«Le sanzioni possono fermare Putin, ma solo a determinate condizioni»
La morsa delle sanzioni si fa sempre più stretta attorno alla Russia di Putin. Il divieto di importazioni di gas e petrolio deciso dagli USA va ad aggiungersi ad una serie di blocchi adottati dall’Occidente per indebolire l’economia di Mosca. L’efficacia delle sanzioni internazionali al momento non sembra però decisiva: Paesi come Italia e Germania, infatti, non possono permettersi di chiudere di punto in bianco i rubinetti energetici, in quanto troppo dipendenti dalla Russia. Inoltre, lo «zar» non mostra segni di cedimento davanti al rischio che il suo Paese vada in rovina, visto che da anni utilizza il denaro pubblico per conflitti e propaganda piuttosto che per sanare le infrastrutture. Come fermare Putin dunque? Quali sono le sue intenzioni? La pace, in questa fase del conflitto, è possibile? Ne parliamo con il ricercatore indipendente Luca Lovisolo, studioso di Europa dell’Est e autore del libro Il progetto della Russia su di noi (Archomai, 2020).
Le sanzioni
fermeranno Putin?
Secondo
Lovisolo, «le sanzioni possono funzionare solo se si verificano alcune condizioni», in quanto «Putin non si fermerà al calcolo
economico, perché è da anni che sta lasciando marcire le infrastrutture,
compresi ospedali e scuole, utilizzando i soldi per interventi militari e opere
faraoniche di propaganda». L’esperto spiega: «Quello che deve succedere affinché
le sanzioni abbiano l’effetto sperato, è che lo Stato russo rimanga
materialmente senza contante per poter pagare le pensioni, gli stipendi dei
militari e quelli di tutte le categorie di funzionari statali che costituiscono
il sostrato che mantiene Putin al potere». Ma perché proprio i pensionati?
Lovisolo sottolinea che «sebbene la loro importanza per ragioni
anagrafiche sia diminuita negli anni, gli anziani restano una categoria sociale
determinante per la leadership del presidente russo, perché vivono nella
nostalgia dell’Unione Sovietica, e in alcuni casi, persino del periodo
staliniano: è su questo che Putin ha costruito la sua propaganda. Poi ci sono
tutti i funzionari statali, i militari e gli oligarchi: se tutti questi gli si
sfilano di sotto, lo “zar” perde il suo supporto e dunque cade. Le sanzioni
funzioneranno solamente se portano a questo risultato». Il ricercatore mette in guardia: «Non dobbiamo pensare che le sanzioni
bastino a far dire a Putin: “Rischio di mandare il Paese in rovina, quindi
fermo la guerra”. Questo per un motivo: Putin si sente investito da una missione. Il suo
atteggiamento missionaristico è emerso sempre più nei discorsi delle ultime
settimane, quando ha dichiarato guerra all’Ucraina. Lui ragiona in un’ottica
distorta, sente di dover realizzare una missione, che non dipende da considerazioni
di carattere economico».
I manifestanti
possono fare ben poco
Le persone
che manifestano nelle piazze russe e vengono puntualmente arrestate, non
possono fare molto alla causa. Secondo Lovisolo infatti «non dobbiamo pensare che quelli che
vediamo scendere in strada, soprattutto giovani, gli stessi che manifestavano
per Navalny, possano cambiare le carte in tavola, perché sono una minoranza
urbanizzata e internazionalizzata, che numericamente non influisce. Anche il
solo disagio della popolazione che in questi giorni fa fatica a prelevare agli
sportelli bancomat, conta relativamente poco, se non si verificano le
condizioni di cui parlavo prima».
Bloccare
le importazioni di gas e petrolio
Un duro
colpo all’economia russa, arriverebbe con il blocco delle importazioni di
idrocarburi, ma per alcuni Paesi significherebbe andare incontro ad una crisi
energetica, o quasi. L’esperto fa notare: «Bisognerebbe smettere di importare
gas e petrolio, come hanno fatto gli Stati Uniti. Ma gli USA possono
permetterselo, perché sono stati previdenti. L’Europa non può interrompere
dall’oggi al domani le importazioni, soprattutto l’Italia e la Germania, in
quanto troppo dipendente dalla Russia». Lovisolo poi ricorda: «La dipendenza dalle fonti
energetiche russe non è iniziata recentemente. Già negli anni Ottanta, quando
la Germania aveva cominciato a realizzare le sue infrastrutture per importare
energia da Est, l’allora presidente statunitense Ronald Reagan ammonì a gran
voce l’Europa, dicendo: “Questa dipendenza vi costerà cara”. Oggi noi paghiamo
il prezzo di quella superficialità».
