Il caso

L'aviazione russa teme il collasso: «E se ci facessimo aiutare?»

Il ministro dei Trasporti Roman Starovoit ha ammesso che alle compagnie mancano aerei: alcune rotte potrebbero venir gestite da vettori kazaki e di altri Paesi amici
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Marcello Pelizzari
19.10.2024 09:00

«E se ci facessimo aiutare?». Le sanzioni internazionali, alla Russia, fanno male. Molto male. Soprattutto se parliamo di aviazione. Il divieto di importare pezzi di ricambio e aggiornamenti di software per gli aerei di fabbricazione occidentale, al di là dei dribbling di cui abbiamo riferito più volte, sta mettendo in ginocchio la flotta commerciale. Al punto che, nell’attesa (vana?) che i vari attori nazionali producano velivoli al 100% russi, c’è chi ha ripescato aerei dismessi da tempo. D’altro canto, ce n’è bisogno.

Dicevamo degli aiuti, a ogni modo: le autorità russe, secondo il Moscow Times, starebbero valutando la possibilità di affidare a compagnie di Paesi amici l’organizzazione di alcune rotte interne. E questo, banalmente, perché i vettori russi potrebbero presto ritrovarsi a corto di aerei. Il ministro dei Trasporti, in questo senso, sta negoziando con il Kazakistan. Detto in altri termini, Mosca intende aprire ai cosiddetti voli di cabotaggio. Il termine cabotaggio indica il trasporto di merci o passeggeri tra due luoghi all’interno dello stesso Paese da parte di un operatore registrato in un altro Paese. «Stiamo considerando la possibilità di aprire ai voli di cabotaggio vista la scarsità di aerei» ha spiegato Roman Starovoit, il ministro dei Trasporti russo. Un’ammissione di difficoltà in tutto e per tutto. O, se preferite, una richiesta di aiuto.

Il caso Pobeda e il carburante

Secondo le stime, prima che Vladimir Putin ordinasse l’invasione su larga scala dell’Ucraina le compagnie aeree russe, nell’insieme, disponevano di 850 aerei. Non appena erano state pronunciate le sanzioni occidentali, che colpivano evidentemente anche l’aviazione, oltre 400 velivoli erano stati nazionalizzati e ri-registrati in Russia per sfuggire alle società di leasing. Di quegli 850 aerei, sia quel che sia, all’inizio del 2023 ne erano rimasti solo 736. E il perdurare delle sanzioni potrebbe ridurre ulteriormente il numero di macchine a disposizione dei vettori. Addirittura della metà rispetto ai numeri pre-guerra. 

Nel tentativo di allungare il più possibile la vita operativa di questi aerei, sono state aperte fabbriche per copiare i pezzi di ricambio di Airbus e Boeing e, ancora, sono state avviate politiche di risparmio all’interno delle compagnie. Dall’uso, moderato, dei freni all’atterraggio alla cannibalizzazione di interi aeroplani per ricavarne pezzi pregiati da usare altrove. Pobeda, ramo low cost della compagnia di bandiera Aeroflot, sta pericolosamente risparmiando sul carburante. Alcuni piloti si sono lamentati che, spesso, per determinate rotte è stato caricato cherosene al di sotto dei livelli minimi richiesti. Con tutte le conseguenze del caso in termini di sicurezza. A proposito di carburante, molto hanno fatto gli attacchi ucraini ai depositi in territorio russo e, parallelamente, l’aumento dei prezzi. Secondo SPIMEX, la Borsa mercantile di San Pietroburgo, i prezzi per il carburante in Russia sono saliti del 30% dal marzo 2022. In taluni casi, spiega dal canto suo il Kyiv Post, Pobeda per calcolare il carburante necessario non avrebbe tenuto conto di possibili deviazioni dovute al maltempo o al traffico (e quindi ai ritardi) sia in partenza sia all’arrivo. Di nuovo, con tutte le conseguenze in termini di sicurezza, senza contare che le manutenzioni agli aerei da oltre due anni e mezzo a questa parte vengono fatte con meno rigore. Il disastro del Superjet, lo scorso luglio, ha fatto emergere parecchie carenze su questo fronte. 

Qualche dato

A febbraio, il Wall Street Journal – forte dei dati di Jacdec – aveva riferito che le compagnie russe nel 2023 avevano registrato 74 emergenze in volo. Oltre il doppio rispetto alle 36 del 2022. Rosaviatsiya, l’Agenzia federale per l’aviazione, dal canto suo si era chinata su oltre 400 casi di guasti a motori, carrelli d’atterraggio, flaps, software e sistemi idraulici occorsi non in volo.

L’impressione, concludendo, è che il Kazakistan e le sue compagnie difficilmente, da soli, potranno risolvere un problema così grande.