Lo «sconcertante» piano di Donald Trump per Gaza e tutte le perplessità: «Fa sul serio?»
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«Gli Stati Uniti prenderanno il controllo di Gaza». Nelle scorse ore, il presidente statunitense Donald Trump, in conferenza stampa con il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha rilasciato una serie di dichiarazioni esplosive. A Washington, il tycoon ha detto che in uno scenario a lungo termine gli Stati Uniti «prenderanno il controllo di Gaza e si occuperanno della bonifica degli ordigni e della ricostruzione». Un controllo che, Trump non lo ha escluso, potrebbe passare tramite il dispiegamento di truppe a stelle e strisce in territorio palestinese: «Faremo ciò che è necessario».
In conferenza stampa, Trump è tornato inoltre a parlare della rilocazione dei palestinesi in altri Paesi: «Gaza è un inferno, nessuno ci vuole vivere. I palestinesi adorerebbero andarsene». Ma mentre solo fino a qualche ora fa sembrava ipotizzare un ritorno degli sfollati dopo la ricostruzione «in un posto bello, con case bellissime e dove possono essere felici e non essere colpiti, uccisi o accoltellati a morte», in conferenza stampa con il premier israeliano Trump ha detto che i palestinesi dovrebbero andarsene «per sempre».
Le sue parole hanno scatenato dure reazioni, negli Stati Uniti e in Medio Oriente.
Le analisi
In una dura analisi, il senior reporter della CNN Stephen Collinson ha fortemente criticato il piano di Trump: «In poche parole, Trump ha evocato una sconcertante trasformazione geopolitica del Medio Oriente e un'ancora di salvezza politica per Netanyahu, dimostrando perché il premier israeliano, nonostante le tensioni del passato, facesse il tifo per il suo ritorno al potere nelle elezioni del 2024». I commenti del tycoon, ha evidenziato Collinson, rappresentano «un momento storico nella storia del peacemaking statunitense in Medio Oriente. Vedere un presidente americano avallare quella che sarebbe l'espulsione forzata dei palestinesi dalla loro casa, in un esodo che sovvertirebbe decenni di politica statunitense, il diritto internazionale e l'umanità di base, è stato scioccante».
L'idea, ha ricordato Collinson, ricalca «uno schema proposto l'anno scorso dal genero investitore di Trump, Jared Kushner, per spostare i palestinesi da Gaza e "ripulirla" per sviluppare il "preziosissimo" lungomare mediterraneo del territorio». Un piano che, se attuato, avrebbe gravi conseguenze sugli equilibri mondiali, ha argomentato l'analista della CNN: «Se il leader della più potente democrazia del mondo guidasse un trasferimento forzato di questo tipo, riproporrebbe i crimini dei tiranni del passato e creerebbe una scusa per ogni autocrate per lanciare programmi di pulizia etnica di massa contro le minoranze vulnerabili».
Una proposta tanto fuori dagli schemi, evidenzia l'analisi della CNN, che sorge la domanda: «Fa sul serio? I commenti di Trump scateneranno un'altra serie di speculazioni sulla serietà di un piano stravagante o sul fatto che lo stia usando per distrarre da qualche altro programma ancora più nefasto, forse il tentativo sempre più ampio del suo amico Elon Musk di distruggere il governo degli Stati Uniti dall'interno».
Dal canto suo, Peter Baker del New York Times definisce il piano «l'impegno più esteso di forze e risorse economiche americane in Medio Oriente dall'invasione e ricostruzione dell'Iraq di due decenni fa. E sarebbe un'inversione di tendenza per un presidente che si è candidato nel 2016 declinando la costruzione di nazioni e giurando di ritirare gli Stati Uniti dal Medio Oriente». Senza contare, evidenzia Baker, che Trump «non ha saputo citare alcuna autorità legale che permetta agli Stati Uniti di affermare unilateralmente il controllo sul territorio altrui» e che la «rimozione forzata di un'intera popolazione sarebbe una violazione del diritto internazionale», il reinsediamento di 2 milioni di palestinesi «sarebbe una sfida logistica e finanziaria gigantesca, per non dire politicamente esplosiva. Richiederebbe sicuramente molte migliaia di truppe statunitensi e potrebbe scatenare un conflitto più violento».
