L'obiettivo del Cremlino? «Mettere a tacere qualsiasi voce dissidente e indipendente»
29 marzo 2023. Un anno fa, Evan Gershkovich, reporter del Wall Street Journal, veniva arrestato in Russia con l'accusa di spionaggio. Secondo l'FSB, il Servizio di sicurezza statale russo, avrebbe raccolto «informazioni segrete su una società di difesa russa». Nonostante, fin dal primo momento, ne venne chiesto il rilascio, nei giorni successivi il 32.enne venne formalmente incriminato ai sensi dell'articolo 276 del codice penale russo, con un'accusa punibile con 20 anni di carcere. A metà aprile, poi, il tribunale di Mosca respinse l'appello contro l'arresto. Per un anno, dunque, Gershkovich è rimasto in carcere nella struttura di Lefortovo, a Mosca. Famosa anche al di fuori dei confini russi poiché i prigionieri vengono tenuti in un regime di isolamento (quasi) totale. In tutto questo tempo, sia lui che il Wall Street Journal hanno sempre negato ogni accusa, senza perdere la speranza di essere ascoltati.
365 giorni sono passati. Ma tanti altri, ancora, ne dovranno passare. Negli scorsi giorni, infatti, un tribunale russo ha prolungato di tre mesi la custodia cautelare del reporter. Una decisione che ha riacceso i riflettori sul caso: Gershkovich, infatti, è il primo giornalista americano a essere imprigionato per spionaggio in Russia dai tempi della Guerra Fredda. In questi mesi, più volte si è ipotizzato che il 32.enne, prima o poi, sarebbe stato liberato in uno scambio di prigionieri con Washington. Invece, Gershkovich dovrà rimanere in carcere, almeno fino a giugno. Con Reporters Sans Frontières abbiamo riflettuto sulla sua detenzione e sulla situazione dei media indipendenti in Russia negli ultimi tempi.
Maggiore controllo sulla stampa internazionale
Come detto, il caso di Gershkovich è rilevante anche perché si tratta del primo reporter statunitense, dopo decenni, ad essere detenuto in Russia. «È un segno della volontà delle autorità russe di esercitare un maggiore controllo della stampa internazionale, dopo la censura dei media locali», esordisce Jeanne Cavelier, responsabile dell'ufficio Europa orientale e Asia centrale di RSF. «Fino ad allora, i corrispondenti stranieri accreditati si sentivano relativamente protetti rispetto ai loro colleghi russi». L'arresto di Evan Gershkovich, dunque, è stato uno «shock» – per citare le parole della nostra interlocutrice – per la comunità dei giornalisti stranieri. «Ha avuto un effetto raggelante, con un'ulteriore autocensura. Alcuni hanno persino lasciato il Paese dopo aver appreso la notizia dell'arresto».
Per Reporters Sans Frontières, quindi, Gershkovic è a tutti gli effetti uno ostaggio dello Stato russo. Un punto di vista rafforzato anche da quanto trapelato, indirettamente, dall'intervista di Tucker Carlson a Vladimir Putin, pubblicata a metà febbraio. In quell'occasione, il presidente Putin, parlando di trattative, aveva lasciato intendere che Mosca avrebbe potuto scambiare il reporter con un assassino russo imprigionato in Germania.
C'è poi un altro aspetto, ed è quello legato alla colpevolezza. Il Dipartimento di Stato americano, infatti, ha dichiarato che Gershkovich era «ingiustamente detenuto» a meno di due settimane dal suo arresto. «Un tempo incredibilmente rapido rispetto ad altri casi, che dimostra quanto sia stato facile dimostrare la totale arbitrarietà di questa decisione russa».
Situazione «molto grave»
Ma non è tutto. La detenzione di Gershkovich, infatti, ci impone di dare uno sguardo anche a quella che è la situazione generale dei media in Russia. «Già negli ultimi anni era diventato difficile fare il giornalista nella Federazione Russa», spiega Cavelier. «Poi, la situazione è peggiorata con l'invasione su larga scala dell'Ucraina. Il Paese è diventato estremamente pericoloso per i giornalisti che si oppongono all'autocensura, che sono ora costretti a nascondersi o a fuggire per esercitare la loro professione in modo indipendente, quando non vengono arrestati per essersi rifiutati di collaborare con le autorità. L'obiettivo di quest'ultime, infatti, è quello di mettere a tacere qualsiasi voce dissidente e indipendente». Sul campo, oggi, rimangono pochi giornalisti in grado di fornire informazioni affidabili. La maggior parte di questi, precisa la nostra interlocutrice, lavora nell'anonimato o su argomenti non sensibili.
