Il caso

Le «decisioni dovute» di Apple e Snickers che non piacciono a Taiwan

Entrambi i marchi sono finiti nel mirino delle critiche dopo aver ceduto alle pressioni della Cina, che li ha portati a scusarsi per aver considerato - ognuno a suo modo - Taipei indipendente dal Paese
Federica Serrao
10.08.2022 14:00

Tempi duri per la Cina e Taiwan, ma anche per chi vi ha - più o meno - quotidianamente a che fare, come molte aziende occidentali. È il caso di Apple e Snickers, finite nel mirino delle critiche negli scorsi giorni. Due prodotti diversi, ma una vicenda piuttosto simile, o quantomeno con il medesimo finale. Entrambi i marchi si sono visti costretti a riconoscere la potenza della Cina su Taiwan. Ma cos'è successo? 

Galeotto fu lo Snickers per Taiwan

Le prime polemiche sono partite per colpa di Snickers. Qualche giorno fa, l'azienda statunitense Mars Wrigley, produttrice dell'amatissima barretta di cioccolato, ha presentato una versione di Snickers in edizione limitata. La particolarità del dolciume? Essere disponibile, sottolinea la pubblicità, solo «in tre Paesi asiatici». Corea del Sud. Malesia. E, ovviamente, Taiwan. La barretta speciale di Snickers era stata supportata anche dalla boyband sudcoreana BTS. Ma, chiaramente, a Pechino il fatto che Taiwan fosse definito un «Paese» non è piaciuto nemmeno un po'. Tanto che Snickers è stata ben presto costretta a modificare la definizione fatta di Taipei nel proprio spot. Senza scampare, ovviamente, a nuove critiche: quelle provenienti dall'isola e dai social network. Su Twitter, in particolare, si è sollevato un vero polverone. Colpa, soprattutto, del messaggio lanciato sul social cinese Weibo dal marchio nel fine settimana, in cui dichiarava di essere a conoscenza di quanto scatenato con la barretta limited edition e la definizione fatta di Taiwan. A seguire, delle scuse in cui si legge che «Mars Wrigley rispetta la sovranità nazionale e l'integrità territoriale della Cina e conduce le operazioni commerciali nel rigoroso rispetto delle leggi e dei regolamenti locali cinesi». Messaggio che si conclude con la frase che più di tutte le altre ha fatto infervorare diversi utenti su Twitter: «C'è una sola Cina al mondo e Taiwan è una parte inalienabile del territorio cinese». Da qui, il putiferio. 

«Veramente patetico»

«Snickers, ripeti dopo di me: Taiwan è un Paese, Taiwan è un Paese, Taiwan è un Paese», si legge in un primo tweet. Qualcun altro si rivolge direttamente a Mars, sostenendo che da ora in poi non consumerà più i prodotti dell'azienda. «Cara Mars, grazie per avermi aiutato a smettere di mangiare Snickers». Un fil rouge che sembra accomunare molte persone. Una donna scrive: «Spero che Mars Wrigley venda molte barrette Snickers in Cina da quando ha avuto l'incredibile audacia di scusarsi per aver suggerito che Taiwan fosse un Paese indipendente! Non acquisterò mai e poi mai un altro prodotto Snickers o Mars per il resto della vita». E ancora: «È veramente patetico. Taiwan è al 100% indipendente dalla Cina comunista, e lo è sempre stato. La Cina non ha assolutamente voce in capitolo su tutto ciò che riguarda Taiwan. Sono Paesi separati, la Cina vuole solo invaderci». «Taiwan ha un proprio presidente e parlamento democraticamente eletto, un esercito, una moneta, un passaporto. Se non è un Paese allora non so cosa sia», precisa un altro utente. Ma su Twitter non mancano all'appello nemmeno coloro che supportano il colosso statunitense, o chi addirittura, in un primo momento, non ha perso occasione per "segnalare l'errore" commesso dall'azienda. È il caso di un utente che sopra uno screenshot del lancio della barretta speciale di Snickers commenta taggandone il profilo e sottolineando duramente: «Taiwan è una provincia cinese, non un Paese. C'è solo una CINA in questo mondo». Parole, dicevamo, utilizzate dall'amministratore delegato dell'azienda nel chiedere scusa alla Cina. 

