Il caso

L'Artico e quelle tensioni tra l'Occidente e il fronte russo-cinese

Stati Uniti, Canada e Finlandia danno il via a una partnership per costruire rompighiaccio nel Grande Nord, con l'obiettivo di contrastare Mosca e Pechino che, ormai da tempo, hanno messo gli occhi sul territorio
© AP Photo/Alexander Zemlianichenko
Federica Serrao
16.07.2024 09:30

L'artico. Terra sconfinata, di ghiaccio. Vittima dei cambiamenti climatici. E, ormai, anche delle tensioni. Il Grande Nord, a lungo considerato un posto «di tutti e di nessuno», sta perdendo il suo equilibrio. Complice la guerra in Ucraina, soprattutto, e la sospensione del Consiglio artico, di cui era membro anche la Russia, dal momento che il suo territorio si affaccia sull'Artide. 

Questo luogo così remoto e così fragile sta cambiando volto. Diventando, per citare le parole del giornalista Marzio Mian, una cortina di ghiaccio che separa due blocchi. Ossia, l'Occidente dal fronte formato dalla Russia e dalla Cina. Ed è proprio qui che nascono i problemi. 

La situazione, con il passare del tempo e con il protrarsi della guerra in Ucraina, non fa che peggiorare. Non solo. L'aumento delle temperature sta aprendo nuove rotte e nuove possibilità di trasporto. Ragione per cui anche la Cina ha messo gli occhi sull'Artico (oltre che sull'Antartide). E, visti i legami sempre più stretti tra Mosca e Pechino, le tensioni potrebbero aumentare, di riflesso, anche in mezzo al ghiaccio del nord. Per questo motivo, Stati Uniti, Finlandia e Canada hanno dichiarato di voler unire le forze e contrastare la minaccia. Come? Condividendo competenze sulla costruzione navale di rompighiaccio. Le circostanze, infatti, suggeriscono che la domanda globale di queste imbarcazioni crescerà, a causa delle mosse sempre più aggressive di Russia e Cina nell'Artico. Con l'obiettivo di creare una sorta di «via della seta polare». 

Nello specifico, venerdì, i tre Paesi occidentali hanno annunciato, nel corso del vertice della NATO, di aver istituito una partnership per rafforzare le loro conoscenze e renderle disponibili a un gruppo più ampio di alleati. Tutto con lo scopo di contrastare Mosca e Pechino. «Questa cooperazione porterà ai nostri cantieri navali competenze ed esperienze di livello mondiale che li aiuteranno ad attrarre la domanda, ad aumentare la loro capacità e a competere sulla scena mondiale», ha dichiarato di fronte ai giornalisti il vice-consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Daleep Singh. «Senza questo accordo rischieremmo che i nostri avversari sviluppino un vantaggio in una tecnologia specializzata di grande importanza geostrategica». L'obiettivo, dunque, è quello di giocare d'anticipo. Così da non farsi cogliere impreparati dalla duplice minaccia che potrebbe puntare gli occhi sull'Artico. 

L'accordo, che viene ufficialmente chiamato «Icebreaker Collaboration Effort» o «ICE Pact», viene visto come una risposta alle tensioni che si stanno sviluppando nell'Artico in un momento già delicato. Momento in cui, sottolinea un funzionario del governo canadese, il cambiamento climatico sta «radicalmente ridisegnando l'ambiente della sicurezza». 

Ma facciamo un passo indietro. Il problema da risolvere, come detto, è quello delle navi rompighiaccio. Secondo un funzionario statunitense, la Russia dispone di una flotta di oltre 40 imbarcazioni di questo tipo. Altre ancora sarebbero in produzione. E, di più, avrebbe stipulato un protocollo d'intesa con la Cina per rafforzare la cooperazione nell'Artico. Gli elementi per alzare la guardia, insomma, ci sono. Soprattutto perché, allo stato attuale, gli Stati Uniti possiedono solo due rompighiaccio, che presto dovranno essere sostituite. E non a poco prezzo. Secondo un funzionario americano, lo spiegamento della flotta prevista dagli Stati Uniti potrebbe costare fino a 10 miliardi di dollari. Un motivo in più per sviluppare un piano congiunto e fermare i progetti russo-cinesi.  

© AP Photo/David Goldman
© AP Photo/David Goldman

Il caso delle Svalbard

L'Artico, però, non è solo ghiaccio e nuove rotte. A tal proposito, anche la Norvegia, recentemente, si è vista costretta ad annullare il progetto di vendere l'ultimo pezzo di terreno privato delle Svalbard. Una mossa pianificata con il solo obiettivo di contrastarne l'acquisizione da parte di Pechino. 

Anche l'arcipelago in questione, che si trova a metà strada tra la Norvegia continentale e il Polo Nord, è diventato un punto caldo geopolitico ed economico, a causa dello scioglimento dei ghiacci e delle relazioni, neanche a dirlo, sempre più gelide tra Russia e Occidente. Tuttavia, come sottolinea il Guardian, le Svalbard sono governate da un quadro giuridico insolito che consente alle entità straniere di prendere piede nella regione. Ed è proprio qui, insomma, che nascono i guai. 

In un trattato firmato nel 1920, infatti, si riconosce la sovranità norvegese sul territorio, pur conferendo anche ai cittadini delle potenze firmatarie – tra cui ci sono proprio Russia e Cina – gli stessi diritti di sfruttamento delle risorse minerarie, di cui sono ricche le Svalbard. Non a caso, Mosca ha mantenuto per decenni una comunità mineraria sull'arcipelago, grazie alla società statale Trust Arktikugol. 

Ora, ad essere finita sotto i riflettori, sarebbe la remota proprietà di Søre Fagerfjord, nel sud-ovest dell'arcipelago. Una distesa di 60 chilometri quadrati composta da montagne, pianure e un ghiacciaio, in vendita per 300 milioni di euro. Eppure, nonostante la legge, la Norvegia, desiderosa di proteggere la propria sovranità, non vedrebbe di buon occhio la caduta del terreno in mani straniere. Soprattutto perché, secondo l'avvocato Per Kyllingstad che rappresenta i venditori di Søre Fagerfjord, alcuni potenziali acquirenti cinesi, che «da tempo mostrano un interesse reale per l'Artico e le Svalbard» avrebbero inviato «segnali concreti di interesse». 

Tuttavia, quella di Søre Fagerfjord è un'occasione unica per accaparrarsi «l'ultimo terreno privato alle Svalbard». E, probabilmente, anche l'ultimo terreno privato nell'Artico. Che la Norvegia, ora, vuole difendere. 

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