Dopotutto, anche i dati parlano chiaro. Nell'ultimo indice della libertà di stampa pubblicato da RSF, la Russia si è posizionata al 164. posto su 180 Paesi. «L'anno scorso è scesa di altre nove posizioni nella categoria peggiore della classifica, ossia quella relativa alla libertà di stampa». La situazione nel Paese, oggi, è infatti considerata «molto grave». A supporto di questo dato ci sono anche i numeri relativi al numero di reporter imprigionati in Russia. Al momento, almeno 32 giornalisti si trovano attualmente in carcere a causa del loro lavoro. Una cifra «record», riferisce la RSF, da quando si sono iniziate a registrare le detenzioni di giornalisti nel Paese. Inoltre, tra i 1.500 e i 1.800 reporter sono stati costretti a fuggire dal Paese dall'inizio della guerra, secondo quanto emerge dal rapporto del JXFund, il fondo per il giornalismo in esilio della RSF.
«Undesirable media»
E non finisce qui. Fin dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, l'ente russo di regolamentazione Roskomnadzor ha vietati alcune parole – tra cui proprio «guerra» – ai media, e ad autorizzare solo le informazioni provenienti da «fonti ufficiali russe», ossia dal Ministero della Difesa. Dopo poco, il Roskomnadzor ha bloccato massicciamente anche i siti dei media indipendenti, perseguitandoli per «diffusione di informazioni false».
Ad oggi, il registro mediatico degli «agenti stranieri» del Ministero della Giustizia comprende quasi 300 nomi di persone fisiche o giuridiche. Fino a dicembre 2020, la lista contava solo una decina di nomi. «L'inosservanza degli obblighi legati a questo vergognoso status – praticamente impossibili da rispettare perché poco chiari – è punibile con multe o reclusione fino a cinque anni», sottolinea Jeanne Cavelier, spiegando che queste misure spaventano fonti, inserzionisti e donatori. «Inoltre, almeno 10 media sono stati dichiarati undesirable – indesiderati, ndr – come The Insider, Proekt, Istories, Meduza, Novaya Gazeta e via dicendo, e allo stesso modo anche due organizzazioni di supporto ai media».
Ma nei guai rischiano di finirci anche coloro che collaborano con un'organizzazione «indesiderata». «Anche in questo caso, cosa si intenda con il termine "collaborazione" non è ben definito. Ciò che è certo, è che si rischia una multa fino a 500.000 rubli, da uno a quattro anni di carcere o centinaia di ore di lavoro forzato», aggiunge Cavelier. «In sintesi, la frenesia legislativa contro la libertà di espressione e i media si è intensificata dopo la guerra in Ucraina, con l'adozione di una legislazione orwelliana, a partire dalla legge del 4 marzo 2022».
Non solo Gershkovich
Tuttavia, come precisa RSF, sebbene il caso di Gershkovich sia finito sotto i riflettori, il suo non è l'unico caso che vede un reporter americano imprigionato in Russia. Dal 18 ottobre del 2023, anche la giornalista Alsu Kurmasheva si trova detenuta in un carcere russo. La donna, che come Gershkovich possiede la doppia cittadinanza russa e statunitense, lavorava in una sezione locale dei media americani Radio Free Europe/Radio Liberty ed è accusata di non essersi registrata come «agente straniero». Si era recata in Russia lo scorso maggio per un'emergenza familiare, ma nel momento in cui stava facendo ritorno a Praga, città in cui viveva, era stata multata per non aver dichiarato il suo passaporto americano. Oggi, Kurmasheva rischia una condanna a cinque anni di carcere. Per la RSF è un'altra vittima della guerra del Cremlino contro il giornalismo indipendente.