La
propaganda russa: anni di indottrinamento
«I cittadini russi ricevono informazioni da fonti sempre più ristrette e,
comunque, anche quando erano ancora accessibili i canali internazionali, questi
venivano seguiti da una minoranza, cioè quella parte di popolazione che riesce
facilmente ad accedere a Internet e ha gli strumenti culturali per capire». Già, disinformazione e propaganda,
un vero e proprio arsenale che in questi giorni stiamo osservando in tutta la
sua potenza. Il nostro interlocutore aggiunge: «Ci sono persone in Russia, come da
noi del resto, che passano tutto il tempo davanti alla tv, e la quasi totalità
di loro guarda solo i canali di Stato, perché sono gli unici che riesce a
capire. Non è chi riesce a collegarsi alla “Deutsche Welle” o alla “BBC” in lingua
russa che cambia i numeri». Lovisolo sottolinea: «Io guardo tutti i giorni la tv russa
e ne sono spaventato, perché le trasmissioni sul conflitto sono surreali: attraverso
la propaganda raccontano all’intera popolazione, circa 144 milioni di abitanti,
un’Ucraina “nazista” spalleggiata dall’Occidente antirusso che starebbe minacciando
il Paese con armi nucleari e batteriologiche. Quando una narrazione di questo
tipo viene diffusa in modo coerente e incessante per almeno una decina di anni,
poi è difficile credere a un’informazione alternativa. Cito una testimonianza di
una corrispondente internazionale di “France 24”, tornata in questi giorni dalla
Russia, dove vive abitualmente. La giornalista ha fatto sapere che alcuni suoi
conoscenti russi, una volta messi al corrente della situazione in Ucraina, le hanno
riso in faccia, pensando fosse uno scherzo. Molti russi non vanno neanche più a
cercarle le informazioni alternative, perché sono in gran parte stufi del Donbass
e dell’Ucraina. Quindi, quei pochi che in qualche modo riescono a collegarsi ai
media occidentali hanno una visione più realistica, ma la maggioranza assume
per vera la visione dei media di Stato. Anche quelli che vivono in Occidente,
benché abbiano accesso all’informazione libera, tendono a credere maggiormente
ai media russi. E non sto parlando di persone ignoranti o indifferenti», spiega Lovisolo, evidenziando: «Questo fa capire qual è il livello
di indottrinamento che è stato fatto attraverso la propaganda».
Le fake
news che arrivano in Occidente
Ma il
problema della disinformazione è ben presente anche alle nostre latitudini:
questa, dai media russi, filtra fino in Occidente. Lovisolo puntualizza: «Quando è iniziata la guerra
d’Ucraina, cioè nel 2014, con l’annessione della Crimea e l’invasione del Donbass,
tesi come quella del genocidio commesso dai nazisti ucraini sono passate su
molti media. C’è solo una minoranza di persone che va ad informarsi sui siti de-bunking
e di accertamento delle notizie». Lo studioso poi constata: «Da 8 anni a questa parte, vedo questa
narrazione regolarmente diffusa e mai scientificamente smentita, se non in
questi giorni, con persone che, come me, studiano l’Ucraina e vengono
improvvisamente contattate per fornire delle spiegazioni. Purtroppo per anni questa
disinformazione è circolata, anche grazie alla rete di media russi in lingua
italiana, tedesca e inglese. Questi canali sono stati guardati anche dai
giornalisti occidentali. In Italia ho visto servizi, e ne vedo anche oggi, costruiti
partendo dalle notizie di “Sputnik”, la più nota delle testate fedeli al
Cremlino, tradotta in molte lingue. Queste narrazioni sono più forti delle
smentite, anche perché sono alimentate da un certo retroterra ideologico
antiamericano o favorevole alla Russia per ragioni di affari. Adesso l’UE si è
svegliata e ha fatto chiudere reti come “Russia Today” e “Sputnik”: una decisione
criticata, perché violerebbe la libertà di informazione, ma qui non c’è
informazione, c’è l’apologia di guerra. L’apologia di un crimine».