Perplessità bipartisan
Nel frattempo, interrogati dai media americani, i senatori statunitensi – repubblicani e democratici – mostrano perplessità bipartisan. Tra i rappresentanti del partito dell'Elefantino, molti si sono trincerati dietro un «no comment». «Non so cosa pensare», ha detto il senatore repubblicano del Texas, John Cornyn. «Tornate a trovarmi domani, è meglio».
Ma alcuni non hanno nascosto i propri dubbi. Come il senatore repubblicano della Carolina del Sud, Lindsey Graham: «È una proposta interessante, ma problematica. Vedremo cosa ne pensano i nostri amici arabi. La maggior parte degli abitanti del mio Stato probabilmente non sarà entusiasta di mandare statunitensi a conquistare Gaza. Penso che potrebbe essere problematico. Ma manterrò una mente aperta».
Più duri i senatori democratici. Richard Blumenthal, del Connecticut, ha definito «folle» l'idea. «Farebbe saltare gli accordi di Abramo», ha spiegato alla CNN. «Tutti i progressi che abbiamo fatto, comprese le coraggiose e costose battaglie che Israele ha condotto, verrebbero di fatto vanificati da questa folle idea». La senatrice democratica Jeanne Shaheen del New Hampshire, la più importante democratica della commissione per le relazioni estere, ha dichiarato: «No, non credo che sia nell'interesse dell'America. Questa idea, a mio avviso, non riconosce la necessità di avere uno Stato palestinese e il fatto che finché non affronteremo le preoccupazioni dei palestinesi, continuerà ad esserci un conflitto nella regione».
Anche il senatore democratico Chris Coons del Delaware, un altro importante membro democratico della commissione, ha criticato il piano. «È un piano offensivo, folle e pericoloso».
L'ostilità locale, regionale, mondiale
Nel suo discorso, Trump ha cercato di definire il piano una mossa negli interessi degli stessi palestinesi: «Non credo che la gente dovrebbe tornare a Gaza. Perché dovrebbero voler tornare? Quel posto è un inferno. Nessuno ci vuole vivere. I palestinesi adorerebbero andarsene». Parole, hanno fatto notare i media americani, che si scontrano con le recenti scene di palestinesi che tornano alle loro case distrutte e giurano di ricostruire dopo più di 15 mesi di guerra.
Da parte sua, Hamas ha definito le dichiarazioni di Trump «ridicole e assurde, e qualsiasi idea di questo tipo può infiammare la regione». Come evidenziato da analisti e dagli stessi senatori americani, l'impatto delle parole di Trump potrebbe avere conseguenze sulle alleanze nella regione e sul prosieguo della normalizzazione dei rapporti fra Strati arabi e Israele propiziata dagli Accordi di Abramo. L'Arabia Saudita, da parte sua, ha affermato che non ci sarà alcuna «normalizzazione» delle relazioni con Israele senza la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Il ministro degli esteri saudita, su X, ha spiegato che la posizione del regno rimane «ferma e incrollabile». «L'Arabia Saudita continuerà i suoi incessanti sforzi per creare uno Stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale, e non stabilirà relazioni diplomatiche con Israele senza di ciò».
La Lega Araba, con i cui Stati Trump e Netanyahu avevano cercato la normalizzazione negli Accordi di Abramo, aveva già condannato, negli scorsi giorni, ogni «tentativo di sradicare i palestinesi dalla loro terra» come «pulizia etnica». «La rimozione forzata o l'espulsione di popoli dalla loro terra può solo essere definita pulizia etnica», aveva evidenziato la segreteria della Lega.
Ma la proposta di Trump sembra trovare anche l'opposizione dell'ONU. Rispondendo a una domanda di un giornalista, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha affermato che il piano di Trump di spostare la popolazione di Gaza e sviluppare l'enclave palestinese equivarrebbe a una «pulizia etnica», secondo quanto riportato dalla giornalista del New York Times Farnaz Fassihi.
In un post su X, la bureau chief del NYT alle Nazioni Unite ha anche riferito che, secondo Guterres, il piano di Trump rischia di «rendere impossibile uno Stato palestinese per sempre».