L'anniversario

L'attentato alla sinagoga di Roma del 9 ottobre 1982

Oggi, quarantadue anni fa, un commando di cinque terroristi di origine palestinese assaltò il Tempio Maggiore provocando una vittima, di soli 2 anni, e 37 feriti
© Livioandronico2013
Matteo Generali
09.10.2024 09:15

Il 9 ottobre del 1982, quarantadue anni fa, un commando di cinque terroristi di origine palestinese – appartenenti al Consiglio Rivoluzionario di al-Fatah guidato da Abu Nidal – attaccò la sinagoga di Roma. L'attentato, definito il più grave episodio di antisemitismo in Italia a partire dal Dopoguerra, provocò la morte di un bambino di appena due anni, Stefano Gaj Taché, e il ferimento di altre 37 persone. I fedeli, all'uscita del tempio, vennero investiti da bombe a mano e raffiche di mitra.

Un giorno speciale

Il 9 ottobre del 1982 non era un giorno qualunque per la comunità ebraica romana. L'attentato avvenne di sabato, giorno in cui viene celebrato lo Shabbat. Non solo, contemporaneamente si celebravano il Bar Mitzvah di alcune decine di adolescenti e lo Shemini Atzeret, a chiusura della festa di Sukkot.

I terroristi indossavano abiti eleganti e si mossero con tranquillità verso l'obiettivo. Tre di loro bloccarono le possibili vie di fuga su via Catalana, gli altri due si posizionarono di fronte all'ingresso principale dell'edificio, su via del Tempio.  Un agente di sicurezza, impiegato dalla comunità ebraica romana, chiese a due componenti del commando di identificarsi. Ma questi risposero lanciando almeno tre bombe a mano e, successivamente, aprendo il fuoco con i mitra sulla folla. L'aggressione durò cinque minuti, circa, quindi i terroristi fuggirono a bordo di una Volkswagen rossa e una Austin bianca. 

A morire, come detto, fu un bimbo di due anni, Stefano Gaj Taché, vittima di una scheggia di una bomba a mano. I genitori e il fratello della vittima, Gadiel Gaj Taché, colpito alla testa e all'addome, rimasero feriti. 

Il contesto e le reazioni

L'attentato avvenne cinque mesi dopo l'invasione del Libano meridionale da parte dell'esercito meridionale, nota altresì come operazione Pace in Galilea, in un clima di ostilità verso la comunità ebraica per quanto avvenne a Sabra e Shatila. A Roma, in particolare, venne affisso uno striscione con la scritta «bruceremo i covi sionisti». Una bara era invece stata deposta davanti alla sinagoga durante un corteo della CGIL.

La condanna, evidentemente, fu unanime. Subito dopo l'attentato, l'allora presidente del Consiglio Giovanni Spadolini offrì la propria vicinanza al rabbino capo della comunità ebraica romana Elio Toaff. Due giorni dopo l'attacco alla sinagoga, l'architetto e politico romano Bruno Zevi pronunciò un discorso in Campidoglio, pubblicato integralmente sulle pagine del Tempo, a nome della comunità ebraica. Zevi, riferendosi all'antisemitismo diffuso, accusò il Ministero dell'Interno italiano di «non aver apprestato dispositivi difensivi nel Ghetto e intorno alla sinagoga, malgrado fossero stati insistentemente richiesti», e non risparmiò neppure critiche al mondo ecclesiastico, politico e dei media, colpevoli di aver partecipato all’incontro con il leader palestinese Yasser Arafat consumatosi poche settimane prima.  

Le indagini

L'attentato, come detto, fu perpetrato da un commando di terroristi appartenenti al Consiglio Rivoluzionario di al-Fatah, un gruppo paramilitare palestinese il cui leader, Abu Nidal, si è macchiato di un'incessante attività terroristica contro obiettivi israeliani e occidentali a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta. Una rivendicazione da parte delle sedicenti Brigate Rosse OLP non venne invece ritenuta attendibile dagli inquirenti.

A oggi, conosciamo soltanto l'identità di uno degli attentatori, Osama Abdel Al Zomar, arrestato il 20 novembre del 1982 mentre cercava di passare il confine fra la Grecia e la Turchia con un carico di esplosivo. A confermare la sua presenza nel commando furono, da un lato, i riscontri della polizia italiana e, dall'altro, la testimonianza della sua fidanzata. Al Zomar scontò una condanna per traffico di armi in Grecia, al termine della quale, nonostante le richieste di estradizione avanzate dal governo italiano, venne rilasciato. Al Zomar riparò quindi in Libia, dove sarebbe rimasto fino alla caduta del regime di Gheddafi. Nel 1991, leggiamo, fu condannato in contumacia per strage dalla Corte d'appello di Roma.

Quanto ad Abu Nidal, uno dei suoi principali collaboratori venne arrestato in Svizzera a settembre, un mese prima dell'attentato. La notizia dell'arresto, tuttavia, venne resa nota soltanto a metà ottobre. E questo perché si sospettava che l'arrestato fosse fra le menti di molti attacchi contro luoghi e istituzioni ebraiche. Fra cui quello di Roma.

I legami con il 7 ottobre 2023

Durante le commemorazioni dell'attentato, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, lo scorso anno, tracciò un parallelismo fra i fatti del 1982 e i terribili attacchi terroristici di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre 2023. Queste le sue parole: «Oggi abbiamo ricordato il piccolo Stefano Gaj e tutti i feriti di quell'attentato che colpì tantissimo la città, perché fu particolarmente efferato. Un episodio terribile che abbiamo il dovere di ricordare costantemente, una ricorrenza che oggi cade in un momento particolarmente drammatico e triste con la mente e il cuore che non possono non andare a tutte le vittime del terribile attacco perpetrato da Hamas e ai tanti ostaggi. Oggi voglio pensare a loro e chiedere che siano liberati e restituiti ai loro affetti e famiglie». Una vicinanza al popolo d'Israele, da parte di Roma, che allora si tradusse nel Campidoglio illuminato con i colori della bandiera dello Stato Ebraico.

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