Una
guerra che doveva durare pochi giorni
Secondo
numerosi analisti militari, la «missione» russa ad oggi sembra un fallimento
totale, forse perché macchiata da un peccato originale di Putin: aver sottovalutato
il nemico. In questo senso, Lovisolo evidenzia: «La sottovalutazione di Putin è
attestata da varie circostanze e da alcuni documenti, non è soltanto una
supposizione. Posso citare l’articolo pubblicato per errore il 26 febbraio
dall’agenzia russa RIA Novosti, due giorni dopo l’inizio dell’invasione, poi
immediatamente cancellato, il cui contenuto è davvero raggelante: il Cremlino dà
per compiuta la riconquista dell’Ucraina intera ad opera della Russia. Poi ci
sono informazioni di intelligence USA che confermano come la campagna avrebbe
dovuto chiudersi in poco tempo. Per non parlare dei militari russi che vengono
catturati, tutti riferiscono di non essere a conoscenza del motivo per cui
siano lì e raccontano di aver ricevuto informazioni dai loro superiori a
proposito di un’operazione militare di liberazione che doveva durare qualche giorno». Il ricercatore aggiunge: «E poi ci sono i fatti sul terreno.
Se guardiamo a come si sono mossi i russi a inizio operazione, vediamo che da una
parte hanno spinto sul fronte del Donbass, e dall’altra hanno puntato direttamente
su Kiev. Speravano di conquistare la Capitale in pochi giorni e sostituire il
governo attuale con uno filorusso, che poi avrebbe favorito l’avanzata delle
truppe sugli altri fronti. Si sono però trovati in una situazione ben diversa:
a Kiev non sono arrivati, perché sono stati fermati, mentre sul fronte del
Donbass, dove, più che altrove, i russi speravano di essere accolti come dei
liberatori, stanno invece avanzando pochissimo, a due settimane dall’inizio
della guerra. I problemi logistici di rifornimento alle truppe sono un’altra
prova che i russi prevedevano un’azione-lampo». Lovisolo non ha dubbi: «Putin ha sottostimato il
patriottismo degli ucraini, la loro capacità di reazione e l’attaccamento al Paese.
Un Paese che esiste da prima che esistesse la Russia». L’esperto chiarisce il concetto: «L’Ucraina non è nata nel 1922, perché
Lenin permise la costituzione della Repubblica socialista di Ucraina, che poi è
entrata a far parte dell’URSS. L’Ucraina ha una sua cultura secolare. Ha vissuto
in costante rapporto di attrazione e respingimento con la Russia, ma sono due Paesi
diversi. L’errore di fondo di Putin è quello di esser partito dal presupposto
che russi e ucraini siano un popolo solo, e quindi si aspettava che i soldati
russi sarebbero stati accolti come liberatori. In questo, lo “zar” ha sposato
le tesi dei neo-euroasiatisti, che predicano per la Russia una posizione
dominante sul Continente europeo e partono dal presupposto che tutto ciò che
c’è di slavo e cristiano-ortodosso ad Ovest della Russia debba appartenere ad
essa. Ma la storia dice altro».
