanti, ortodossi e anche appartententi ad altre religioni o senza religione. Il dialogo, ecumenico e interreligioso, non è frutto di relativismo, ma di conoscenza e rispetto reciproci».

Come rettore, che cosa avrebbe voluto cambiare e non ha ancora cambiato? E che cosa vorrebbe sicuramente fare prima della fine del suo mandato?
«Con un po’ di ironia, posso dire che avrei voluto cambiare le tapparelle esterne della Facoltà che dovrebbero riparare dal sole, ma basta un soffio di vento per farle ritirare, e quindi è come se non ci fossero. Scherzi a parte, penso sia importante curare e implementare quanto riportato sopra. Sono molti i cantieri aperti, su tanti fronti. Dopo tre mandati rettorali a Lugano e uno precedente decanale all’Università di Erfurt, ove ero prima di trasferirmi a Lugano (per un totale di quasi quindici anni in funzioni direzionali), mio desiderio è tornare a tempo pieno agli studi e all’insegnamento».