L'endorsement di Elon Musk a Donald Trump
C’era da aspettarselo. Quantomeno, gli indizi – a partire dalla gestione di X – da tempo portavano tutti a una sola, possibile soluzione: Elon Musk è vicino, se non vicinissimo a Donald Trump. L’attentato all’ex presidente, fra le altre cose, ha avuto il «merito» di ufficializzare questa unione. Mentre da Butler, Pennsylvania, stavano ancora giungendo informazioni frammentarie, sabato, l’eccentrico miliardario su X ha scritto: «Appoggio pienamente il presidente Trump e spero in una sua rapida ripresa». Poco dopo, ha rincarato la dose pubblicando una delle tante foto oramai iconiche: il tycoon con il pugno alzato e il volto insanguinato. Infine, Musk ha chiuso il trittico con un’altra dichiarazione forte. Dicendo, in sostanza, che prima di Trump bisogna risalire addirittura a Theodore Roosevelt per trovare l’ultimo candidato «tosto».
Detto che, appunto, le intenzioni di voto di Musk erano piuttosto chiare già prima dell’attentato, questo endorsement ufficiale – se così vogliamo definirlo – è significativo. Da un lato, le parole del patron di Tesla e SpaceX hanno lanciato nel migliore dei modi la convention repubblicana di Milwaukee; dall’altro, hanno spinto altri nomi forti, come il milionario Bill Ackman, a uscire allo scoperto. Non solo, Musk ha pure contribuito al coro di critiche nei confronti del Secret Service.
Per Trump, manco a dirlo, un appoggio del genere è vitamina pura. E il motivo è presto detto: Musk, in termini di influenza social, è un motore pazzesco. Lo stesso dicasi per i suoi contatti nella cosiddetta élite, sul fronte prettamente economico. Musk, in precedenza, aveva rivolto non poche critiche all’attuale presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, sviluppando al contempo quello che il Wall Street Journal definisce un rapporto amichevole con Donald Trump. Un rapporto che, certo, non dipende (solo) dalla mera riammissione di Trump su Twitter, pardon X. Le parole scelte e utilizzate sabato da Musk, in ogni caso, rappresentano sin qui lo sforzo più significativo, e diretto, da parte del proprietario di X affinché Musk riguadagni la Casa Bianca.
Ackman, fondatore e amministratore delegato dell’hedge fund Pershing Square Capital Management, figura di spicco del capitalismo a stelle e strisce, dal canto suo ha affidato a un post, sempre su X, il suo endorsement per Trump. Affermando, beh, di aver preso questa decisione tempo fa ma di non aver avvertito l’urgenza di dirlo pubblicamente fino all’attentato di Butler, che tuttavia Ackman non ha menzionato direttamente. Sembrano lontani, diciamo pure lontanissimi i tempi in cui il mondo Tech e di riflesso la Silicon Valley si schieravano per il Partito Democratico. Nel 2016, per dire, soltanto uno dei grandi magnati del settore, Peter Thiel, fra i fondatori di PayPal, aveva preso parola in occasione della convention repubblicana da cui emerse, come candidato, Donald Trump. Oggi, per contro, secondo alcuni esperti starebbe emergendo una «destra Tech» che viaggia in parallelo con la destra tradizionale e che potrebbe avere più di un contatto con l’estrema destra. Nel suo recente libro Technopolitique, scriveva tempo fa Internazionale, la ricercatrice Asma Mhalla paragona Musk abbia alla figura «dell’anarchico di destra nella sua espressione più pura». Come il Joker di Batman, per intenderci, «ma in una versione più allegra».