L'oligarca non vola (quasi) più: le sanzioni colpiscono anche i jet privati
Tempi duri, anzi durissimi per l'aviazione russa. Ne abbiamo parlato a lungo, anche ultimamente. La guerra in Ucraina, riassumendo al massimo, ha ristretto (e di molto) le possibilità per le compagnie commerciali. In termini di spazio aereo e, parallelamente, di accesso ad aeromobili, manutenzione e pezzi di ricambio occidentali. Il motivo? Le sanzioni imposte a Mosca, fra gli altri, dall'Unione Europea. Il settore, da oltre venti mesi, vive più o meno alla giornata. Stringe i denti e, verrebbe da dire, i bulloni per mantenere gli aerei in aria. Sfruttando più o meno quello che passa il convento, oltre alla possibilità concessa dal Cremlino di ri-registrare gli apparecchi di fabbricazione occidentale in Russia.
Le restrizioni
Fatte le dovute premesse, finora poco, relativamente poco è stato detto dell'aviazione privata. Quella, allargando il campo, dei ricchi, ricchissimi oligarchi. Abituati, prima della guerra, a viaggiare in Europa e nei luoghi più esclusivi del mondo. Costa Azzurra da una parte, Seychelles dall'altra. Non solo, i loro aerei erano spesso basati in aeroporti dell'Unione Europea. Erano, appunto, perché da febbraio 2022 a oggi l'orizzonte si è ridotto. E di molto. Per dire: nei due anni precedenti la guerra, un Boeing 737 legato all'oligarca russo Vladimir Yevtushenkov – azionista di maggioranza ed ex presidente di Sistema, conglomerato che spazia dalle telecomunicazioni al turismo, passando per la tecnologia spaziale e l'immobiliare – ha raggiunto praticamente ogni angolo del pianeta. Dalla citata Costa Azzurra alle Maldive, passando per le grandi capitali e i centri finanziari. Quest'anno, dati di Flightradar24 alla mano, il velivolo si è limitato a viaggi meno glamour: alcune ex repubbliche sovietiche, nell'ordine Kirghizistan, Kazakistan e Bielorussia, e l'immancabile Cina, cui Mosca si è aggrappata per cercare un minimo di respiro internazionale.
Lo sforzo, da parte degli oligarchi, è paragonabile a quello delle compagnie commerciali. Convivere con le sanzioni, in taluni casi dribblarle, pur di mantenere in volo i propri aerei. Le restrizioni imposte dall'Occidente, come riporta Reuters, in ogni caso hanno fortemente limitato le possibilità di viaggio. Come Aeroflot e gli altri protagonisti dei cieli russi, anche gli oligarchi hanno sfruttato una legge varata ad hoc da Vladimir Putin per reimmatricolare gli aeromobili in Russia. Il Boeing associato a Yevtushenkov, manco a dirlo, era tra i cinquanta e oltre jet privati che – passateci il termine – hanno cambiato bandiera dopo l'invasione dell'Ucraina da parte dell'esercito di Mosca. Questo, almeno, risulta dai dati del registro aeronautico nazionale risalenti all'inizio di agosto. Dati cui Reuters ha avuto accesso. Secondo due fonti dell'industria aeronautica russa, molti degli aerei privati «tornati a casa» erano legati a politici e uomini d'affari di spicco.
Ma c'è chi è rimasto incastrato
Gli aerei degli oligarchi, prima della guerra, erano registrati in giurisdizioni considerate malleabili, soprattutto a livello fiscale: Aruba e Isola di Man. Giurisdizioni che, però, hanno adottato le sanzioni nei confronti della Russia. Rendendo, di fatto, impossibile per questi veicoli rimanere dov'erano o, meglio, continuare a volare sotto quelle bandiere. Una questione di certificati di assicurazione, carburante e, in generale, permessi. Ora, grazie alla reimmatricolazione, anche i jet possono continuare a volare. A patto di scegliere, quali mete, nazioni che non hanno ristretto lo spazio aereo o dove non sono state applicate sanzioni ai singoli individui. Fra queste, ci sono gli Emirati Arabi Uniti, quindi Dubai, e la Turchia.
La manovra, comunque, ha sortito effetti fino a un certo punto. Chi può volare, dicevamo, è una sorta di paria del cielo: non può atterrare nell'Unione Europea, nel Regno Unito, in Svizzera, negli Stati Uniti. Dove gli oligarchi trascorrevano lunghi periodi di vacanza, vivevano o facevano affari. E dove «risiedevano» alcuni jet, stando ai numeri di coda. Non solo, oltre la metà della flotta russa in termini di jet privati – circa 400 esemplari – non ha fatto rientro nel territorio della Federazione. Questi aerei sono rimasti bloccati all'estero o, ancora, sono stati venduti. Il numero totale di jet d'affari che batte bandiera russa, secondo l'elenco visionato da Reuters, è invece salito a 145 rispetto ai 97 di marzo 2022.
Per alcuni proprietari di jet, insomma, la vita si è complicata. Anche se, come hanno spiegato le fonti dell'industria aeronautica russa, gli stessi proprietari in realtà non hanno mai smesso di volare da e per l'Europa. A condizione, evidentemente, di non essere stati inseriti nella lista di soggetti sanzionati. Ma come, se fin qui abbiamo spiegato che lo spazio aereo dell'Unione è stato chiuso? Banalmente, volando con i propri aerei fino a Paesi come la Turchia e poi, da lì, noleggiando jet con «targhe» europee. Una delle fonti ha spiegato, pur non fornendo esempi specifici, che questa pratica si verifica almeno una volta a settimana.
Yevtushenkov, dove vai ora?
Dai dati doganali, tornando ai jet rimpatriati, è emerso che diversi di questi aerei sono legati a doppio filo a conglomerati statali e dirigenti d'azienda che hanno sostenuto, con forza, la cosiddetta operazione militare speciale di Vladimir Putin in Ucraina. La lista di oligarchi che hanno tratto profitto dalla guerra, d'altronde, è piuttosto lunga. Il rimpatrio è avvenuto attraverso nazioni amiche, come le ex repubbliche sovietiche, gli Emirati e la Turchia. I dati di Flightradar dimostrano, fra le altre cose, che il ritorno a casa è avvenuto evitando, consapevolmente, lo spazio aereo dell'Unione Europea.
A proposito di orizzonte ridotto e ali tarpate: tra l'inizio del 2020 e l'invasione dell'Ucraina, il Boeing di Yevtushenkov è stato dappertutto. Anche in Svizzera, per tacere di Germania, Lussemburgo, Maldive, Croazia, Repubblica Ceca e Seychelles. Il 737 ha viaggiato pure 105 volte in Russia, 17 in Francia, otto in Italia, negli Emirati Arabi Uniti e in Lettonia, cinque in Gran Bretagna e quattro in Turchia. Dopo l'inizio dell'invasione su larga scala dell'Ucraina, l'aereo Yevtushenkov si è limitato agli aeroporti di Turchia, Emirati Arabi Uniti, Oman e Kazakistan per il resto del 2022, senza mai attraversare il territorio dell'Unione Europea. Effettuando, in tutto, solo 14 viaggi. Una miseria.
Reimmatricolato in Russia a fine dicembre 2022 dal Kirghizistan, secondo il registro aeronautico pubblicato sul sito di Rosaviatsiya, nel 2023 ha volato 47 volte in Russia e nove in Kazakistan, Kirghizistan, Bielorussia e Cina. Non proprio destinazioni glamour. Tempi duri, anzi durissimi per l'aviazione russa.