Lo sport come arma politica: il legame tra Russia, esercito e propaganda

Riavvolgiamo il nastro: il Comitato olimpico internazionale (CIO) ha raccomandato alle singole Federazioni sportive di consentire agli atleti di Bielorussia e Russia di partecipare alle prossime competizioni internazionali, Olimpiadi incluse, sotto bandiera neutra.
Un assist, secondo i critici, a Vladimir Putin che, seguendo una certa tradizione, non solo russa, ha fatto dello sport un’arma politica e di propaganda. Basti pensare ai grandi eventi organizzati negli anni scorsi da Mosca, dai Giochi invernali di Sochi del 2014 ai Mondiali di calcio del 2018.
Ciò che, allargando il campo, forse non è stato considerato dal CIO è l’apparato governativo e militare che sostiene lo sport all’interno della Federazione Russa. Un apparato che in passato si è spinto oltre ogni limite, pensiamo al doping di Stato, per produrre atleti di punta e, di riflesso, medaglie.
CSKA e DOSAAF
Il legame più stretto e conosciuto fra esercito e sport, in Russia, è rappresentato dal Circolo Sportivo Centrale dell’Esercito, altrimenti detto CSKA, acronimo che accompagna – ad esempio – una delle squadre calcistiche moscovite più blasonate, capace di vincere 7 campionati sovietici e 6 titoli russi oltre a una Coppa UEFA.
Il CSKA, nel suo insieme, è un programma che impiega centinaia e centinaia di allenatori, gestisce direttamente decine di siti di allenamento in tutto il Paese e controlla qualcosa come oltre 10 mila atleti. Il Club, presto, compirà 100 anni ed è piuttosto florido: la maggior parte delle medaglie russe alle ultime Olimpiadi estive, a Tokyo nel 2021, è ascrivibile al CSKA. Inciso: a quei Giochi gli atleti della Federazione avevano partecipato sotto bandiera neutra, complici le decisioni del CIO in merito alla vicenda del doping di Stato.
Un altro programma sportivo affiliato all’esercito, meno conosciuto ma altrettanto importante, è la DOSAAF, traducibile in Associazione volontaria per la cooperazione con l’esercito, l’aviazione e la flotta, un programma nato e cresciuto in epoca sovietica ma proseguito dopo la dissoluzione dell’URSS. Nella gestione e nel finanziamento della DOSAAF è coinvolto il ministero della Difesa. Vladimir Putin, invece, ne ha parlato spesso in termini entusiastici definendola «una versa scuola di coraggio» che, negli anni, ha aiutato ad addestrare comandanti militari, cosmonauti e piloti.
Anche la DOSAAF ha prodotto diverse medaglie olimpiche a Tokyo, fra cui quella di Vitalina Batsarashkina, formatasi presso un centro dell’organizzazione a Omsk, in Siberia. La DOSAAF, nel celebrare l’oro di Batsarashkina, aveva definito quel trionfo come «la più alta forma di patriottismo».
Il doping di Stato
La Russia, dicevamo, ha sempre spinto sulle imprese sportive a mo’ di propaganda e, per farlo, non ha badato né a spese né, tantomeno, a possibili conseguenze. Una dimostrazione? Il programma di doping di Stato, emerso e scoperto sulla scia delle Olimpiadi di Sochi 2014, che la Russia chiuse in testa al medagliere.
Un’indagine commissionata dall’Agenzia mondiale antidoping, l’AMA, ha accusato la Russia di «inganno diffuso». Affermando, in particolare, di aver trovato prove di «intimidazioni dirette e interferenze da parte dello Stato russo» nelle operazioni di laboratorio che studiano i campioni degli atleti. Nel 2016, un altro rapporto commissionato dall’AMA, passato alla storia come rapporto McLaren, affermava che oltre mille atleti russi, comprese le medaglie olimpiche, avevano beneficiato del programma antidoping sponsorizzato dallo Stato tra il 2011 e il 2015. In seguito alle rivelazioni, la Russia era stata esclusa dalle competizioni internazionali.
Mosca, dal canto suo, ha sempre negato di gestire un sistema di doping per gli atleti mentre il presidente Putin ha semplicemente e candidamente ammesso che «il sistema di controllo antidoping della Russia non ha funzionato».
Panem et circenses
Sul perché, detto dei fini propagandistici e politici, la Russia insista così tanto sullo sport e sulla necessità di tornare, fra i vari eventi, anche alle Olimpiadi le teorie sono molteplici. La BBC ha citato il quotidiano Vedomosti, secondo cui il governo russo – in una sorta di panem et circenses moderno – intende usare i risultati degli atleti per mantenere alto il morale della popolazione e per (ri)dare un senso di identità nazionale in un periodo caratterizzato dalla guerra. Come se, parafrasando ancora il quotidiano russo, le vittorie fossero un doping per rinforzare il patriottismo.
Un’arma a doppio taglio, appunto, anche perché lo sport è stato fra i primi settori colpiti dalle sanzioni internazionali a margine dell’invasione dell’Ucraina, nel febbraio del 2022. Vyacheslav Fetisov, ex stella dell’hockey su ghiaccio, lo sport preferito di Putin, ora membro del Parlamento in quota Russia Unita, ha sintetizzato così la situazione: «Siamo il Paese più disonorato nella storia dello sport internazionale».
Un Paese che, tuttavia, insiste. E punta con decisione a Parigi 2024.