Lutto

Le parole di Mario Vargas Llosa: «Non una di troppo né una di meno»

Il premio Nobel per la Letteratura (2010) è morto il 13 aprile a Lima – Due anni fa, nel podcast CentoParole, il racconto di «Davanti allo specchio», libro-intervista di Juan Cruz Ruiz
© KEYSTONE (EPA/TERESA SUAREZ)
Red. Online
14.04.2025 14:23

«L'obiettivo di chi scrive è essere al servizio del racconto, non già sottomettere la realtà alla propria retorica», diceva. Mario Vargas Llosa è morto. Il 28 marzo avrebbe compiuto 89 anni. Lo scrittore peruviano, premio Nobel per la letteratura nel 2010, era, per sua stessa definizione, un vecchio maestro, un uomo la cui esperienza, la cui cultura e la cui storia insegnano quasi più dei suoi molti romanzi e dei suoi saggi.

Nel 2017 il giornalista spagnolo Juan Cruz Ruiz aveva raccolto in un libro le interviste fatte a Vargas Llosa nell'arco di tre decenni. Nel 2023 quel libro è stato tradotto in italiano e pubblicato da Mimesis. Dario Campione ha raccontato Davanti allo specchio in una puntata di CentoParole, il podcast letterario del Corriere del Ticino, che oggi vi riproponiamo.

«Dalle ultime conversazioni registrate negli anni Venti del nostro secolo, i 21 dialoghi che compongono questo prezioso volume possono essere letti in molti modi. Sono infatti una biografia narrata dall'autore, un manifesto politico culturale, uno sguardo ravvicinato sulla letteratura latinoamericana. Sono soprattutto, e così li ho interpretati io, da un lato un manuale di stile, un compendio di teoria della scrittura letteraria e giornalistica. Dall'altro lato una riflessione affatto banale sui limiti della società dell'informazione».

Vargas Llosa metteva al centro la parola, la lingua, l'attrezzo di lavoro dello scrittore. Se nella vita si intende comunicare, diceva, bisogna diventare padroni della lingua. E l'unico strumento per padroneggiare la propria lingua è la buona letteratura. «Personalmente non conosco insegnante migliore della buona letteratura per imparare a comunicare, per esprimere quel che si prova e quel che si desidera», insisteva lo scrittore. Una lingua e una letteratura oggi più che mai minacciate dagli schermi grandi e piccoli. La nostra, spiegava il romanziere peruviano, è una cultura che crea spettatori più che lettori. «Non penso che l'immagine e la parola siano la stessa cosa, né che abbiano la stessa funzione».

E poi il giornalismo. Quello di Vargas Llosa va interpretato nell'accezione più ampia di libertà di stampa. Una delle conquiste per le quali vale la pena combattere sempre la tradizione più radicata dell'umanità, spiega lo scrittore peruviano, non è la democrazia. Lo sono invece l'intransigenza, il provincialismo, il dispotismo politico e religioso, la democrazia, la libertà e il pluralismo sono frutti molto tardivi e modesti della civiltà umana. Per questo, aggiunge, mi preoccupa la stupidità che, lasciandosi sfuggire meravigliose opportunità di condurre una battaglia vittoriosa contro la fame, la povertà o la discriminazione in favore della convivenza, della pace, della cultura, continua a praticare il fanatismo, l'intolleranza, il razzismo e tutte le altre fonti di infelicità. Se non c'è tolleranza, se non c'è libertà di espressione, se non c'è libertà di movimento, la vita diventa invivibile per tutti.

Letteratura, giornalismo, scrittura. Le parole, insomma, materia prima e ultima da maneggiare con molta cura. Non una di troppo né una di meno, dice Vargas Llosa. E sempre chiare, precise, limpide.

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