La
visione di Putin
Luca
Lovisolo si è fatto un’idea ben chiara su quella che potremmo definire la «visione storica di Putin». «Dai suoi discorsi, tenuti prima
dell’inizio della guerra, emerge un intento evidente: il presidente non solo mira
a quello che era lo spazio dell’Unione Sovietica, ma punta alla ricostruzione
dell’Impero russo, che lui definisce “Russia storica”. Nella conferenza stampa
di fine anno del 2021 ha parlato dei popoli dell’ex URSS come “Russia storica
fuori dai confini della Federazione russa”. Per cui, per Putin, tutto ciò che
faceva parte dell’URSS, fa parte dell’attuale Russia, anche se ne è
“temporaneamente” fuori. E non solo. Quando Putin si riferisce all’Unione Sovietica,
infatti, si riferisce a un decadimento federale dell’Impero russo, perché di fatto
sta dicendo questo: “Ha sbagliato Lenin a dare ai popoli dell’Impero russo
etnicamente non russi la possibilità di avere proprie repubbliche che poi si
sono unite nell’Unione Sovietica”. Secondo Putin, in realtà, quei popoli sono
appartenenti alla Russia, e al limite si può dar loro un po’di autonomia
linguistica o culturale, ma non la dignità di essere uno Stato. Quello che Putin
ha in mente è un Impero russo, che non è l’URSS. Le due entità sono largamente
coincidenti in termini territoriali, ma ci sono Paesi, come la Finlandia e la Polonia,
che hanno, sì, fatto parte dell’Impero russo, ma non dell’URSS. Quindi, adesso,
è lecito chiedersi che intenzioni abbia il leader russo verso questi Paesi». Il ricercatore evidenzia: «Putin è ripartito nell’idea di riconquistare
uno spazio vitale del popolo russo, che va fino ai confini occidentali e
comprende almeno l’Ucraina, ma l’Impero russo era andato ben più in là. Quindi,
lui dove la vede questa Russia storica? Questo non lo sappiamo».
Una zona
di influenza fino all’Atlantico
Un’espansione
del genere agli occhi dell’Occidente democratico può sembrare come minimo strana.
Lovisolo ne è consapevole, ma evidenzia: «Suona meno strana se si considera
che Putin voleva conquistare l’Ucraina in due giorni. Il progetto che c’è alle
spalle, che è politologico e strategico-militare, scritto nero su bianco,
arriva fino a Lisbona. Non con le armate russe, perché questo sarebbe
impossibile, ma con l’utilizzo di strategie di comunicazione e di uno
strumentario politico che mira ad instaurare in Europa una serie di governi
fedeli alla Russia». Il nostro interlocutore cita un esempio: «Quando nel 2019 arrivò a Lugano il politologo
Aleksandr Dugin, egli parlò tranquillamente dell’Europa che vogliono i russi. Disse:
“L’Europa che vogliamo noi russi potrebbe anche rimanere unita nell’UE, ma deve
essere fedele alla Russia”. Dunque, il progetto che c’è dietro è molto più
ampio». Secondo Lovisolo: «Parte dall’Ucraina, che Putin sta cercando di
conquistare con le armi, perché lì le strategie di comunicazione non sono
riuscite a fare salire al potere un governo favorevole alla Russia, ma poi c’è
tutto un cammino per cui la Russia cerca di avere una zona di influenza che si
estende fino all’Atlantico, esattamente come gli USA hanno una zona di
influenza sull’America latina».
La pace
e la legge del più forte
Si può
dunque invocare una pace per fermare il progetto di Putin? Su questo punto
l’esperto è molto critico: «Di fronte a questo conflitto non è possibile
invocare la pace come valore astratto. Facendolo, in questo frangente, di fatto
significa mettersi dalla parte dei russi. Bisogna capire che oggi la fine del
conflitto passa attraverso il sostegno all’Ucraina e alla ricostituzione della
sua integrità territoriale. Se accettiamo che l’Ucraina ceda parti di
territorio alla Russia, come conseguenza ad invasioni, sia quella del 2014 che
quella di due settimane fa, allora decretiamo il crollo di uno dei principi
fondamentali del diritto internazionale moderno, che è l’intangibilità delle
frontiere se non per volontà degli Stati coinvolti: una volontà dell’Ucraina di
rivedere le sue frontiere con la Russia non c’è, e i referendum tenuti nel Donbass
e nella Crimea sono stati delle finzioni. Sono dati oggettivi. Se vogliamo
appellarci alla pace, oggi dobbiamo sostenere il principio secondo cui i
confini ucraini devono tornare ad essere quelli della fine del 2013, cioè
quelli riconosciuti dalla comunità internazionale. Ciò può anche rendere
necessario continuare i combattimenti, ma se si chiede la pace adesso, di fatto
congeliamo una situazione favorevole alla Russia». Luca Lovisolo conclude: «Chi vuole la pace, deve dire quale pace
vuole: vogliamo quella che significa la fine dei combattimenti e l’accettazione
della legge del più forte? Non possiamo accettare la legge di Putin, perché è quella
che si prende con le armi un Paese che ha la sua lingua, la sua cultura e non
ha nessuna intenzione di far parte della Russia».