La norma ignorata per troppo tempo

Ma Snickers, come dicevamo, non è l'unica azienda ad essersi mossa in questo modo. Anche Apple è diventata bersaglio di numerose critiche dopo aver chiesto a Taiwan, negli scorsi giorni, di etichettare i suoi prodotti come "Made in China". Alla base della richiesta, due ragioni principali. La prima: evitare ritardi e problemi alle catene di produzione che stanno già affrontando forti pressioni. La seconda, ossia la più importante: non irritare la Cina, uno dei maggiori mercati dell'azienda. Sia Apple che Snickers, dopottutto, sono state vittime della medesima paura, ossia quella di vedere la Cina, uno dei mercati più importanti, allontanarsi. E non solo. Ciò che Apple realmente teme è un inasprimento delle regole da parte delle autorità cinesi durante i controlli alla dogana. Fino a non troppo tempo fa, infatti, la norma che prevede un'etichettatura dei prodotti di Taiwan come se fossero prodotti della Cina è stata bellamente ignorata. Ora la faccenda si è fatta però più seria, e tutti coloro che omettono di inserire la dicitura "Chinese Taipei" o "Taiwan, China", potrebbero imbattersi in ritardi prolungati, multe e addirittura nello stop dell'intero carico di merce. Uno scenario che le aziende e Apple, per prima, cercano chiaramente di evitare. 

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TSMC in pericolo

Ma non è solo questo il problema, parlando di smartphone. Se in futuro la Cina decidesse di invadere Taiwan, la fabbrica di chip più avanzata del pianeta, ossia TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), verrebbe completamente affondata, risultando "non operabile", secondo quanto afferma il presidente Mark Liu. Il motivo è presto spiegato. Questi impianti si basano su catene di approvvigionamento globale. Ciò significa che nessuno può controllare TSMC con la forza, secondo Mark Liu, che aggiunge: «Se si dovesse ricorrere a una forza militare o a un'invasione, la fabbrica di TSMC non sarà in grado di funzionare». La connessione in tempo reale con il mondo esterno e in particolare con Europa, Stati Uniti e Giappone è essenziale per la fabbrica, così come lo sono i materiali, i prodotti chimici, i pezzi di ricambio, i software di progettazione e la diagnosi, tutti elementi che devono combaciare per portare all'effettivo funzionamento di un impianto «così sofisticato». 

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«Una decisione dovuta»

Dopo le critiche, Apple è intervenuta, giustificando la sua scelta e parlando di «decisione dovuta». Manca poco, infatti, alla fine della produzione del nuovo iPhone 14. Smartphone che, come si può ben immaginare, è prodotto quasi interamente nelle fabbriche cinesi. C'è però una novità. L'azienda di Cupertino si è portata avanti, spostando la produzione dei suoi nuovi cellulari anche in India. Il nuovo iPhone 14 arriverà quindi anche dagli impianti indiani, e non solo da quelli cinesi. Un grande passo, soprattutto alla luce delle difficoltà che scaturirebbero con un'eventuale invasione di Taiwan. Ma non abbastanza. Nonostante questo primo tentativo, Apple rimane ancorata quasi totalmente alle fabbriche cinesi, al momento cruciali e insostituibili. Basti pensare che TSMC produce i chip della serie A e della serie M di Apple, oltre a detenere il 50% del mercato mondiale delle fonderie di semiconduttori. 

Anche Marriott e Dior

Polemiche di questo tipo non sono così insolite. Già nel 2018, Marriott aveva fatto da "apripista" suscitando l'ira della Cina dopo aver indicato in un questionario per i clienti dei suoi hotel Taiwan, Tibet e Hong Kong come Paesi separati. La catena alberghiera era stata sospesa e chiusa dalle autorità cinesi per un'intera settimana nel Paese. Conseguenze un po' più leggere invece per Dior, che nel 2019 se l'era cavata semplicemente scusandosi con Pechino per aver utilizzato, nel corso di una presentazione, una mappa della Cina che non includeva Taiwan. Una storia che si ripete già da anni, dunque, e che a quanto pare potrebbe ancora ripetersi. 

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