Le richieste di Putin per porre fine alla guerra in Ucraina

La Russia ha finalmente fatto la sua mossa, presentando agli Stati Uniti un elenco di richieste per raggiungere un accordo di pace con l'Ucraina. Mosca, dopo l'apertura ucraina su una tregua di 30 giorni, sta cercando di mostrarsi collaborativa, nel tentativo di ripristinare le relazioni con Washington, pesantemente deterioratesi durante la presidenza di Joe Biden. Funzionari russi e americani nelle scorse tre settimane avrebbero discusso i termini per porre fine al conflitto, durante incontri in videoconferenza e in presenza.
Stando alla Reuters, non è ancora chiaro cosa il Cremlino abbia incluso nella sua lista o se sia disposto a impegnarsi in colloqui di pace prima che le sue richieste vengano accettate da Kiev. Le due fonti citate dall’agenzia di stampa britannica hanno descritto le pretese russe come «ampie» e simili alle condizioni già presentate all'Ucraina, agli Stati Uniti e alla NATO negli scorsi mesi. Si tratterebbe dunque di richieste molto pesanti per il Paese guidato da Volodymyr Zelensky. Verosimilmente, sul tavolo ci sarebbero la mancata adesione di Kiev alla NATO, un accordo per non inviare truppe straniere in Ucraina e il riconoscimento internazionale della Crimea e delle quattro regioni ucraine di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia come appartenenti alla Russia. Quest'oggi la portavoce del Ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, ha ribadito che Mosca ritiene «assolutamente inaccettabile» un eventuale dispiegamento di «peacekeeper» europei in Ucraina sostenendo che questo significherebbe, per il governo russo, «il coinvolgimento di questi paesi in un conflitto fisico diretto» con la Russia.
Sulla tregua di 30 giorni, già accettata da Kiev durante i colloqui con i funzionari statunitensi in Arabia Saudita, al momento sembra invece che Vladimir Putin voglia prendere tempo, vista la situazione molto favorevole per le sue truppe nella regione russa di Krusk, dove gli ucraini sono in ritirata.
Alcuni analisti statunitensi temono che il presidente russo possa approvare il cessate il fuoco per avvicinarsi ulteriormente a Trump, mostrandosi desideroso di arrivare alla pace e cavalcando ancora una volta la narrazione – sposata pure dal tycoon – secondo cui Zelensky è un presidente illegittimo e l’Ucraina è la vera responsabile del conflitto. Dall’altro lato, lo «zar» potrebbe invece respingere la richiesta di tregua temendo che le truppe di Kiev possano riorganizzarsi in seguito al ripristino del sostegno americano.
Funzionari statunitensi e russi nelle ultime settimane hanno affermato che una bozza di accordo discussa da USA, Ucraina e Russia a Istanbul nel 2022 potrebbe essere un punto di partenza per i colloqui di pace. Nell'incontro in Turchia, Mosca aveva chiesto a Kiev di rinunciare alle sue ambizioni NATO, di accettare uno status permanente di denuclearizzazione, proponendo pure un veto sulla assistenza da parte di Paesi terzi in caso di aggressione dell'Ucraina. Di fatto, condizioni inaccettabili per Zelensky, così fortemente dipendente dagli aiuti militari occidentali.
Tuttavia, i pareri degli stessi uomini del presidente USA sono discordanti. L’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff, che sta guidando le trattative con Mosca, ha descritto alla CNN i colloqui di Istanbul come «negoziati convincenti e sostanziali», affermando che potrebbero essere «una linea guida per raggiungere un accordo di pace». Mentre il principale inviato di Trump per l'Ucraina e la Russia, il generale in pensione Keith Kellogg, la scorsa settimana ha dichiarato al pubblico del Council on Foreign Relations di non considerare l'accordo di Istanbul come un punto di partenza, sottolineando che bisognerebbe cominciare a trattare da «qualcosa di completamente nuovo»
In mezzo ai dubbi degli stessi funzionari americani, certo è che al momento i negoziati vengono gestiti dagli USA con le parti in causa prese separatamente: da un lato, c’è la ricostruzione dei rapporti tra gli Stati Uniti e la Russia, dall’altro un accordo di cessate il fuoco con l'Ucraina, con la quale si vorrebbe raggiungere pure un’intesa sulle terre rare.
Mosca, molto probabilmente, non farà alcun tipo di concessione a Kiev, anche perché una delle poche carte buone da giocare, ovvero l’occupazione della regione russa di Kursk, potrebbe presto essere scartata. L’operazione contro le truppe di Putin e quelle nordcoreane sembra arrivata al capolinea: ieri si parlava addirittura di una definitiva ritirata degli ucraini dopo una pesante sconfitta nella città di Sudzha, vero e proprio fulcro dell’invasione a sorpresa lanciata lo scorso agosto. Oggi, invece, pare essere ancora viva la speranza di resistenza, con le forze di Kiev che cercano di mantenere le postazioni nei sobborghi della città - che i russi affermano di aver liberato - «finché sarà necessario».
Dal canto suo, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto sapere che i soldati di Putin sono entrati «nella fase finale dell'operazione per liberare il territorio della regione di Kursk dalle forze armate ucraine». Inoltre, Mosca considera sconfitti gli ucraini anche in tutte le aree occupate del Donbass, nonostante vi siano ancora feroci scontri. Tornando al Kursk, secondo il Kyiv Indipendent, l’esercito di Putin avrebbe riconquistato l’86% del territorio russo invaso, compiendo grandi progressi nella settimana in cui gli USA hanno interrotto il sevizio di intelligence a Kiev.