Il caso

L'Azerbaigian non rispetta i diritti umani, ma il suo gas piace all'Europa

Il regime di Baku è oppressivo quanto quello russo di Vladimir Putin, eppure l'Unione Europea ne ha fatto un partner strategico e «affidabile»
Red. Online
08.04.2024 13:30

Il dato, innanzitutto. Come riporta Wired, le importazioni di gas russo in Europa – secondo logica – sono crollate: rappresentavano il 42% del totale nel 2021, due anni dopo sono scese al 14%. Merito, si fa per dire, della guerra in Ucraina e della decisione, comune, di smarcarsi da Mosca in termini energetici. Guai, si era detto, a sostenere lo sforzo bellico di Vladimir Putin arricchendo le casse del Cremlino. L'Italia, spiega Paolo Mossetti, è passata da oltre 30 miliardi di metri cubi di gas naturale russo all'anno a meno di 3 miliardi nel 2023. Si tratta del valore più basso dal 1975 a oggi. Non finisce qui: l'Europa sta per abbracciare la stagione calda con livelli record in termini di gas stoccato. I depositi, leggiamo, sono pieni al 59%. 

Bene, anzi benissimo. Se non fosse che, ora, l'Europa si serve da un altro regime. Quello dell'Azerbaigian. Si spiega anche così, forse, il silenzio (quasi) totale sulle vicende del Nagorno-Karabakh e, nello specifico, sulla soppressione dell'autoproclamata repubblica di Artsakh con l'espulsione di oltre 100 mila armeni. Baku, in fondo, invia armi all'Ucraina e rappresenta una fonte energetica cruciale per Bruxelles. Di qui l'etichetta di partner affidabile. Il problema è che quello azero è un regime altrettanto oppressivo se paragonato a quello russo. 

L'Azerbaigian ha sfruttato il congelamento delle importazioni russe. Intrecciando legami sempre più stretti con l'Europa. Non solo con l'Italia, partner principale di Baku, ma anche con Bulgaria, Romania e Ungheria. Sempre, appunto, nell'ambito della diversificazione degli approvvigionamenti energetici e con la transizione verso un'energia pulita all'orizzonte. Wired, non a caso, scrive che nel Vecchio Continente non sono pochi gli intellettuali e gli editori disposti a elogiare il riformismo di Ilham Aliyev, l'autoritario presidente azero. Il tutto, dicevamo, tralasciando l'aspetto più importante, oseremmo dire centrale: in Azerbaigian i diritti umani sono spesso calpestati. 

L'obiettivo di Baku, entro il 2027, è raddoppiare le forniture all'Europa. A proposito di paradossi, il Paese si è appena aggiudicato la COP29, la conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite. Il fatto che l'Azerbaigian sia un grande esportatore di combustibili fossili, evidentemente, non ha pesato sulla decisione. Né ha pesato, in generale, il fatto che Baku imponga forti, anzi fortissime restrizioni sulla libertà di espressione. Bruxelles, in questo senso, ha ricevuto non poche critiche. Il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, scrive ancora Mossetti, non ha tardato a deridere e bollare come farsa la quinta vittoria di Vladimir Putin alle presidenziali russe. Dopo l'ennesimo successo-farsa di Ilham Aliyev, invece, lo stesso Michel si è intrattenuto telefonicamente con il vincitore. Gli osservatori, in questo senso, hanno più volte messo in guardia l'Occidente dalle reali intenzioni di Baku: la minaccia che il Paese possa invadere l'Armenia e impossessarsi di alcuni territori sarebbe concreta. L'appoggio della Turchia e della Russia, a tal proposito, potrebbero complicare e non poco le cose. 

Detto delle esportazioni dell'Azerbaigian a livello di energie fossili, il 90% rispetto al totale dell'export, Baku si sta vendendo (o spacciando, fate voi) come Paese dalle ambizioni fortemente green. Nel 2016 aveva ratificato l'Accordo di Parigi, impegnandosi a ridurre le proprie emissioni del 30% entro il 2030. Non finisce qui: recentemente, l'Azerbaigian ha investito nelle rinnovabili e in particolare nei parchi eolici del Caspio e nell'idrogeno verde. 

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