La guerra

L'Europa riflette, Mosca esulta: «L'Occidente è frammentato»

Il portavoce del Cremlino: «Qualcuno costringa Zelensky a volere la pace» – Il presidente ucraino risponde: «La vogliamo, ma la Russia prosegue con il suo terrore aereo» – E Trump: «Preoccupiamoci di immigrazione, non di Putin»
© KEYSTONE (Justin Tallis/Pool via AP)
Paolo Galli
03.03.2025 22:40

«È iniziata una frammentazione dell’Occidente collettivo». Gongola, il Cremlino, di fronte alle tensioni tra Stati Uniti ed Europa. E ribalta così la questione della guerra in Ucraina: «Alcuni Paesi costituiscono una sorta di “partito della guerra”, il quale dichiara la propria vicinanza all’Ucraina in termini di sostegno alla guerra e di garanzia della continuazione delle ostilità». Le parole sono di Dmitri Peskov, portavoce di Vladimir Putin, e ben riassumono il tentativo di imporre una narrazione alternativa rispetto a quella che vuole la Russia quale aggressore e l’Ucraina quale vittima dell’aggressione. Una versione alternativa sostenuta anche da Donald Trump, come si è recentemente scoperto. Ma questa confusione - voluta da Mosca - sta diventando il tema del momento. Oggi sempre dal Cremlino, sempre da Peskov, è arrivato l’invito all’Occidente: «Visto che Zelensky non vuole la pace, qualcuno lo costringa a volerla». Il presidente ucraino ha risposto: «L’Ucraina sta lottando per la vita sicura che merita, per una pace giusta e affidabile. Vogliamo che questa guerra finisca. Ma la Russia non lo vuole e continua con il suo terrore aereo». Volodymyr Zelensky ha fatto un paio di calcoli: «Nell’ultima settimana sono stati lanciati contro l’Ucraina più di 1.050 droni d’attacco, circa 1.300 bombe aeree e più di 20 missili». Attacchi che Mosca non nega, ma che giustifica, pur continuando «il dialogo con Washington per normalizzare le nostre relazioni bilaterali». L’invasione continua - fa sapere il Cremlino - «per raggiungere tutti gli obiettivi fissati fin dall’inizio». Insomma, una cosa è il rapporto con Trump, un’altra quello con l’Ucraina.

La reazione di Merz

In questo contesto, lo stesso Donald Trump detta alla politica statunitense un’altra agenda, quella interna. Sul suo personale social, Truth, scrive: «Dovremmo dedicare meno tempo a preoccuparci di Putin e più tempo a preoccuparci delle bande di migranti che stuprano, dei trafficanti di droga, degli assassini e dei malati di mente che entrano nel nostro Paese, così non faremo la stessa fine dell’Europa». Insomma, il presidente americano volta lo sguardo da un’altra parte. O questa, almeno, è l’impressione che vuole dare al mondo intero, e in particolare all’Europa, a quel Vecchio Continente che reputa ormai succube della cultura woke e dell’immigrazione incontrollata. Ma l’Europa in qualche modo prova a reagire, a immagine di Friedrich Merz. Il cancelliere tedesco in pectore, oggi ad Amburgo, è tornato su quanto accaduto venerdì a Washington, quindi sul diverbio tra Trump e Zelensky. Il conservatore ha parlato di «un’escalation deliberatamente provocata». E poi ancora: «C’è una certa continuità tra ciò che stiamo vedendo ora a Washington e la serie di eventi delle ultime settimane e mesi, inclusa la presenza della delegazione americana a Monaco alla conferenza sulla sicurezza».

Allentamento delle sanzioni?

Seguendo la logica dettata da Trump, non dovrebbe esserci molto spazio, questa sera - alle 21 ora di New York -, per la guerra tra Russia e Ucraina all’interno del suo primo discorso davanti a una sessione congiunta del Congresso americano. Più probabile, allora, che si concentri sulla politica interna, sull’immigrazione, sui tagli alla propria amministrazione. Per quanto concerne la politica estera, possibile che il presidente sviluppi qualche coincisa previsione sulla fine delle due guerre in corso, in Ucraina e nella Striscia di Gaza. Questo secondo la logica di non voler sprecare «tempo a preoccuparsi di Putin». Potrebbe anzi - secondo Reuters - annunciare un clamoroso allentamento delle sanzioni verso Mosca.

«Forti e non lo sappiamo»

Da un discorso all’altro. Oggi è stato il turno di Keir Starmer e del suo omologo francese François Bayrou. L’attivissimo premier britannico si è rivolto ai propri parlamentari, parlando della situazione attuale come di «una sfida generazionale». E ha chiarito: «Dobbiamo rafforzare il nostro rapporto con gli Stati Uniti. Sono e saranno sempre indispensabili». Starmer non crede che Trump - il quale ha avuto un vertice interno proprio sul tema del disimpegno nei confronti di Kiev - possa annullare gli aiuti all’Ucraina. «Questa non è la loro posizione», ha ribadito il britannico. E Bayrou, dal canto suo, ha ripreso i concetti espressi solo la sera prima da Macron e li ha fatti suoi, parlando di un piano di pace per l’Ucraina, passando da una tregua di un mese. Starmer è sembrato tiepido, in merito, ricordando piuttosto la necessità di «garanzie di sicurezza degne di questo nome». E Bayrou allora si concentra sulla guerra, sulla difesa, paragonando i numeri europei a quelli russi, dal PIL agli arsenali. «Siamo forti e non lo sappiamo, ci comportiamo come se fossimo deboli». Una tesi che evidentemente non convince Trump, che sempre su Truth questa sera ha di nuovo attaccato Zelensky: «Questo tizio non vuole la pace finché ha il sostegno dell’America. E l’Europa ha dichiarato che non può farcela senza gli Stati Uniti. Non una grande affermazione in termini di dimostrazione di forza rispetto alla Russia».

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