Il punto

Lo stop alle auto a benzina, diesel o ibride, alla fine, slitterà?

Fra i candidati alle prossime Europee, in programma il 9 giugno, c’è molto scetticismo (per non dire peggio) a proposito di questa misura – Ma i produttori, in coro, dicono: «Tornare indietro sarebbe peggio»
©Gabriele Putzu
Red. Online
27.05.2024 12:15

Le coordinate, beh, sono note. Da tempo, invero. Dal 1. gennaio 2035, all'interno dell'Unione Europea non saranno più vendute auto a benzina, diesel o ibride. La decisione, adottata dall'Europarlamento, risale al 2022. La misura, tuttavia, ha fatto e continua a far discutere. Non solo, la stessa politica (in parte) ha frenato rispetto agli obiettivi e alle ambizioni iniziali. Trascinando, di riflesso, i costruttori. Ora, in vista delle elezioni europee del prossimo 9 giugno diversi partiti hanno manifestato una certa intolleranza alla citata decisione. Citiamo, fra gli altri, i Repubblicani, il Rassemblement National e Reconquête in Francia, Fratelli d'Italia e Lega in Italia, Vox in Spagna e AFD in Germania. Spaccature che, evidentemente, hanno avuto ripercussioni anche all'interno del Partito Popolare Europeo, il gruppo di centrodestra ed europeista uscente che aveva sostenuto la rivoluzione: i Repubblicani, per dire, ne fanno parte. E il loro candidato principale, François-Xavier Bellamy, riguardo allo stop ha parlato di una decisione «drammatica».

Non finisce qui: «Non siamo contrari alle auto elettriche, ma non vogliamo un divieto obbligatorio delle auto a combustione interna» ha spiegato Aleksandar Nikolic, consigliere regionale della lista Rassemblement National, in occasione di una conferenza organizzata questa settimana dalla Plateforme de l'Automobile (PFA), il principale sindacato francese del settore. «Dobbiamo prima adattarci». A proposito di adattamento, fra due anni – nel 2026 – è prevista una clausola di revisione con tutti gli Stati membri per fare il punto sui progressi compiuti verso l'obiettivo del 2035. «Nessuno pensava davvero che questa clausola sarebbe stata attivata, era più che altro stata pensata per calmare l'opposizione quando la legge è stata approvata» ha spiegato al quotidiano economico La Tribune Bernard Jullien. «Se verrà attivata, sarà qualcosa di morbido. Tipo posticipare la scadenza di due anni» ha aggiunto l’economista specializzato nell'industria automobilistica. L'amministratore delegato di Renault, Luca de Meo, di principio non si è opposto a un rinvio, affermando a suo tempo che, inizialmente, Renault avrebbe preferito «un obiettivo verso il 2040 per avere il tempo di costruire una catena del valore in grado di competere con i produttori cinesi». Produttori cinesi, come BYD, «che sono una generazione avanti» aveva dichiarato de Meo in un'intervista.

Lo stesso de Meo, tuttavia, si è detto pronto per il 2035, così come altri marchi. Ma il clima, di per sé, è tutto fuorché sereno nel settore. Il sindacato tedesco IG Metall, per dire, da tempo si oppone alla misura. «Il divieto del 2035 non è la soluzione giusta» ripete come un mantra IG Metall. «Dobbiamo porre fine al caos delle nuove direttive».

Una soluzione al caos, in effetti, è ciò che chiedono più o meno tutti. Serve chiarezza, volendo sintetizzare al massimo. «Quello che chiedo è stabilità, smettetela di cambiare le regole o di far credere che potrebbero cambiare» ha (quasi) implorato Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, durante una visita alla fabbrica di Metz qualche settimana fa. Il portoghese era stato fra i primi a criticare la misura decisa dall’Europarlamento, invocando la neutralità tecnologica ed esortando Bruxelles ad allontanarsi dal dogmatismo. Ora, però, i produttori hanno messo sul tavolo così tanti soldi per questa transizione che tornare indietro appare un rischio o peggio. «Ho lanciato il mio aereo alla massima potenza sulla pista, non dobbiamo spegnere i motori adesso, altrimenti l'aereo si schianterà» volendo usare le parole, precise, dell'amministratore delegato di Stellantis.

«Rimanere con le due opzioni – combustione ed elettrico – per un lungo periodo non è sostenibile, perché comporta troppi costi aggiuntivi» ha aggiunto Jullien. Complessivamente, il presidente del sindacato PFA, Luc Chatel, stima che nei prossimi tre anni saranno investiti in Europa circa 100 miliardi di euro.

Di più, Jullien ha anticipato che «la clausola 2026 potrebbe consentire di ottenere di più dai governi, in particolare sussidi pubblici per l'acquisto di veicoli elettrici». E ancora: «Gli Stati membri dell'UE hanno regole diverse, il che sta esasperando produttori e consumatori. Ad esempio, la Germania ha abolito da un giorno all'altro i sussidi per l'acquisto di nuovi veicoli elettrici, la Francia li ha destinati ai veicoli meno inquinanti e l'Italia ha scelto di concentrarsi solo quest'anno sui veicoli ibridi ed elettrici». Un caos, dicevamo non a caso. 

Quella che, a spanne, potremmo definire retorica populista sull'abbandono del divieto del 2035, di fatto, serve a rassicurare i consumatori in un momento in cui il mercato dell’elettrico, in Europa, sta ristagnando. Dall'inizio del 2024, dopo tre anni di crescita continua e forte, la quota dei veicoli elettrici è rimasta stabile ad aprile, all'11,9% rispetto all'anno scorso. Si tratta di una quota di mercato ben al di sotto del 14,6% previsto per l'intero 2023. In Italia, la quota è addirittura in calo.

Gli sforzi per raggiungere l’’agognata neutralità carbonica entro il 2050, detto in altri termini, andranno raddoppiati se i ritmi dovessero abbassarsi ancora. Detto del 2035, i candidati alle elezioni europee hanno proposto anche altre misure, come il meccanismo di aggiustamento delle emissioni di carbonio alle frontiere esteso al settore automobilistico o l'innalzamento dei dazi doganali, in particolare per limitare i veicoli provenienti dalla Cina. 

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